La politica di Berlinguer si era trasformata in una dimensione di propaganda estranea alla vita sociale della globalizzazione. Ai suoi funerali (1984) parteciparono un milione e mezzo di italiani, c’era anche Almirante, segretario del MSI, preso a braccetto da Giancarlo Pajetta. È stato scritto che quel giorno moriva il PCI. E così fu.
Si celebrano con intensa frequenza convegni, dibattiti, riflessioni sul centenario della nascita di Enrico Berlinguer segretario del PCI dal 1972 all’84.
Difficile separare la sua immagine da una dimensione politica sovrastimata, dovuta al fatto che, unico tra i segretari portò il PCI alla vittoria nel 1975 conquistando la maggior parte dei grandi comuni e l’anno successivo alle elezioni europee con un altro grande risultato elettorale che lo portò ad entrare nell’area di governo, con la strategia del “compromesso storico”
Eppure molti erano stati i cedimenti della politica in Berlinguer che per esempio, impaurito dal colpo di Stato in Cile che mise fine ad un governo di sinistra democraticamente eletto, si era opposto a governi di sinistra di stentata maggioranza. Per riavvicinare il PCI alla DC come era accaduto durante l’Assemblea costituente, per il voto sull’articolo 7 della costituzione, che regolava i rapporti tra Stato – Chiesa, secondo i Patti Lateranensi del 1929 firmati dal cardinal Gasparri e Mussolini. Su suggerimento di Togliatti che nel 1954 lancerà un appello di collaborazione con i cattolici “per salvare la civiltà umana”.
Berlinguer nominato vicesegretario del partito, su consiglio del segretario della CGIL Novella accolse nel suo ufficio Antonio ”Tonino” Tatò che proveniva dall’esperienza del Movimento dei Cattolici Comunisti, fondato nel 1939 da Franco Ròdano e Adriano Ossicini, poi trasformato nel partito della Sinistra Cristiana, nel quale si cercava di coniugare il materialismo storico e l’insegnamento evangelico.
Tatò divenne per Berlinguer quello che la famosa Suor Pasqualina era stata per Pio XII. Nel volume del parlamentare socialista Biagio Marzo “L’ombra di Tatò su Berlinguer e Craxi (1976/1984)” edizione Icaro, viene ripercorso uno dei periodi più drammatici della storia italiana.
Tatò ebbe la funzione di fare l’antisocialista viscerale anzi, secondo copione, l’incendiario. Secondo lui il PCI era la vera sinistra, il Psi era un macigno sulla strada della piena legittimazione del PCI, come forza di governo. Comunque, con Craxi alla guida, il PSI si sarebbe potuto trasformare in un rischio per la democrazia.
L’oggetto dei desideri di Tatò, anima nera di Berlinguer, era quello di un’alleanza con la DC di Moro e con sconcertante animosità contro i socialisti, battezzati senza pudore “social fascisti”. Emanuele Macaluso ebbe a scrivere “La coppia Berlinguer e Tatò fu per socialisti un castigo di Dio. Inutilmente Craxi lanciò l’idea di una “alleanza riformatrice”. Dirà Fabrizio Rondolino che i toni di Tatò erano agghiaccianti. Infatti, lo stesso scriveva:” Tutta la segreteria del Pci considera Craxi un avventuriero, spregiudicato calcolatore del proprio esclusivo tornaconto, un figuro moralmente miserevole e squallido, estraneo alla classe operaia”. Da par suo, quando Craxi nel 1983 divenne presidente del Consiglio Berlinguer giudicherà l’esecutivo ”pericoloso per la democrazia”. L’alleanza con la Dc fece perdere voti al PCI.
Berlinguer aveva definito l’URSS “un paese con alcuni tratti illiberali “, incurante delle censure a Pasternak e a Solzenicyn. La sua invenzione dell’approccio politico alla “questione morale”, impegno che persino Benedetto Croce, morto da tanti anni avrebbe criticato, fu sconfitta dalla quotidiana azione dei partiti che con la morale non volevano avere a che fare. La politica di Berlinguer si era trasformata in una dimensione di propaganda estranea alla vita sociale della globalizzazione. Ai suoi funerali (1984) parteciparono un milione e mezzo di italiani, c’era anche Almirante, segretario del MSI, preso a braccetto da Giancarlo Pajetta.
È stato scritto che quel giorno moriva il PCI. E così fu.
Matteo Lo Presti