Il giornalista Filippo Diano, cerca di spiegare meglio a chi dalle pagine di un giornale e da Facebook, ha associato l’antica usanza calabrese di “mangiare il ghiro” a un rituale ‘ndranhghetista che sancisce accordi o patti tra famiglie. Tutto questo ha alimentato molte polemiche, che non fanno altro che infangare ulteriormente il nostro territorio e i suoi abitanti.
La scoppiettante disputa sulle ‘mangiate di agghira’ (a dire il vero ha trovato spazio su facebookesolo per gli addetti ai lavori)scandita da precisazioni antropologiche, implicazioni sociali, e perfino polemiche sulla dose dell’impegno antimafia di ognuno a seconda che….,svela conflitti e diversità nella società calabrese sulla caratura da attribuire a talune, ataviche, tradizioni popolari che sono – può piacere o meno – un portato della nostra gente a prescindere se si tratti di ‘carduni’ o ‘cristiani battiati’.
La Calabria e i calabresi tutti, nella percezione nazionale, purtroppo, sono ormai sospettati in buona parte di essere ndranghetisti o contigui, nonostante lo sforzo di pochissimi ‘salmoni’ che cercano, invano, di vincere la corrente in salita dei fiumi (di pensiero, di pregiudizi…) per dimostrare che in questa regione ci sono migliaia di persone che non rinunciano a vivere una vita normale lontana da interessi mafiosi.
Bastano, però, appena quaranta righe confinate in cronaca di un quotidiano nazionale, farcite di opinabili giudizi, per infiacchire ulteriormente quei combattivi e generosi ‘salmoni’ rafforzando nell’opinione pubblica l’idea che la Calabria è terra irredimibile dove le ‘mangiate’ (di ghiri, di tasso, di capra, di cinghiale, di tordi avvolti nel ‘grasso e magro’ di maiale) sono lo specchio di rituali della ndrangheta, forme conviviali per festeggiare ‘l’omineria’ dei nuovi iniziati, o rinsaldare amicizie tra ‘famiglie’, o godere della conclusione ‘positiva’ del losco affare di turno.
La ndrangheta e non mi stanco di ripeterlo, gode di grande impunità e popolarità nonostante i duri colpi che la raggiungono quotidianamente dallo Stato e dalle sue articolazioni, perché si muove con perfetta sincronia dentro le contraddizioni che anche emergono dal fronte civile che le si dovrebbe naturalmente contrapporre.
Forzare il ragionamento fino a fare di una ‘mangiata’ – ghiri, pesce stocco, frittole di maiale, capra, agnello, pesce e chi ne sa più ne aggiunga, anche se avviene in carcere – un momento di ‘ritualità sacrale’, chiedo, non significa obiettivamente distorcere in favore del crimine organizzato un momento di socializzazione molto comune e diffuso in tutta la Calabria? O forse anche noi, sollevando qualche dubbio, corriamo il rischio del “legittimo sospetto” se fossimo indotti a pensare che tirare dentro, declinare, ogni fatto di cronaca con il ‘brand ndrangheta’ ha un effetto moltiplicatore di attenzione sui mass media che se ne occupano proprio per la sua mera attrattiva?
Ogni giorno le nostre e-mail sono cariche di comunicati stampa delle forze dell’ordine che elencano fatti criminosi, arresti, provvedimenti e misure di prevenzione, i cui ‘protagonisti’ sono sempre più giovani o giovanissimi, un dato che andrebbe, antropologicamente e socialmente, studiato con costanza e preoccupata attenzione. In Calabria, e sfido chiunque a dimostrarmi il contrario, la partita vera che si sta giocando per il suo avvenire è quella di sottrarre quanto più in fretta possibile alle sirene ndranghetiste i nostri ragazzi!
Non pretendo (e perché no?) che sia un grande organo di informazione nazionale di proprietà privata a dedicare tempo e spazio ad una maggiore comprensione delle ragioni degli ‘ultimi’ di questa regione, ma le reti televisive pubbliche che le paghiamo a fare se non aiutano a spiegare all’opinione pubblica nazionale il dramma vero di questa nostra terra che è la mancanza di prospettive, la rassegnazione che ne consegue, le ‘dimissioni’ dal battersi delle forze più giovani per una esistenza migliore, qui e adesso?? Altro che ‘mangiate’ di ghiri o amenità del genere!
Io invoco rispetto e respingo ogni superficialità, perché il pericolo per la Calabria non viene dalla presunta, scivolosa, omologazione alla ‘ritualità mafiosa’ di chi partecipa a ‘mangiate di ghiri&affini’, ma dalla rinuncia alla curiosità intellettuale di chi trova più redditizio e promozionale usare il termine ‘ndrangheta come ‘prezzemolino di ogni minestra’, senza coltivare il dubbio che, alla fine, così si aiutano colori i quali, a Milano, Londra e Singapore, girano centinaia di milioni di euro ‘intossicati’ da malaffare ndranghetista e che alle ‘mangiate’ in salsa calabra preferiscono da tempo le ostriche di David Hervè innaffiate dai migliori champagne vintage di Krug e Dom Perignon.
Filippo Diano