Sono due le relazioni nelle quali il “modello Riace” viene elogiato e non “demolito”, ed entrambe erano state gettate in un cassetto, sotto la polvere. Invece di dare corso ai “suggerimenti”, in esse contenuti, il signor prefetto Michele Di Bari preferì dare “mandato” alla Guardia di Finanza per tutto ciò che è successo dopo e che tutti sappiamo.
Sono due le relazioni nelle quali il “modello Riace” viene elogiato e non “demolito”, ed entrambe erano state gettate in un cassetto, sotto la polvere. Invece di dare corso ai “suggerimenti” in esse contenuti, il signor prefetto Michele Di Bari preferì dare “mandato” alla Guardia di Finanza (e quindi alla Procura) per tutto ciò che è successo dopo e che tutti sappiamo. E non hanno trovato “cittadinanza” (stranamente?) nemmeno al processo di Locri, ed anche questo suscita perplessità. La prima delle due relazioni porta la firma di Francesco Campolo, Pasquale Crupi, Alessandra Barbaro e Maria Carmela Marazzita. È il “documento storico” che tanto fece “arrabbiare” l’allora titolare della Prefettura di Reggio Calabria, Michele che si limitò poi ad eseguire pedissequamente le “indicazioni politiche” dei Ministri dell’Interno Marco Minniti e Matteo Salvini, e da quest’ultimo poi promosso ad alti e delicati incarichi ministeriali proprio in “materia” di gestione dei migranti. Pur essendo stata ripetutamente invitata a farlo, la signora Lamorgese, “erede” al Viminale della coppia Minniti-Salvini, non ha ancora rimosso o destinato ad altro il suo “collega” (anche la Lamorgese viene dai ranghi delle Prefetture): vale dunque la pena di leggerlo nella sua integralità.
“La presente relazione viene redatta a seguito di attività ispettiva svolta in data 26 gennaio 2017 in Riace e fa seguito anche ad alcune manifestazioni di protesta che sono state poste in essere da parte dei migranti ospitati nella detta località, sia da parte di alcuni Rappresentanti delle Cooperative/Associazioni attive in Riace nel settore dell’accoglienza. Questi ultimi, in particolare, in occasione di una visita in Prefettura compiuta lo scorso 25 gennaio, hanno lamentato la mancata corresponsione, da parte di questo Ufficio di alcuna forma di sostentamento, a far data in alcuni casi dal mese di gennaio 2016.
Questa relazione, per scelta degli estensori della stessa non viene redatta secondo criteri e formule di stretto criterio burocratico/amministrativo, se non per alcune parti, in quanto, con la presente, vuole evidenziare e fornire uno strumento di comprensione del fenomeno “Riace” differente da quello finora acquisito, e tentare così di spiegare non solo quello che viene fatto (o non fatto) a Riace ma, soprattutto, come viene fatto direttamente dalle persone (di ogni colore e nazionalità) che ne sono le principali e dirette protagoniste.
Riace è un crocchio di case arricciate l’una sull’altra, che si scoprono al tornante della strada quasi d’improvviso, quasi nascoste, pochi istanti prima, dai valloni selvaggi delle pendici aspromontane. Riace è così: si vede e non si vede. Conficcata su una collina della fascia jonica reggina, segue alcuni paradigmi delle realtà locali vicine, con tutti i loro difetti (e i loro pregi): la chiusura, la diffidenza, la larvata impudicizia del bene comune, il senso di abbandono, la povertà. E l’accoglienza. Perché i paesi della Calabria sono accoglienti, la gente è accogliente. Memore e affaticata da un (recente) passato di stenti e privazioni, di assistenzialismo coatto, di soprusi storici e di ignominiose vergogne ‘ndranghetiste. A pochi chilometri da Riace regnano fra le famiglie mafiose più potenti e pericolose, oggi attive in Italia e nel resto del mondo. Riace è inevitabilmente figlia della locride insanguinata, dalla quale non può separarsi, per radice geografica (inesorabilmente) comune. La strada che sale termina in uno slargo arredato da cartelloni che richiamano la storia del paese degli ultimi anni e prosegue, poi, in ulteriore, ripida salita che sembra portare lontano il viaggiatore dalla realtà stessa di quel posto. Al bar, che si affaccia sulla strada con la sua veranda stretta, che curva, seguendo il ciglio della strada, alcuni anziani giocano a carte e osservano quasi con distacco, meno stupiti, dell’arrivo dei visitatori di quanto potrebbe succedere nella gran parte degli altri paesi intorno, oscuramente diffidenti, per storia recente. Riace è, invece, abituata ai visitatori: migliaia da tutto il mondo, da anni raggiungono il paesino jonico. Nelle strade, ancora attraversate dai rigori di un inverno particolarmente freddo, una coppia di anziani coniugi si intrattiene, seduta davanti ad una barca a vela che solca un mare di onde piene di scritte e colori, con due bambini africani, che rispondono alle loro domande e si fanno fare le coccole. Le strade del paese sono umide della recente piaggia e strette; le automobili non ci passano. I rumori, per questo, sono attutiti. Si sentono le zampe dei gatti che graffiano il selciato e fuggono i passi pesanti dei viandanti.
La riunione con il Sindaco Lucano e i Rappresentanti delle Associazioni permette di stilare un rapido cronoprogramma della visita ispettiva.
La scuola
Si comincia dalla scuola, un edificio che ospita un numero cospicuo di ospiti stranieri, grandi e piccoli, in classi composite, variegate e multilingue, in un miscuglio di razze, dialetti, diademi e treccine. In una stanza più grande giocano quattro bambini africani, piccoli, che guardano i visitatori con occhi sgranati. La stanza, spiega il Sindaco, che serve oggi da asilo nido, sarà presto sostituita da una struttura completamente nuova, ormai in fase di avanzata realizzazione, nella vicina frazione Marina. La giovane, anch’essa di origine africana, che accompagna amorevolmente i piccoli e li segue nei loro spostamenti, al tempo del suo arrivo in Italia, ci spiegano, si prostituiva per sopravvivere. Nelle classi, ai cui muri sono attaccati i manifesti elementari che spiegano i rudimenti della lingua italiana, troviamo persone del Gambia, del Mali, della Siria (una coppia di sposi non più giovanissimi e che portano ancora sul volto i segni della paura), del Pakistan, dell’Africa subsahariana. Giovani e meno giovani, adolescenti con il loro smartphone e bambini minuscoli attaccati alle loro madri, impegnate nello studio. La pluriclasse, infine, è un tripudio di razze dietro i banchi della scuola due ragazzini di Riace scherzano e scambiano commenti ironici con i loro coetanei dell’Africa o del vicino Oriente, fino a radunarsi su invito della maestra per una foto di gruppo. Sono lì tutti insieme, in barrivo da tante parti del mondo, lontane fra loro. Di fianco alla scuola, fanno bella mostra due campi di pallavolo e calcetto, di cui uno sufficientemente grande da permettere partite all’ultimo respiro; sono occupati dalle facce degli alunni più grandi, pronti a sfidarsi nella lingua internazionale della palla al centro. La scuola, ci dice il Sindaco, era chiusa per carenza di alunni. Adesso è di nuovo aperta e funziona. Le insegnanti lavorano e percepiscono il loro onorario. Una scuola senza bambini è la conclusione ingloriosa di un mondo, un universo senza futuro. Riace ha una scuola, degli insegnanti, dei ragazzi che apprendono.
Le case
L’attività ispettiva ci porta in numerose case del paese superiore, nelle quali entriamo per verificare la presenza degli ospiti, la nazionalità, il riferimento dell’effettiva appartenenza al CAS, le condizioni di vita, l’abitabilità delle strutture, le condizioni di sussistenza. In tutte le abitazioni (comprese quelle di Riace Marina, controllate nel corso del pomeriggio) incontriamo solo gente del CAS (e non dello SPRAR), senza alcuna commistione se non in un solo caso e per puro caso, per una giovane coppia. D’altra parte, i migranti ospitati a Riace non sono detenuti, hanno la libertà di muoversi all’interno del paese e, per ragioni banali (problemi di abitabilità contingente, visita a parenti, emergenze occasionali), sono liberi di spostarsi. Pertanto non ci sorprende, in quell’unico caso, di trovare lì quelle persone che, comunque, dicono di essere in procinto di trasferirsi nuovamente.
Le case di Riace superiore sono come Riace, piccole, a volte contorte, arrampicate su se stesse, avvoltolate come chiocciole su una spirale interna. Riace è così: è un paese dell’entroterra della provincia reggina con tutti i suoi limiti (ed i suoi pregi). Non vi troviamo (non ce ne sono) ville con piscine, né sfarzose dimore nobiliari. Vi sono case vecchie ed umili, di origini umili, ma pulite, ordinate, venate della mescolanza di uomini e donne di provenienza disparata e che portano in quelle case un piccolo tocco della terra natia.
L’ora di pranzo ci spinge a curiosare anche nelle cucine, dove scopriamo pentole con vari preparati, fra cui spicca il riso, il pollo cucinato in tanti modi, le zuppe. In una bella casa con una splendida veranda (piena di sole, in quel momento) sulla quale i 4 ragazzi che la abitano hanno sistemato delle sdraio, troviamo, in una ampia e comoda cucina al pianterreno, un abile cuoco sahariano che sta preparando delle magnifiche pizze, una delle quali deve ancora essere infornata. Il tavolo, apparecchiato ordinatamente, vede già quattro bei piatti colmi di pizza fumante. I complimenti al cuoco, anche per il delizioso profumo che attraversa la casa, sono d’obbligo.
Gli ospiti delle case comprano gli alimenti con i loro “bonus”, utilizzabili in Riace e che, come tutti sanno, non hanno corso legale fuori da Riace… Ma Riace è così, è un microcosmo strano e composito, che ha inventato un modo per accogliere e investire sul proprio futuro.
In un’altra casa una giovane ragazza ci riceve seduta sul divano. È triste: il marito spiega al mediatore (che ci accompagna) che la propria moglie era incinta ed ha perso il bambino, da circa un mese. Da allora, non si è ripresa e non ha voglia neanche più di uscire. Anche se cerchiamo di farle fora, comprendiamo il dramma di una madre che ha perso la possibilità di diventarlo e che usa i bonus per mangiare, perché non ha altro da spendere. Sul tavolino di fronte, un crocefisso ed un presepe ci richiamano al Natale appena passato. Due giovani ragazze, invece, poco lontano, sono impegnate a pulire la loro casa e ci sorprendono per l’abbigliamento estivo che, nonostante il fresco ed una leggera pioggerellina, mantengono con baldanza e allegria. Ci spiegano che l’impegno per assolvere le faccende di casa consente di non percepire il freddo.
Scendiamo e risaliamo lungo i vicoli del paese e troviamo case nelle quali riconosciamo anche alcuni degli alunni della scuola, visti prima. Chi ci accompagna spiega loro che siamo della Prefettura e tutti ci lasciano entrare per consentirci di guardare come vivono e cosa fanno. Pur nella povertà dei mezzi, si scorge sempre una dignità nel modo di vivere e nel modo di affrontare la vita. Sono persone che cercano un riscatto, che hanno voglia di dimenticare il passato e che mantengono l’entusiasmo di poter ricominciare. Riace è anche questo. È un paese che ha ricominciato a fare tante cose…
Risalendo, nei pressi della scuola, un bellissimo parco giochi invade la nostra visuale. Non se ne vedono molti così, nei paesi spogli e disadorni della provincia reggina. Non c’erano bambini in quel momento, ma non era difficile immaginarlo arricchito da decine di facce nere, gialle, bianche e rosse per il freddo, ma felici per le arrampicate, le cadute, le ginocchia sbucciate e la voglia, infine di tornare a casa. Il Sindaco dice che la sua casa è decisamente peggio di molte di quelle che ospitano i migranti. Non abbiamo modo di confutare questa osservazione.
Le botteghe
Seguendo i nostri accompagnatori per le visite a tutte le abitazioni del CAS, passiamo davanti ad alcuni esercizi commerciali. Sono le famose botteghe artigiane di Riace dove si lavora il legno, il vetro, la lana, i tessuti e molte altre cose. In ognuna di queste troviamo un ragazzo (o una ragazza) di Riace ed almeno un o una migrante, tutti nelle rispettive uniformi di lavoro, intenti nelle loro attività quotidiane, frutto di un apprendimento paziente di mestieri antichi, di una bellezza mai spenta. Dentro un bugigattolo lungo e stretto, ingombro di giocattoli di legno di ogni forma e dimensione, troviamo un uomo di mezz’età (ha 50 anni, dice), che viene dal Kurdistan e, racconta, è arrivato a Riace nel 1998. Ci spiegano che è uno dei primi stranieri ad essere arrivato a Riace e, da allora, non se ne è mai andato. Lavora il legno mentre parla, dipinge a mano una bambolina. Il tocco è preciso, solo un momento si ferma ed alza gli occhi, quando gli chiediamo del suo Paese. “Non va bene”, dice… ”Non va bene”, e ricomincia a dipingere, quasi a voler mantenere il distacco dalle idee e dai ricordi di un tempo.
I telai di un’altra bottega e le costruzioni di filato che vi si intrecciano dentro sono splendidi e si scorge chiaro in essi il volto dell’Africa. Dentro un’altra stanza, ribassata rispetto al piano stradale, una signora lavora senza alzare la testa. Chiediamo notizie e ci dicono che la signora è in accoglienza da un po’ di tempo (parecchio tempo)…ma la figlia è ammalata di tumore ed è in ospedale. Lei viene mantenuta a Riace ed accompagnata regolarmente in Ospedale, quando possibile, per visitare la figlia. Il Sindaco ci segue adesso durante il giro e si avvicina spingendoci verso un’ala esterna dell’abitato, che si affaccia d’improvviso su una bellissima insenatura verde, scavata nella collina di fianco, quasi un anfiteatro naturale in mezzo a costoni ripidi. Più in basso, per una estensione di svariate decine di metri, sono stati realizzati alcuni terrazzamenti ordinati, in cima ai quali si palesa una specie di aia, con degli asini al pascolo. Servono per la differenziata, ci spiegano, che viene fatta con il metodo della raccolta porta a porta (a dorso di mulo), nelle stradine strette di Riace, dove le automobili non passano. Su quelle terrazze, che degradano sotto gli zoccoli dei muli, sorgono ad intervalli differenziati delle piccole costruzioni vuote, con un ampio spazio di terra intorno. Il Sindaco spiega che il progetto che stiamo osservando prevede la concessione in uso ai migranti di tutte quelle casettine, nelle quali custodire i propri animali domestici e provvedere quindi alla coltivazione, da parte di ciascuno, di un orto, i cui frutti potranno approvvigionare le dispense con i prodotti della terra (casomai i bonus non dovessero bastare). Riace è anche questo: l’inventiva legata alla tradizione, l’idea di recuperare spazi per lavorare la terra e sfamare i propri familiari con quello che la fatica delle mani riesce a realizzare.
Certo, avremmo potuto chiedere al Sindaco maggiori dettagli sul rispetto delle regole urbanistiche nella realizzazione del progetto e se le casette fossero state realizzate da ditte iscritte nella white list o individuate con manifestazione d’interesse aperta almeno a 5 concorrenti, ovvero se le dimensioni dei terrazzamenti fossero rispondenti a quelle previste dalla legge agraria del 1982…
Ma eravamo lì per l’ispezione ai CAS e non potevamo venire meno all’incarico che ci era stato affidato. Il lungo giro ispettivo si conclude pertanto con la visita di altre due case, dove si accerta la presenza dei legittimi occupanti e si verifica la funzionalità dell’abitazione ed il grado di soddisfazione degli stessi fruitori.
L’attività di controllo prosegue più tardi nella parte Marina del Comune, prima presso la sede di alcune associazioni, dove ci vengono forniti ragguagli sulle attività quotidiane svolte e sull’organizzazione dei servizi e dei turni di lavoro, quindi presso le abitazioni. La frazione Marina differisce dalla sede storica Superiore per la chiara impronta urbanistica e per l’anonimato dei palazzi all’interno dei quali alcuni appartamenti sono stati concessi in uso ai migranti. Ognuno di questi, constatiamo, sia esso sganciato da nuclei familiari o meno, usufruisce di appartamentini tenuti discretamente ed in discreto ordine, alcuni dei quali prossimi al mare, altri posti nella fascia immediatamente più a monte.
Mentre le casette della frazione Superiore mostrano, come detto, i segni dell’usura che tutte le case di tutti i Centri storici dei vecchi paesi hanno, quelle della Marina spariscono all’interno di casermoni in cemento, le cui facciate mostrano, in alcuni punti, l’incuria e la scarsa considerazione dell’estetica, in altri, l’insipienza caratteristica dei nuovi fabbricati. Solo all’ingresso di uno di questi, proprio all’inizio delle scale di accesso allo stabile, notiamo e facciamo notare dei quadri elettrici privi di protezione, con dei fili a vista e segnaliamo il caso anche perché nell’appartamento al primo piano sappiamo esserci una famigliola con due bambini piccoli. La casa dove questi abitano, verifichiamo, è comunque accogliente e pulita e la cameretta del bimbo è colorata con i pastelli tenui e delicati che ogni stanza di bambino dovrebbe avere. I fili elettrici però sono pericolosi, come quelli di una struttura che abbiamo visitato di recente in altro Comune, dove la corrente per tutti gli ospiti è assicurata solo per poche ore al giorno e grazie ad un unico filo, che passa come un serpente oblungo in mezzo alle brandine, lì dove i ragazzi dormono. All’interno della casa dove vive questa famiglia, invece, a Riace Marina, non ci sono fili elettrici a vista, se non nel sottoscala, appena all’ingresso del palazzo. L’ispezione si conclude nel tardo pomeriggio.
Considerazioni finali
Le ragioni che hanno spinto ad abbandonare il tono strettamente burocratico e trasmettere uno spaccato della vita quotidiana in Riace, risiedono nella avvertita necessità di raccontare la storia dell’immigrazione nel borgo divenuto famoso prima per i Bronzi e poi per l’impegno del Sindaco Lucano. Questi è un uomo che ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita, combattendo battaglie personali e raccogliendo riconoscimenti internazionali di assoluto prestigio. Vive in una realtà ricostruita, che non appartiene alla storia del paese ma che ha realizzato mattone su mattone, con fatica ed impegno. L’evolversi dell’esperienza ha comportato difficoltà ulteriori, probabilmente non previste ed ha reso impossibile, presumibilmente, un controllo ferreo di tutte le attività svolte. Ciò ha evidenziato le pecche del sistema individuale in precedenti relazioni, che denotano la necessità imprescindibile di attuare degli opportuni ed immediati mezzi correttivi. Auspicabilmente con un’azione sinergica di supporto che possa permettere di mantenere e migliorare gli standard di efficienza, sicurezza e legalità che la normativa del settore richiede. Si ritiene, per concludere, che l’esperienza di Riace sia importante per la Calabria e segno distintivo di quelle buone pratiche che possono far parlare bene di questa Regione. Si precisa, peraltro, che il Sindaco Lucano ha sempre fornito una importante collaborazione a questa Prefettura in occasione degli sbarchi degli ultimi tempi, assicurando l’ospitalità che molti altri Centri della provincia avevano prima denegato ed intervenendo spesso con propri mediatori linguistico/culturali in situazioni critiche, al medesimo rappresentate.
La circostanza che i pagamenti per il sistema Riace siano stati bloccati da circa un anno ha comportato difficoltà considerevoli per chi ancora oggi permette che lo stesso sistema possa proseguire. Si ritiene, pertanto, che debba essere corrisposto immediatamente un acconto sul complessivo, nelle more delle verifiche e degli adeguamenti strutturali e gestionali che sono stati e/o verranno segnalati al. Sindaco, anche da parte degli uffici ministeriali competenti. Ciò permetterà, quantomeno fino alla decadenza naturale dall’incarico del Sindaco Lucano, che avverrà tra circa due anni, la prosecuzione di una esperienza che rappresenta un modello di accoglienza, studiato (come fenomeno) in molte parti del mondo.
Si allega documentazione fotografica.
Tre mesi dopo – e siamo alla seconda “relazione ispettiva” -, il 10 maggio 2017, la “commissione” torna a Riace. Con Francesco Campolo stavolta c’è un altro suo collega, Salvatore Del Giglio.
“In data odierna – scrivono Campolo e Del Giglio – è stata eseguita una attività ispettiva presso una struttura sita in Riace Marina via Nazionale n. 180, attivata su ordinanza del Sindaco di Riace e dietro sollecitazione del Comune di Reggio Calabria a seguito degli ultimi sbarchi avvenuti presso il porto del Capoluogo. La struttura è gestita dall’associazione “Il Girasole”. L’attività ispettiva è stata eseguita sulla base, fra l’altro, di una segnalazione pervenuta a questa Prefettura nella quale veniva fatto riferimento al segnalato “assiepamento” dei migranti (in un numero di circa 30) e della presenza di soli due servizi igienici e con “la necessità di adattarsi nel momento di consumare i pasti”. Nella predetta segnalazione viene anche fatto riferimento ad una rissa fra gli ospiti e del conseguente accertamento compiuto dai Carabinieri che “avrebbero scoperto addirittura che l’allaccio elettrico dell’appartamento era abusivo tanto che l’ENEL avrebbe provveduto a sospendere l’erogazione lasciando gli ospiti della struttura al buio”.
Dell’ispezione effettuata si riferisce quanto segue: la struttura è costituita da un piano terra e da un piano fuori terra, entrambi dotati di ampio terrazzino, sul più basso dei quali alcuni migranti scambiavano palleggi con un pallone da calcio. Di fronte l’immobile è presente un ampio spazio libero, parzialmente occupato da un piccolo orto, gestito da terzi. Poco più avanti è presente un altro slargo utilizzato per parcheggio di vetture e, quindi, la spiaggia del litorale. Al momento della visita risultano presenti 25 migranti (m.s,n.a.). Gli interni risultano ben distribuiti, ordinati e puliti. Il locale cucina, pur non particolarmente ampio, risulta ben strutturato, pulito ed in grado di assolvere alle esigenze di tutti gli ospiti. Il pranzo odierno è stato a base di riso, pollo e frutta (una teglia di riso al forno non era stata consumata ed una teglia di frutta già tagliata sarebbe servita anche per la cena). Le stanze da letto appaiono ben curate ed i letti ben distribuiti nei vari locali, fatta eccezione per una stanza ove erano sistemati quattro letti, per i quali viene tuttavia riferito che detta sistemazione è stata espressamente richiesta dai quattro migranti ivi ospitati tutti della medesima nazionalità e giunti in occasione dell’ultimo sbarco. In molte camere è presente un apparecchio televisivo e gran parte di queste sono anche dotate di bagno autonomo (in totale risultano presenti 10 bagni per tutto l’immobile). Vi sono anche camere con un unico letto matrimoniale ed un solo ospite. Di particolare pregio la posizione che è a ridosso del mare, tenuto anche conto dell’approssimarsi della stagione estiva e dei due terrazzini ampiamente sfruttati dai ragazzi immigrati, viene riferito, altresì, che a tutti gli ospiti è stato messo a disposizione un telefono cellulare e che nella struttura è presente un apparato wifi. Agli stessi è stata regalata, come abbigliamento, anche una tuta sportiva ed ogni giorno vengono accompagnati a giocare al calcio. Durante la mattina, invece, frequentano lezioni presso la locale scuola. Al sopralluogo era presente il Maresciallo dei Carabinieri della locale Stazione che ha confermato le favorevoli impressioni sopra riportate. Per quanto riguarda la problematica dell’allaccio elettrico abusivo, la referente della struttura (sig.ra Taverniti) ha riferito che l’Associazione Il Girasole ha preso in affitto lo stabile lo scorso marzo ed ha provveduto a chiedere la voltura del contratto elettrico. Il precedente titolare ha tuttavia fornito un numero errato di codice cliente, tale da rendere necessario un controllo più approfondito sulla situazione, richiesto ai Carabinieri da parte degli stessi componenti dell’Associazione Il Girasole. Proprio a seguito di tali accertamenti (espletati anche dopo un piccolo alterco scoppiato fra due giovani), è stato rinvenuto un cavo elettrico che risultava attaccato all’esterno dell’immobile: è stata quindi subito contattata l’ENEL che ha provveduto al distacco del filo. Non vengono riferiti periodi di mancanza di corrente elettrica all’interno dello stabile”.