Ripercorriamo, insieme, gli avvenimenti e i personaggi più importanti che hanno segnato la data del 27 Luglio.
Accadde che:
1929 (92 anni fa): debutto per il primo romanzo di Alberto Moravia, “Gli indifferenti”. Nel romanzo, lo scrittore riesce a rendere con perfetto realismo le meschinità e le ipocrisie di una società, come quella della borghesia, inautentica, convenzionale, sdoppiata falsamente da ciò che ciascuno pensa e da ciò che viene detto in un clima di costante menzogna. I personaggi, che rappresentano il dramma di una intera generazione, sono tutti inetti, incapaci di accostarsi alla vita e di provare sincere passioni e molto vicini ai personaggi sveviani e pirandelliani. Come dice il titolo, sono proprio indifferenti nei confronti della vita e di tutte le emozioni che hanno. La trama si concentra sui fratelli Carla e Michele Ardengo, due giovani incapaci di provare veri sentimenti, in balia della noia e dell’indifferenza di fronte al declino sociale ed economico della loro famiglia. Mariagrazia, la madre rimasta vedova, trascorre una vita abitudinaria e legata ai clichés morali della borghesia, in uno stato di inconsapevolezza. Nel giorno del ventiquattresimo compleanno di Carla, Leo Merumeci (l’amante della madre Mariagrazia) tenta di approfittare della giovane, facendola ubriacare. Il tentativo però fallisce, perché Carla si sente male. Mariagrazia intanto, visto che l’amante la trascura, è convinta che egli abbia un’altra donna e senza rendersi conto della situazione pensa che questa sia la sua amica Lisa. Lisa è, invece, invaghita del giovane Michele che, come sua sorella Carla, non è che un debole: pur insofferente di ciò che lo circonda, consapevole che Leo circuisce sua madre per impossessarsi della loro villa di famiglia, è incapace di reagire. Michele si accorge dell’attrazione che Lisa prova per lui, quindi si lascia passivamente corteggiare, senza manifestare alcun segno di coinvolgimento sentimentale. Lisa intanto, piccata per la sostanziale indifferenza di Michele nei suoi confronti, vuole punzecchiarlo, sicché l’informa della segreta relazione di Carla con l’amante della loro madre. Michele ne rimane colpito, ma la rabbia che dimostra non è sincera: nemmeno l’immagine della sorella violata da Leo riesce a scuoterlo dalla sua indifferenza. Comunque, Michele si sente in dovere di affrontare finalmente Leo per vendicare l’onore familiare. Comprata una pistola, si reca a casa di Leo con l’intenzione di sparargli. Ne esce umiliato e perdente, poiché gli spara dimenticandosi di caricare l’arma. Per evitare che la villa sia venduta a un miglior offerente, Leo, timoroso di vanificare quanto ha cercato di ottenere, chiede a Carla di sposarlo. Carla, nonostante lo disprezzi e non lo ami, è attratta dall’idea di una nuova vita benestante e borghese, che assicuri il benessere a se stessa, alla madre ed al fratello. Con freddezza accetterà la proposta di matrimonio, rinunciando al sentimento, ma forse non alla passione. Il romanzo si chiude con un finale sospeso: Carla e Mariagrazia che si recano a un ballo in maschera, con la figlia che ancora deve comunicare alla madre la sua decisione di sposare Leo.
1993 (28 anni fa): l’Italia è colpita da tre auto bomba, esplose quasi contemporaneamente dopo le 23.15: una a Milano, nei giardini di Via Palestro; due a Roma, danneggiando gravemente la Chiesa di San Giorgio al Velabro e la Basilica di San Giovanni in Laterano. Si tratta di un attentato terroristico, compiuto da Cosa nostra. La sera del 27 luglio l’agente di polizia locale Alessandro Ferrari notò la presenza di una Fiat Uno parcheggiata in via Palestro, di fronte al Padiglione di arte contemporanea, da cui fuoriusciva un fumo biancastro e quindi richiese l’intervento dei vigili del fuoco, che accertarono la presenza di un ordigno all’interno dell’auto; tuttavia, qualche istante dopo, l’autobomba esplose e uccise l’agente Alessandro Ferrari e i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, ma anche l’immigrato marocchino Moussafir Driss, che venne raggiunto da un pezzo di lamiera, mentre dormiva su una panchina. L’onda d’urto dell’esplosione frantumò i vetri delle abitazioni circostanti e danneggiò anche alcuni ambienti della vicina Galleria d’arte moderna, provocando il crollo del muro esterno del Padiglione di arte contemporanea. Quarantatré minuti dopo l’attentato a Milano, alle 23.58, un’altra autobomba esplode davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano e, quattro minuti più tardi, è la volta della deflagrazione della Fiat Uno piazzata all’esterno della chiesa di San Giorgio al Velabro, a pochi metri dal Campidoglio e dai Fori Imperiali. I due attentati non provocano vittime, ma ci sono 22 feriti e gravissimi danni alle due chiese. Secondo Gaspare Spatuzza, uno dei protagonisti degli attacchi diventato, anni dopo, collaboratore di giustizia, l’obiettivo erano i monumenti, non le vite umane. Quello che avvenne erano conseguenze non cercate. Dopo le stragi di Capaci via D’Amelio, Cosa Nostra aveva deciso di colpire il patrimonio artistico dello Stato italiano. Le indagini ricostruirono l’esecuzione delle stragi, in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che si conclusero con le condanne all’ergastolo. Il 22 novembre 1993, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, ha conferito la medaglia d’oro al valor civile alla memoria alle quattro vittime italiane per il “nobile esempio di altissimo senso del dovere ed elette virtù civiche, spinti sino all’estremo sacrificio”.
Nato oggi:
1835 (186 anni fa): nasce a Pietrasanta (Lucca) Giosuè Carducci poeta, scrittore e critico letterario. Fu il primo italiano a vincere il Premio Nobel per la letteratura, nel 1906. Fino al 1839 vive immerso nel meraviglioso paesaggio toscano della Maremma, nella sua esperienza personale, questi anni rivestono un ruolo fondamentale per la formazione della sua sensibilità: l’immagine di una natura incontaminata, energica e vitale accompagnerà tutta la sua produzione poetica. Laureato in Filologia, nel 1856, negli anni successivi partecipa agli incontri della società “Amici Pedanti”, che si batteva per un immediato ritorno al classicismo della letteratura, contro la modernità e le nuove idee del Romanticismo. Arrivano anni duri, però, per il giovane Carducci: suo fratello muore suicida e presto anche il padre passa a miglior vita lasciando il poeta responsabile per la madre e per l’altro fratello. Sono, comunque, anni di intensa attività editoriale, non si da per vinto, cura varie edizioni di classici italiani e, negli stessi anni, sposa Elvira Menicucci da cui ebbe quattro figli. In questo periodo, sale in lui una crescente delusione verso la nuova classe dirigente dello Stato Unitario e comincia ad appoggiare ideali repubblicani e giacobini fino ad un aspro anticlericalismo, tutti atteggiamenti questi che lo metteranno in cattiva luce davanti al governo ufficiale, che arriverà addirittura a sospenderlo dall’insegnamento. Pian piano, però, comincia ad accettare il ruolo dei monarchici Savoia come garanti dell’Unità italiana e, dopo l’incontro con la regina Margherita, fu tanto grande per lui il fascino esercitato dalla donna, che scrisse un’ode “Alla regina d’Italia” avviandosi così, definitivamente, verso gli ideali monarchici, diventando il vate dell’Italia umbertina e nominato senatore del Regno. Gli ultimi anni furono caratterizzati da una febbrile attività editoriale e poetica consacrando la sua posizione di poeta ufficiale dell’Italia monarchica. Giosuè Carducci così descriveva se stesso: «Sono superbo, iracondo, villano, soperchiatore, fazioso, demagogo, anarchico, amico insomma del disordine ridotto a sistema; e mi è forza fare il cittadino quieto e da bene.» Tra le sue produzione poetiche ricordiamo: “Juvenilia”, “Levia Gravia” e “ Giampi ed Epodi”. Muore a Bologna il 16 febbraio 1907.