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venerdì, Novembre 22, 2024
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Il tempo dei ricordi

Ripercorriamo, insieme, gli avvenimenti e i personaggi più importanti che hanno segnato la data del 29 Luglio.

Accadde che:

1900 (121 anni fa): l’anarchico Gaetano Bresci uccide, a Monza, Umberto I di Savoia, re d’Italia. Quella sera Umberto I, si trovava a Monza e stava tornando da una manifestazione sportiva, dove aveva partecipato alla cerimonia finale premiando gli atleti. Era in una carrozza scoperta, ed insieme al ministro della Real Casa Emilio Ponzio Vaglia e al suo aiutante di campo, Felice Avogadro di Quinto, si apprestavano a tornare verso la Villa Reale. Il re era seduto sul lato esposto alla folla e mentre si alzava in piedi per salutare i presenti fu raggiunto da un uomo poco più che trentenne, armato di una rivoltella. Senza incontrare alcuna resistenza, l’uomo sparò quattro colpi, tre dei quali raggiunsero Umberto I al collo e al petto. Il re fu poi trasportato alla Villa Reale tra la concitazione generale, ma era già morto. Bresci era un sostenitore della cosiddetta «propaganda del fatto», che teorizzava la necessità di intraprendere azioni concrete, talvolta illegali e violente, per raggiungere gli obiettivi dell’anarchismo e affermarne i valori nella società: il rifiuto di ogni forma di autorità e il raggiungimento di una società senza stato. La decisione di Bresci, maturò al di là del contesto ideologico: egli voleva vendicare le rivolte represse con la violenza negli anni precedenti, in particolare quella a Milano nel 1898 in cui, a causa di una tassa sul grano, ci furono estese proteste represse militarmente dal generale Fiorenzo Bava Beccaris, che sparò sulla folla uccidendo quasi cento persone. Dopo l’assassinio, Bresci venne sottoposto a un processo piuttosto sbrigativo e condannato all’ergastolo, da scontare per i primi dieci anni in isolamento. Morì nel 1901, secondo la versione ufficiale di suicidio. Dopo la morte di Umberto I, la regina Margherita si adoperò molto e con parziale successo per diffondere il mito del “Re buono”. Tuttavia quello del “Re buono” è appunto un mito: le testimonianze dell’epoca parlano di Umberto I come di un sovrano piuttosto rozzo e ignorante, che non aveva nessun interesse per l’arte o la letteratura, a differenza di sua moglie.

1976 (45 anni fa): in Italia, con la nomina a ministro del lavoro e della previdenza sociale, Tina Anselmi, democristiana, è la prima donna ad entrare in un governo. Deputata per sei legislature, è stata ministro della Sanità e ministro del Lavoro. Si deve a lei la legge sulle pari opportunità. L’incarico di ministra della Sanità le fu affidato per condurre in porto l’istituzione del Servizio sanitario nazionale, che divenne legge nel 1978; nello stesso anno firmò anche la ‘legge Basaglia’ sull’abolizione dei manicomi. La guida dei due ministeri sarebbe tornata poi nelle sue memorie come un’esperienza straordinaria: «Lavoro e salute: ti senti al centro della vita del paese. È una grande assunzione di responsabilità. Soprattutto per quanto attiene alla Sanità, le ingiustizie, gli sprechi, la mancanza di tutela sono insopportabili»  Nel 1981 è presidente della Commissione di inchiesta sulla loggia massonica P2, che termina i lavori nel 1985: è un capitolo essenziale della vita della Repubblica, una responsabilità che Anselmi assume pienamente e con forza, firmando l’importante relazione che analizza le gravi relazioni della loggia con apparati dello stato e con frange della criminalità organizzata, messe in campo per condizionare con ogni mezzo la vita democratica del Paese. Tina Anselmi fu convinta assertrice di un’idea organicistica della politica, secondo cui la questione femminile poteva trovare una soluzione solo all’interno di una visione globale dei problemi della società considerata secondo una prospettiva di valori. Con la sua opera di mediazione, al centro la DC, costituiva un baluardo contro il ritorno del fascismo e contro la vittoria del comunismo, ed in questo quadro andava preservata l’unità politica dei cattolici. Dal 1998 al 2003 fu vicepresidente e poi presidente onorario dell’Istituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia fino al 2016. Alla memoria della Resistenza dedicò le sue ultime fatiche, convinta che solo la trasmissione dei valori, a essa legati, potesse preservare le giovani generazioni dall’esperienza di nuovi fascismi. È stata più volte presa in considerazione da politici e società civile per la carica di Presidente della Repubblica: nel 1992 fu il settimanale «Cuore» a sostenerne la candidatura, mentre nel 2006 un gruppo di blogger l’ha sostenuta attraverso un tam tam mediatico che prende le mosse dal blog Tina Anselmi al Quirinale.

Scomparso  oggi:

1890 (131 anni fa): muore a  Auvers-sur-Oise (Francia), dopo essersi sparato un colpo di pistola al petto il pomeriggio di due giorni prima, Vincent Van Gogh pittore. Nato 30 marzo 1853 a Zundert (Paesi Bassi) può essere considerato il pioniere dell’arte contemporanea, padre dell’Espressionismo, ed emblema dell’artista tormentato. Se la sua vita fosse stata un romanzo, sarebbe stato uno di quei romanzi inverosimili, esagerati, troppo carichi di colpi di scena per sembrare veri. Per le sue opere, intrise di una forza che erompe dalla tela per colpire occhi e cuore dello spettatore, rendono Vincent van Gogh uno dei più grandi artisti di sempre, ma in vita le sue opere erano poco conosciute e apprezzate. Gli umili, i lavoratori dei campi e i minatori sono i soggetti preferiti da van Gogh, oltre ai numerosi autoritratti, ai paesaggi, ai dipinti con cipressi e alla rappresentazione di campi di grano e girasoli. Alcuni avvicinano lo stile di Van Gogh all’impressionismo, ma a differenza degli impressionisti puri, egli nelle sue opere non descrive la realtà dal suo particolare punto di vista, ma compie l’operazione inversa: è la realtà che diventa una creazione e una rappresentazione dell’io interiore dell’artista. Per questo è considerato un pioniere dell’espressionismo. Non si sa ancora con certezza quale fosse la malattia che lo affliggesse, quel che è certo è che l’artista soffriva di attacchi di panico e allucinazioni alle quali reagiva con atti di violenza e tentativi di suicidio, seguiti da uno stato di torpore. Nel 1888, su consiglio del fratello Theo, van Gogh si trasferì ad Arles, nel sud della Francia per vivere con il pittore Gauguin, amico di Theo. Il rapporto tra i due non fu facile, le liti erano frequenti, anche a causa dell’instabilità emotiva di van Gogh. La loro relazione, tuttavia, degenerò del tutto quando una sera, ubriaco e in preda alla rabbia, Vincent scagliò un pesante bicchiere contro l’amico. Probabilmente la causa del litigio fu Rachele, una prostituta che lavorava in un bordello frequentato dall’amico Gauguin, di cui Vincent era innamorato. Quel giorno Gauguin decise di lasciare Arles. Nel 1889 infatti, Vincent, in preda alle allucinazioni e folle di gelosia si mozzò con un rasoio metà dell’orecchio sinistro e lo spedì a Rachele, come pegno di amore. Concludiamo con una delle sua frasi più significative: “Se oggi non valgo nulla, non varrò nulla nemmeno domani; ma se domani scoprono in me dei valori, vuole dire che li posseggo anche oggi. Poiché il grano è grano, anche se la gente dapprima lo prende per erba”.

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