Nicola Capogreco ha realizzato un sogno per sé e per gli altri. Si, perché questo imprenditore è riuscito a ristrutturare un borgo, a Moschetta, trasformandolo in una location da favola per tutte le coppie di innamorati. Il loro motto è: “Non vi sposate, ma se proprio dovete farlo, fatelo con noi”.
Come inizia la tua storia?
Nel 2005, decidemmo insieme a mia moglie di ristrutturare la tenuta al cui centro c’è questo palazzo, la cui prima costruzione risale al 1500, comprato dai miei antenati nel 1600 e, infine, completato nel 1700. Abbiamo cercato di rendere la tenuta fruibile a tutti, perché trattasi di un borgo contadino di pregevole fattura. Il borgo era costruito con la casa padronale in alto, vicino gli oleifici, le stalle e i magazzini, ovvero il fulcro dell’economia dell’azienda e sotto il borgo. Poiché, io sono da sempre nel mondo della ristorazione, abbiamo pensato di renderlo fruibile organizzando solo grandi eventi, in particolare matrimoni. Organizziamo solo matrimoni, ed eventi culturali. Abbiamo dato una struttura molto identitaria del territorio, la ristrutturazione è stata molto filologica, ed è durata quasi un anno, con tutti gli operai specializzati da Gerace, ricostruendolo così com’era. Con questa struttura abbiamo permesso agli abitanti del posto di evitare anche un viaggio fuori per andare a sposarsi.
Cosa c’è dietro le quinte dell’organizzazione dei vostri matrimoni da favola?
Un grande lavoro di persone qualificate. I nostri matrimoni sono belli, ma anche complicati nella lavorazione, perché non sono schematici come nelle sale ricevimenti, noi ogni matrimonio montiamo e smontiamo come nei set cinematografici. Le variabili sono tanti e noi cerchiamo di seguire le richieste degli sposi, ma soprattutto a noi piace creare sempre qualcosa di nuovo. Per cui, ad ogni matrimonio lavorano almeno 100 persone. Questa è la location più grande della Calabria, con la più grande superficie praticabile di verde.
Nel realizzare il tuo sogno, quali sono state le soddisfazioni più grandi?
Il sogno era quello di dare luce ad un borgo che nell’800 e 900 era abitato, per cui durante i matrimoni, in realtà questo borgo rivive. Ciò che mi ha dato più soddisfazione è stato quando, terminata la ristrutturazione, ho ricevuto e ricevo immigrati che mancavano dall’Italia da 20-30 anni, e visitando questo borgo, alcuni si sono commossi.
Lei parla con passione del suo lavoro e dalle sue parole dimostra amore per la sua Terra. Per questo non è emigrato come tanti?
Io ho fatto di peggio e di meglio: il grosso del mio lavoro è in Toscana, però sono sempre ritornato qui. Non ho fatto come altri che hanno preso qui per portare su; io, al contrario, ho preso su per portare in Calabria. E l’ho fatto per amore di questo territorio con il quale condividiamo la storia. La cultura è un qualcosa che si può fare in tanti modi e per noi, far rivivere questo borgo, è stato fondamentale sotto questo aspetto.
Far rivivere questi borghi e pensare a quello che c’era una volta al loro interno e la strada da seguire per un futuro più vivibile?
Sicuramente è la strada da seguire, ma ci sono difficoltà. Per esempio, questa struttura l’abbiamo mantenuta privata poi usata di volta in volta per gli eventi, quindi non essendo pubblica non abbiamo avuto nessun finanziamento per ristrutturarla. Trasformarla in struttura pubblica, però, si rischia di perdere l’ossatura senza un restauro filologico. Il restauro del Palazzo è servito alla zona, in quanto ha suscitato entusiasmo e curiosità. Qualcuno, dopo di noi, ha iniziato a ristrutturare il suo borgo. Noi questo borgo l’abbiamo trovato integro, perché è stato abbandonato, in quanto esiste la cultura dell’abbandono. Però, in questo caso, l’abbandono ha salvato questo posto, poiché non è stato modificato.
Ha percepito invidia nei suoi confronti per quello che ha realizzato?
Ho avvertito all’inizio una banalizzazione da parte degli altri, perché non volevano riconoscere l’impatto che questo progetto poteva avere, però devo dire che sotto sotto sono stati maggiori i compiacimenti, soprattutto da parte della gente comune. Anche perché in seguito, a Moschetta, siamo riusciti a creare un distretto con la presenza del palazzo, di un hotel a 4 stelle e il teatro, da poco realizzato. Il nostro è un territorio per la cultura, perché è la cultura che traina. Basti ricordare che quando qui si faceva cultura il territorio era ricco e fiorente. Purtroppo, spesso, è sottovalutata.
Nella tua cultura di imprenditore, donare è importante?
Si, è fondamentale. Per questo motivo, nel 2005, parlando con alcuni esponenti dell’amministrazione comunale, ho saputo che stavano perdendo un finanziamento per la costruzione di un teatro, perché non avevano un terreno cantierabile. Di conseguenza, siccome sia io che mia moglie siamo convinti che la produzione dell’arte e luoghi per diffondere la cultura siano fondamentali per lo sviluppo e benessere sociale del territorio, abbiamo deciso di donare il nostro terreno per la costruzione del teatro. E in questo modo è stata salvata la prima parte del finanziamento. In realtà, noi abbiamo impiegato 15 minuti per donarlo, il comune 15 anni per costruirlo. Ma questi sono aspetti che, purtroppo, capitano. Alla fine, con l’ultima amministrazione, il progetto è stato realizzato.
È stato importante avere una donna come sua moglie accanto?
Fondamentale, perché questo è un progetto da sposare e per sposarsi bisogna essere in due. A lei, più di me, piacciano queste cose, quindi è stato facile condividere questo meraviglioso sogno.
E per concludere, il nostro motto è: “Non vi sposate, ma se proprio dovete farlo, fatelo con noi”