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martedì, Novembre 26, 2024
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Il pericoloso antimeridionalismo delle destre italiane

Enzo Musolino e Giuseppe Morabito analizzano e commentano il presunto disinteresse delle destre e del governo verso il Sud, ponendo particolare accento sulle tante criticità, ad oggi rimaste tali, del Meridione

Il meridionalismo, come insegnatoci da Gaetano Salvemini e Antonio Gramsci, significa essenzialmente lotta per l’emancipazione e per la liberazione.

Esigenza concreta di riscatto contro ogni subalternità.

Tutto il contrario, quindi, dello sterile paternalismo centralistico e delle regalie infruttuose di “governanti” incapaci di affrontare le diseguaglianze territoriali perché, in fondo, davvero convinti dell’irredimibilità del Sud, abbandonato ad una arretratezza considerata naturale, invincibile.

Ecco perché essere meridionalisti significa credere nelle forze popolari, nel moto sociale libero troppo spesso imbrigliato, purtroppo, da interessi esogeni, da programmi e progetti elaborati lontano, rispondenti solo agli interessi imprenditoriali del Nord sviluppato.

Sicuramente, in tal senso, è paradigmatica la recente fascinazione della Lega Nord e del ministro Salvini per il Ponte sullo Stretto di Messina.

Questo è diventato, infatti, una bandierina retorica buona solo per sostenere le grandi multinazionali del settore interessate a mettere sotto scacco il Paese (magari lucrando su cavilli contrattuali e penalità), per rivitalizzare costosissimi baracconi come la Società Stretto di Messina in liquidazione, per occupare nuovi spazi tra i “padroni del vapore”, per farsi paladini e protettori dei grandi studi di progettazione e  di ingegneria lombardi, per rinforzare gli stipendi di nuovi boiardi di Stato, per strutturare un consenso grossolano puntando tutto sull’Opera faraonica, sul primato in grandezza e lunghezza, triste feticcio sostitutivo.

Cosa c’entra, infatti, tutto questo, con le priorità infrastrutturali del Sud?

Con la mancanza di strade e di ferrovie? (il Ponte non potrà far passare i treni per noti problemi tecnici), con la mobilità locale? Con la prossima chiusura della Jonio/Tirreno? Con la valorizzazione di un territorio – Lo Stretto – che è patrimonio naturale e spirituale dell’Umanità, culla dell’Occidente, e che meriterebbe una tutela attiva improntata sulla conoscenza e sulla diffusione di bellezza e di cultura?

L’occupazione, il “lavoro” che ne deriverebbe non sarebbe, quindi, limitato alla realizzazione o meno di due piloni e di una “campata” (il dubbio se unica o trina è ormai mistero teologico) ma sarebbe stabile, continuo, volano di sviluppo costante, moltiplicatore di ricchezza e di una identità non escludente ma accogliente, come questo nostro mare attraversato da sempre, che lambisce sponde e comunità sorelle e che non merita di essere “saltato”, superato da un malaugurato Ponte che ha una caratteristica aberrante; non serve, infatti, a unire territori – Reggio ne sarebbe tagliata fuori del tutto, Villa diverrebbe la città “sotto il ponte” e Messina non più la “porta” ma l’ostacolo da oltrepassare per giungere in Sicilia – ma a confondere le coscienze della gente dello Stretto, scisse tra la consapevolezza dell’inutilità dell’intervento e lo smarrimento per l’atteggiamento neocoloniale delle destre al Governo – Lega in testa – che hanno deciso per noi tutti, evitando il confronto civico e informato con i cittadini e che si affrettano a lanciare alle masse questo boccone avvelenato per nascondere il “furto”, l’enorme sottrazione di risorse e di futuro che si accompagna al progetto di regionalismo differenziato, con il sostanziale smantellamento del servizio sanitario nazionale, con l’abbandono della stesa speranza di giungere a livelli di assistenza e di prestazioni sociali eguali per tutti i cittadini italiani.

E non finisce qui, purtroppo.

Sempre nell’ottica di depotenziare il Sud, di mettere ai margini i più fragili, si decide di rimodulare le risorse del PNRR, si decide di sottrarre le risorse agli Enti Locali, si decide di ridurre gli stanziamenti soprattutto in Calabria, ed è la Città Metropolitana di Reggio Calabria a subire di più la “cura” del ministro Fitto: perderemo circa 333 milioni di euro, ben il 53,88% di quanto originariamente destinato.

E su quali capitoli di spesa? Su quali infrastrutture, quali sono gli investimenti persi?

Efficienza energetica, riduzione rischio idrogeologico, transizione verde, fondi per il sociale, beni confiscati alle mafie.

Non è tutto questo legato, dunque, ad un più generale progetto “anti popolare” delle destre a guida Meloni e Fratelli d’Italia?

Le diseguaglianze, infatti, non sono storicamente un problema per le forze post-fasciste, sono, per loro, un dato di fatto, naturale, invincibile.

E per questo non si pongono per nulla il problema politico di interventi normativi e sociali di natura universalistica, risolutiva, perequativa.

Ciò che conta è tutelare le tante corporazioni italiche, proteggere gli interessi degli arrivati e sazi, sostenere le rendite, mandare in soffitta ogni progetto concreto di riattivazione dell’ascensore sociale.

La freccia del futuro, ci sembrano dire Meloni e co., non è libertà e merito ma è come un bagaglio che pesa sulle spalle di ciascuno, fin dalla nascita, come un marchio indelebile che ci porteremo nella tomba.

Ecco perché la povertà viene intesa come stigma, colpa, sigillo di responsabilità ereditaria.

Ecco perché il reddito di cittadinanza non va solo migliorato e riformato ma va cancellato.

In modo, ad esempio, che qualche impresa balneare del Paese – quelle delle concessioni rinnovate per decenni a pochi spiccioli e dell’ombrellone a 100 euro per mezza giornata – non abbiano più ostacoli ad offrire paghe da fame, simulate sotto i falsi part time, i demansionamenti, i salari restituiti in contanti.

In modo, quindi, che il lavoratore non abbia alcun potere contrattuale, che sia totalmente sotto ricatto per la sopravvivenza.

In modo che il patto leonino tra il datore di lavoro/padrone e il subalterno senza tutele non abbia più neanche l’ostacolo di “fingere” un motivo scritto per costringere la “parte debole” sotto la ghigliottina del tempo a scadenza, del licenziamento ad nutum, con un semplice cenno della mano.

Ed ecco perché le destre hanno in odio il salario minimo orario fissato per legge!

Perché la legge è generale e astratta, perché la legge vale per tutti, perché la legge tutela i deboli e gli sfruttati, perché sarebbe impossibile, per loro, far comprendere una misura di giustizia e di equità quando hanno lucrato consensi puntando tutto sulla paura e sulle bugie, sulla difesa dei privilegi, sulla promessa di condoni, sullo scherno delle imposte, sulla lotta contro la progressività dei tributi, sul sogno egoistico e barbaro della tassa piatta, la stessa per ricchi e per poveri.

Questo Governo, è ormai chiaro, ha precisi nemici comuni che uniscono le diverse componenti fondative.

Il tardoberlusconismo illiberale, lo sfascismo ideologico e revanscista, il leghismo finto sovranista che spacca il Paese, hanno in spregio il Sud, i lavoratori, i deboli, gli emarginati, le donne e gli uomini che non si sentono battuti in partenza e che lottano per avere garantiti pari livelli di partenza, le stesse opportunità, libertà eguali.

Da che parte stanno i “leghisti calabresi”, i “forzisti reggini”, gli eterni “boia chi molla” alle prese con i fantasmi della Storia? Da che parte sta il governatore Occhiuto?

Da che parte stanno i consiglieri regionali, i deputati e i senatori?

I sinceri Democratici lo sanno bene da che parte stare, e noi con loro.

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