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Il tempo dei ricordi

Ripercorriamo, insieme, gli avvenimenti e i personaggi più importanti che hanno segnato la data del 9 Maggio.

Accadde che:

1978 (45 anni fa): viene trovato a Roma, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata in via Caetani, il corpo dell’onorevole della Dc Aldo Moro, rapito e ucciso dalle Brigate Rosse. Alle 9.02, del 16 marzo 1978, un commando di terroristi delle Brigate Rosse aveva rapito a Roma  in via Fani, all’incrocio con via Stresa, Aldo Moro, allora il presidente del partito della Democrazia Cristiana. Tutta la sua scorta viene uccisa: il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, l’appuntato Domenico Ricci, il brigadiere Francesco Zizzi, l’agente Raffaele Jozzino e l’agente Giuliano Rivera. L’assalto avviene in un giorno particolare: il nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, sta per essere presentato in Parlamento per ottenere la fiducia. E per la prima volta nella storia a sostenere quel governo c’è anche il partito comunista. Era stato proprio Aldo Moro a creare le condizioni per quello che fu definito il “Compromesso storico “. Significa che due partiti, Dc e Pci, di solito schierati su fronti opposti, avevano trovato un accordo per realizzare un programma di rinnovamento del nostro Paese, che potesse andare bene a più persone. Dopo il rapimento, i partiti reagirono dividendosi tra coloro che volevano trattare con i brigatisti e quelli che, invece, seguivano la linea della fermezza. E tra questi ultimi si schiera anche il partito di Aldo Moro, la Dc. Di fatto Dc e Pci decidono che non ci sarà nessuna trattativa. Dalla sua prigionia, Aldo Moro scrisse delle lettere alla moglie: “Sono stato ucciso tre volte, per insufficiente protezione, per rifiuto della trattativa, per la politica inconcludente”. Si concludeva nel silenzio una delle pagine più dolorose della storia d’Italia. Il silenzio, come quello chiesto dalla famiglia Moro che rifiutò cerimonie pubbliche, discorsi di saluto. «La famiglia – scrissero – si chiude nel silenzio e chiede silenzio. Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicherà la storia».

1997 (26 anni fa): un proiettile colpisce una studentessa di 22 anni, Marta Russo, all’interno dell’Università “La Sapienza”, morirà in ospedale cinque giorni dopo, troppo gravi le ferite riportate. Da subito le indagini si rivelarono complicate perché non si trovava movente. Si raccontò di un delitto perfetto, di una costruzione a tavolino dell’omicidio che lascia impuniti con una vittima senza colpite. Il 19 maggio gli inquirenti trovarono tracce di polvere da sparo sul davanzale della finestra dell’aula 6 dell’Istituto di Filosofia del Diritto. Da lì era partito il proiettile che uccise Marta. Vennero emessi tre ordini di custodia cautelare per gli assistenti di Filosofia del Diritto Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro e per l’usciere Francesco Liparota, l’unico che resterà in libertà. Solo diversi anni dopo, nel 2003 con la sentenza di Cassazione, Scattone venne condannato definitivamente a 5 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio colposo e Ferraro a 4 anni e 2 mesi per favoreggiamento. L’arma del delitto non è mai stata ritrovata. Negli anni successivi, però, più volte Scattone ribadirà di essere vittima di un errore giudiziario. Spunteranno piste alternative, un testimone confesserà di aver mentito al processo e il caso entrerà nella lista dei misteri italiani irrisolti.

Scomparso oggi:

1978 (45 anni fa): viene assassinato dalla mafia, a Cinisi (Palermo), Peppino Impastato giornalista, conduttore radiofonico e attivista. Nato, a Cinisi, il 5 gennaio 1948 è noto per le sue denunce contro le attività di Cosa Nostra. Nato da una famiglia mafiosa: il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella. Ancora ragazzo, rompe con il padre, che lo caccia via di casa e avvia un’attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1965, fonda il giornalino “L’Idea socialista” e aderisce al PSIUP. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1977 fonda “Radio Aut”, radio libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini. Nel 1978, si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali, ma viene assassinato nel corso della campagna elettorale. Con il suo cadavere venne inscenato un attentato, per distruggerne anche l’immagine, in cui la vittima apparisse come suicida, ponendo una carica di tritolo sotto il suo corpo adagiato sui binari della ferrovia. Sui muri di Cinisi, però, un manifesto dice che si tratta di un omicidio di mafia. Grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia, che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa, dei compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione, viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l’inchiesta giudiziaria. Nel maggio del 1984, l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, emette una sentenza, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti. Nel 2001 e 2002, finalmente, vengono condannati all’ergastolo i responsabili dell’omicidio di Peppino Impastato.

 

 

 

 

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