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Il tempo dei ricordi

Ripercorriamo, insieme, gli avvenimenti e i personaggi più importanti che hanno segnato la data del 13 Agosto.

Accadde che:

1942 (79 anni fa): va in scena, a Londra, la prima del cartone animato Bambi di Walt Disney, basato sul romanzo “Bambi, la vita di un capriolo” dell’autore austriaco Felix Salten, considerato il 5º classico Disney secondo il canone ufficiale. Fu un film sofferto: Walt Disney cambiò spesso team e sceneggiatura e l’acquisizione dei diritti del romanzo non fu semplice. Alla sua uscita non recuperò i costi di produzione; lo sciopero del 1941 aveva bloccato a lungo la lavorazione dei film e Walt Disney aveva licenziato sindacalisti e scioperanti, tra cui alcuni dei migliori disegnatori, anche se poi, dopo un intervento governativo, aveva dovuto fare delle concessioni. Bambi fu un lungometraggio molto dispendioso in termini economici; nel 1940, quando venne definita completamente la sceneggiatura, era costato già 858 mila dollari. Quando “Fantasia” e “Pinocchio” non ottennero il successo previsto come incassi al cinema, per paura che la crisi si facesse insormontabile, gli studi decisero di realizzare e distribuire subito “Dumbo” e il corto “Il Drago Recalcitrante”. Gli incassi dei due film permisero di continuare la realizzazione di Bambi, anche se c’erano ancora problemi economici, scioperi, licenziamenti e Guerra da fronteggiare. La Guerra, infatti, incise notevolmente sugli incassi del film negli Stati Uniti e anche sulla sua distribuzione all’estero. I protagonisti sono Bambi, un cervo dalla coda bianca, i suoi genitori, i suoi amici Tamburino (un coniglio dal naso rosa), Fiore (una moffetta) e la sua amica d’infanzia e futura compagna Faline. Per il film, la Disney si prese la libertà di cambiare la specie di Bambi in un cervo dalla coda bianca dalla sua specie originale di capriolo, dal momento che i caprioli non abitano gli Stati Uniti d’America e il cervo dalla coda bianca sarebbe stato più familiare per il pubblico locale. Il film ricevette tre nomination agli Oscar: miglior sonoro (Sam Slyfield), migliore canzone (per Love Is a Song cantata in originale da Donald Novis) e migliore colonna sonora.

1961 (60 anni fa): il governo della Germania Est fa erigere il Muro di Berlino. Durante la notte fra il 12 ed il 13 agosto, gli abitanti di Berlino iniziarono a vedere operai e soldati, che stendevano reticolati di fino spinato sulla linea di confine fra la parte Est da quella Ovest della città. L’ordine proveniva delle autorità della Repubblica Democratica Tedesca e Walter Ulbricht, capo di Stato della DDR e Segretario del Partito Socialista Unitario della Germania, per tacitare i primi allarmismi, dichiarò: “Nessuno ha intenzione di costruire un muro”. La costruzione della barriera fra le due parti della città era stata, invece, decisa da tempo. Nel 1945, prima della fine della II guerra mondiale, durante la conferenza di Jalta, veniva stabilita la divisione di Berlino in quattro settori controllati e amministrati da Unione Sovietica, Usa, Regno Unito e Francia. All’improvviso, chi fino al giorno prima era seduto alla stessa birreria a bere insieme, dal mattino del 13 agosto 1961 si trovò definitivamente separato dai propri affetti e dai luoghi che fino a poche ore prima aveva frequentato. E fu proprio per fermare l’esodo di professionisti ed intellettuali, la Germania Est iniziò la costruzione di una divisione con il filo spinato, sostituito da una barriera di cemento di circa tre metri di altezza lungo tutto il confine della parte di città orientale. Il muro era lungo più di 155 km e, nel giugno 1962, venne costruito un secondo muro all’interno della frontiera destinato a rendere più difficile la fuga verso la Germania Ovest. Fu così creata la cosiddetta “Striscia della morte”, dove chi tentava la fuga veniva attinto dalle raffiche delle guardie poste sulle torrette a controllare i confini giorno e notte. Inizialmente, c’era solo un punto di attraversamento per gli stranieri e i turisti, il checkpoint Charlie in Friedrichstraße, mentre le potenze occidentali avevano altri due posti di blocco, a Helmstedt (checkpoint Alpha) sul confine tra Germania Est e Ovest e a Dreilinden (checkpoint Bravo) sul confine sud di Berlino Ovest. Il muro in pochi giorni divise famiglie e amici e la Volkspolizei, la Polizia della Germania democratica, si renderà responsabile dell’uccisione di circa 239 cittadini dell’est che cercarono di varcare il confine. Il Muro di Berlino cadde nel novembre del 1989.

Scomparsa oggi:

2019 (2 anni fa): muore a Brescia, all’età di soli 40 anni, Nadia Toffa  conduttrice televisiva e giornalista. Nata a Brescia il 10 giugno 1979, è nota soprattutto per il ruolo di inviata e conduttrice del programma televisivo di Italia 1 “Le Iene”. Apparve la prima volta in televisione, all’età di 23 anni, su Telesanterno, un’emittente televisiva locale dell’Emilia-Romagna, in seguito lavorò per quattro anni per Retebrescia. Nel 2009 diventò un’inviata del programma televisivo “Le Iene”, registrando numerosi servizi. Tra i più celebri si ricordano quelli sulle truffe compiute da farmacie ai danni del servizio sanitario nazionale (durata tre mesi, dove finì a processo insieme ad altri per presunta diffamazione), sulla proliferazione delle sale slot machine, sullo smaltimento illegale dei rifiuti, in Campania, per mano della camorra, sul crescente tasso di tumori nel “triangolo della morte” tra Napoli e Caserta, sulla “terra dei veleni” a Crotone e sui problemi ambientali legati all’inquinamento a Taranto. Il 2 dicembre 2017, durante la preparazione di un servizio a Trieste, ebbe un malore e fu ricoverata all’ospedale, ciò comportò un suo momentaneo allontanamento dalla vita lavorativa. L’11 febbraio 2018 ritornò alla conduzione del programma, rivelando che l’assenza era dovuta a un tumore celebrale. Dichiarò anche di aver seguito i protocolli di radioterapia, chirurgia oncologica e chemioterapia  che le erano stati consigliati, affermando con vigore che non c’era nulla di cui vergognarsi, nemmeno nel dover portare una parrucca. In seguito, annunciò di essere ancora affetta dal tumore, ricomparso nel marzo del 2018. Aveva nel frattempo pubblicato il suo secondo libro, “Fiorire d’inverno. La mia storia”, indirizzato a tutti coloro che come lei stavano lottando contro la malattia. A partire da maggio 2019 le sue condizioni di salute avevano iniziato ad aggravarsi, tanto che non fu in grado di partecipare all’ultima puntata domenicale de Le Iene in onda il 12 maggio e, ad alcuni suoi amici bresciani, aveva confessato di sentirsi sempre più debole. Ha combattuto con grande forza e coraggio la malattia che l’aveva colpita, combattuto a modo suo, anche attraverso un racconto minuzioso e asciutto su Instagram: i ricoveri, le terapie anticancro, le piccole conquiste come la ricrescita dei capelli dopo la chemio. «Rivendico il diritto di parlare apertamente della nostra malattia, che non è esibizionismo né un credersi invincibili, anzi: è un diritto a sentirsi umani. Anche fragili, ma forti nel reagire», diceva rispondendo ai tanti che la accusavano di spettacolarizzare il dolore.  Affrontò la malattia con la stessa energia senza riserve che metteva nei servizi televisivi. Confessò la sua paura più recondita: «Che mia madre resti sola. Penso che le madri non dovrebbero mai restare da sole, senza i figli. È troppo». Nadia era una persona coraggiosa, sincera e soprattutto generosa, perché ha donato agli altri la forza della sua storia, aprendosi al mondo proprio nel momento più difficile, in cui sarebbe stato più scontato isolarsi nel dolore. Piena di voglia di vivere e testimoniando che la fragilità non è una debolezza, ma è la condizione dell’essere umano e, come tale, non bisogna averne paura. Riportiamo una delle sue frasi più significative: “Ho sempre pensato che la vita fosse disporre sul tavolo, nel miglior modo possibile, le carte che ti sei trovato in mano. Invece all’improvviso ne arriva una che spariglia tutte le altre, e la vita è proprio come ti giochi quell’ultima carta”.

 

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