Da molti anni è in corso un dibattito sulla stagione di “Mani pulite”. Proprio in questi giorni, il quotidiano “Il Riformista” ha riportato a tutta pagina la notizia, secondo cui la cosiddetta stagione di “Mani pulite” fu in realtà un golpe. In tal senso mi è capitato di riflettere su ciò che in quegli anni successe in Calabria, ed in particolare sulla storia dell’uomo politico più importante quel momento storico: l’onorevole Riccardo Misasi.
Da molti anni è in corso un dibattito sulla stagione di “Mani pulite”. C’è chi dice che furono i servizi segreti americani a fornire i documenti ai magistrati (sia pure a loro insaputa) per vendicarsi di Craxi responsabile della fermezza dimostrata a Sigonella e di Andreotti fautore di una politica di equidistanza tra Israele e i Paesi arabi. Proprio in questi giorni il quotidiano “Il Riformista” ha riportato a tutta pagina la notizia secondo cui la cosiddetta stagione di “Mani pulite” fu in realtà un golpe. A svelare ciò non sono gli archivi dei servizi segreti, ma lo si deduce dalla prefazione dell’ex PM Gherardo Colombo al libro dell’onorevole Enzo Carra.
La tesi mi sembra suggestiva e bisognerebbe trovare “Prove” significative su tutto il territorio nazionale. In tal senso mi è capitato di riflettere su ciò che in quegli anni successe in Calabria, ed in particolare sulla storia dell’uomo politico più importante quel momento storico: l’onorevole Riccardo Misasi. Un politico Intelligente, brillante sia pur con idee discutibili (e certo lontano dalle mie), che occupò incarichi nazionali importanti come quello di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri; ministro alla Pubblica Istruzione e sottosegretario alla Giustizia. Per oltre trenta anni Misasi fu parlamentare della Repubblica eletto in Calabria con vagonate di voti. Nelle elezioni del 1968 affrontò la “Concorrenza” manciniana da sottosegretario alla giustizia e sembra che proprio in quel periodo molti detenuti siano stati messi in libertà provvisoria. Potrebbe essere questa una cattiveria della stampa di destra o dell’estrema sinistra di allora o dei partiti concorrenti, ma quello che è certo che le basi strategiche di quella campagna elettorale di Misasi furono appunto i tribunali disseminati in tutto il territorio calabrese nei quali il sottosegretario alla giustizia incontrava magistrati, forze dell’ordine e capi elettori. È superfluo aggiungere che molti tra quest’ultimi non erano proprio degli stinchi di santo.
La storia corre veloce, ed i rapporti di forza cambiano radicalmente con l’arrivo della stagione di “Mani pulite” tanto che nel giro di qualche mese avviene la trasfigurazione di Misasi che da uomo politico più potente della Calabria diventa una preda inseguita dai “Segugi “e su cui le procure calabresi aprono un fuoco concentrico. Quello che era stato un intoccabile diventa un malfattore. Viene chiesta nei suoi confronti l’autorizzazione a procedere per associazione a delinquere di stampo mafioso, gli viene arrestato un figlio, viene indagato come capo del sistema delle tangenti in Calabria e addirittura indicato come mandante dell’omicidio dell’ex presidente delle Ferrovie dello Stato, Vico Ligato. Misasi è ancora parlamentare, la Camera con l’astensione del PDS, nega l’autorizzazione, ma è ormai un uomo braccato. Il 17 marzo del 1993 Misasi rilascia un’intervista al giornalista del Corriere della Sera, Paolo Graldi, che viene pubblicata col titolo “Don Riccardo in lacrime”.
Il “Don” richiama quello di don Calò registrato all’anagrafe come Calogero Vizzini capo della mafia siciliana. Ed era stato messo apposta. Molti magistrati, già alleati e subalterni al potere democristiano, assunsero su di loro il compito si seppellire il cadavere politico di don Riccardo che piange a dirotto e quelle lacrime non erano un segnale di umana debolezza ma di resa politica. Misasi conosceva molto quel mondo torbido già subalterno al potente ministro calabrese e comprendeva che, anche se innocente, per sfuggire alle accuse che gli venivano mosse, le “Lacrime” sarebbero state il solo viatico che in grado di portare al “perdono”.
E perdono è stato!
Doveva piangere ed ha pianto. Così Misasi si allontanò dalla politica e dalla Calabria e per rendere plastico il suo disinteresse per le vicende calabresi scrisse un bel libro sulla storia di Orvieto. Non della Calabria e non di Cosenza, ma di Orvieto. Dopodiché fu lasciato in pace.
Il libro su Orvieto potrebbe apparire come un messaggio in bottiglia che venne subito “apprezzato” e recepito, perché scritto con il linguaggio che i poteri utilizzano parlando fra di loro, soprattutto in Calabria.
Misasi cede il posto che, nel bene e nel male, era frutto d’un consenso popolare che gli consentiva di essere protagonista sulla scena nazionale ad altri poteri.
Quello che è certo è che il potere in Calabria passò di mano aprendo la strada ai nuovi politici spesso irrilevanti o assolutamente, subalterni ai poteri non elettivi. Se ciò non è golpe e trattativa molto somiglia.