Ripercorriamo, insieme, gli avvenimenti e i personaggi più importanti che hanno segnato la data del 9 Aprile.
Accadde che:
1868 (156 anni fa): Giosuè Carducci, titolare della cattedra di Letteratura Italiana all’Università di Bologna, viene sospeso dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione per avere sottoscritto una lettera indirizzata a Mazzini e a Garibaldi. I verbali di quel processo furono scritti interamente a mano e sono rimasti inediti fino al 1993, quando furono ritrovati al ministero della Pubblica Istruzione. Sul banco degli imputati, insieme a Carducci, c’erano altri due colleghi professori, Ceneri e Piazza. Tutti e tre erano ex garibaldini convinti, che si resero colpevoli di aver scritto una lettera a Mazzini dove “s’ erano fatti voti per il trionfo di una causa e di un principio in aperta contraddizione coi principi e le guarentigie che sono posti a fondamento della costituzione civile dello Stato”. Grazie ad un lavoro di paziente scavo negli archivi, nei carteggi privati e nei documenti parlamentari vengono alla luce il ruolo dell’intellettuale in quel periodo, le condizioni degli atenei, l’emarginazione scolastica femminile e la ricostruzione del processo esemplare al poeta, condannato perché repubblicano.
1970 (54 anni fa): a Genova, la nave London Valour, battente bandiera inglese, carica di cromo, naufraga a causa di una violenta mareggiata a poche decine di metri dal porto: venti marinai morti, per lo più indiani e filippini. Quella mattina, il comandante Edward Muir si appresta a smontare i propulsori della nave per una revisione che deve avvenire assolutamente. Alle 13.00 il mare è a forza 7, un’intensità che si potrebbe definire catastrofica. Parte dalla radio della Guardia Costiera l’avviso che la situazione sarebbe ulteriormente peggiorata. Un messaggio che non arrivò mai alla London Valour. A quel punto che dalla riva, dalla zona della Foce del Bisagno, chi osserva quel devastante spettacolo si accorge che la London Valour è troppo vicina alla diga. Avendo smontato i propulsori, la nave inglese non riesce a manovrare e a trattenere la furia delle onde, resta solo la pesante ancora buttata sul fondo che però di fronte a quella forza non basta più. La situazione precipita. La nave in balia delle onde viene trascinata pericolosamente a ridosso della diga. I rimorchiatori del porto si staccano dalla loro banchina e si dirigono verso il mare aperto per portare soccorso, ma nessuno di questi riesce ad avvicinare la London Valour. Alle 14.00, l’equipaggio composto da marinai indiani e filippini dal ponte lancia messaggi disperati di soccorso, alcuni cadono in acqua e vengono spinti dalle onde contro gli scogli: una morte terribile. La situazione è tale che ogni semplice azione di soccorso per riuscire salvare i marinai intrappolati a bordo è un atto di eroismo. Dalla diga si riesce ad agganciare la nave con una fune di nylon, ma la fune diventa un’orrenda macchina da morte. Il troncone di nave a cui era legato ondeggiando violentemente tra i marosi tende e rilassa il cavo come se fosse l’elastico di una fionda lanciando i marinai contro la banchina e sugli scogli. A bordo della nave si consuma un’ulteriore tragedia nella tragedia. La moglie del comandante Dorothy viene sbalzata in mare dalle onde e il marito per salvarla, indossato il salvagente, si lancerà in mare. Entrambi moriranno. Intanto, nessuno dei soccorritori genovesi pur a rischio della propria vita demorde pur di salvare più vite possibile. Alla fine della giornata la nave affonderà portando con sé il comandante, la moglie, il radiotelegrafista e sedici membri dell’equipaggio. La tragedia ispirò una delle più belle canzoni di Fabrizio De Andrè che trattò l’episodio come un’allegoria della situazione politica del suo tempo. Sicuramente, come per altre sue canzoni, alcuni versi sono schegge di straordinaria drammaticità e bellezza che ricordano i tragici eventi di quel giorno: “E la radio di bordo è una sfera di cristallo/dice che il vento si farà lupo il mare si farà sciacallo” … “E le ancore hanno perduto la scommessa e gli artigli/i marinai uova di gabbiano piovono sugli scogli”…
Scomparso oggi:
2021 (3 anno fa): muore, a Londra, Filippo, già Philip Mountbatten, duca di Edimburgo, nato principe Filippo di Grecia e Danimarca. Nato a Corfù (Grecia) il 10 giugno 1921, è stato il marito della regina Elisabetta II nonché, dal 10 giugno 2011 alla sua scomparsa, Lord ammiraglio della Royal Navy, titolo cedutogli dalla consorte in occasione del suo novantesimo compleanno. Filippo era sposato con la regina Elisabetta II dal 20 novembre 1947 e ha avuto quattro figli: Carlo, Anna, Andrea ed Edoardo. Nato principe di Grecia, prima del matrimonio rinunciò ai propri titoli greci, fu accolto nella Chiesa d’Inghilterra. Come consorte della sovrana ha affiancato la regina nei suoi viaggi ufficiali nel mondo, è stato il più longevo consorte di un monarca britannico, con 73 anni e 71 giorni di matrimonio. Oltre agli attributi regali, Filippo è stato anche un noto sportivo e patrono di una serie di organizzazioni (780 in tutto), incluso il The Duke of Edinburgh’s Award, un premio a lui dedicato; è stato inoltre a capo delle Università di Cambridge e di Edimburgo come cancelliere. Sin dalla sua visita in Antartide del 1956, si è impegnato per sensibilizzare l’opinione pubblica sul rapporto uomo-ambiente, tema sul quale ha anche pubblicato degli scritti. Si era ritirato dagli incarichi ufficiali il 2 agosto 2017, all’età di 96 anni, dopo aver portato a termine 22.219 incarichi personali ed aver tenuto 5493 discorsi dal 1952.