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Il 2 Giugno si è celebrata la Festa della Repubblica

Il 2 giugno 1946 il popolo italiano venne chiamato a partecipare al plebiscito per scegliere tra Repubblica e Monarchia. Esisteva, comunque, un profondo solco tra Nord, a maggioranza repubblicana e Sud, a maggioranza monarchica. Occorreva, dal punto di vista istituzionale, superare la continuità dinastica della monarchia Sabauda.

Il 2 giugno 1946 il popolo italiano venne chiamato a partecipare al plebiscito per scegliere tra Repubblica e Monarchia. Era la prima volta che si votava a suffragio universale con riconoscimento del diritto di voto alle donne. Data storica, quindi, per il nostro Paese. Si votò nella stessa occasione anche per eleggere i deputati che avrebbero composto l’Assemblea costituente, chiamata a redigere un testo costituzionale che sostituisse la Statuto Albertino.

Esisteva, comunque, un profondo solco tra Nord, a maggioranza repubblicana e Sud, a maggioranza monarchica. Occorreva, dal punto di vista istituzionale, superare la continuità dinastica della monarchia Sabauda.

Cancellate le leggi fascistissime, risorsero le organizzazioni politiche e sindacali, le associazioni culturali e la libertà di stampa. Nel 1946, l’elettorato attivo contava 28 milioni di cittadini e i votanti furono ben 25 milioni.

Il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica avvenne in un clima in cui non mancarono le polemiche sulla regolarità delle consultazioni e sui presunti brogli. Il 18 giugno 1946, la Corte di Cassazione proclamava ufficialmente la nascita della Repubblica italiana.

Per quanto riguarda le elezioni dell’Assemblea costituente si affermarono i tre grandi partiti: DC, PSI, PCI, che ottennero il 75% dei suffragi con conseguente ridimensionamento delle forze di ispirazione liberale. Dato sorprendente fu che a votare furono circa 12 milioni di donne contro gli 11 milioni di uomini. Questo risultato si ebbe anche grazie alla mobilitazione delle associazioni femminili interessate al voto.

Questa fase rivoluzionaria trova le sue basi in un processo iniziato con la caduta del fascismo nel luglio 1943. La ripresa democratica si coagulò intorno a due obiettivi: risolvere la questione istituzionale e adottare una Costituzione attraverso l’operato di un’assemblea liberamente eletta.

Già nel 1944, il governo Bonomi stabiliva che alla fine della guerra sarebbe stata eletta, a suffragio universale, diretto e segreto, un’assemblea costituente per scegliere la forma di Stato e dare al Paese una nuova Costituzione. Nel marzo del 1946 il governo De Gasperi promuove il suffragio universale estendendolo alle donne e limita i poteri della Costituente alla sola stesura della Carta fondamentale, affidando al referendum la scelta della forma di stato e, in caso di vittoria della Repubblica, l’Assemblea costituente avrebbe eletto il Capo provvisorio dello Stato.

Si ebbero così le prime “madri costituenti” elette che sentirono il peso di non deludere le aspettative delle Italiane. I primi giorni successivi al referendum furono confusi e drammatici così De Gasperi assunse il ruolo di Capo provvisorio dello Stato “Ope legis” in quanto presidente del Consiglio in carica. Il 25 giugno iniziarono i lavori della Costituente che elesse come Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola e votò la fiducia al governo De Gasperi.

La dimensione simbolica e rituale del 2 giugno sta nel momento fondativo della nostra democrazia repubblicana.

La Repubblica è un sistema politico in cui la carica di Capo dello Stato non è ereditaria, ma elettiva ed il potere è esercitato dai cittadini direttamente o a mezzo di rappresentanti liberamente scelti in base alla Costituzione.

La nostra Carta contiene due proposizioni fondamentali: “L’Italia è una repubblica democratica” e “la sovranità appartiene al popolo”. Si tratta del principio base di tutto l’ordinamento.

Accanto alla forma repubblicana si inserisce l’attributo della democraticità e con la chiosa (articolo 139): “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.

Democrazia significa letteralmente dal greco: potere al popolo o governo del popolo in cui la collettività è la somma di volontà individuali. Ogni regime democratico si regge sul principio maggioritario.

Nell’esercizio del potere democratico si contrappongono due modelli: democrazia partecipativa e democrazia rappresentativa. Nel primo caso il cittadino dotato della capacità di agire prende parte alle scelte politiche; nel secondo caso il corpo elettorale elegge collegi rappresentativi del popolo ai quali è affidata la deliberazione delle leggi e la determinazione dell’indirizzo politico.

Riflettendo, si potrebbe affermare che solo nella democrazia partecipativa il potere è effettivamente nelle mani del popolo e quindi di “democrazia governante” in contrapposizione alla democrazia rappresentativa che è “democrazia governata” in cui gli elettori non hanno un potere effettivo ma indiretto.

L’unica espressione di democrazia partecipativa è il referendum che è uno strumento che presenta dei limiti non potendo essere usato per tutte le scelte politiche perché troppo macchinoso.

In Italia, lo strumento rappresentativo è il Parlamento eletto a suffragio universale in entrambi i rami e dotato del più alto grado di legittimazione democratica.

Riprendiamo il concetto di Repubblica quale “stato non monarchico”. Il termine Repubblica usato originariamente per indicare il regime in vigore a Roma dopo la cacciata dei re (509 a.C.), fu poi ripreso per designare, dopo la Rivoluzione francese, una forma di governo in cui il potere politico è esercitato da organi rappresentativi, ed in cui il Capo dello Stato è organo elettivo e temporaneo in contrapposizione alla monarchia. Nell’antichità e nel Medioevo non si può parlare di Repubblica, perché lo Stato e la società si basavano sui privilegi. La distinzione fra liberi e schiavi escludeva dalla partecipazione alla “res publica” gran parte della popolazione. È legittimo definire “Repubblica” le poleis greche e lo stato romano nell’ambito dei quali i poteri erano attribuiti ad un’assemblea popolare e le supreme cariche avevano quasi sempre carattere collegiale. In particolare, il riferimento è a quel periodo che va dalla fine della monarchia (VI sec. a.C.) all’affermarsi dell’egemonia personale di Augusto con il “principato” (I sec. a.C.).

Il termine Repubblica non è idoneo, però, ad indicare il regime politico dei comuni italiani (nell’età comunale). Con la locuzione “Repubbliche marinare” il termine è associato a città non rette da regimi signorili o comunque non fondati sulla monarchia assoluta ed ereditaria per diritto divino. Solo con la Rivoluzione francese, l’idea moderna di Repubblica si afferma come idea politica a testimonianza del progresso morale e intellettuale dell’umanità.

“La Repubblica” di Platone è una grande ricerca corale sul potere, sui fondamenti che rendono un governo giusto e legittimo, sulle garanzie che il potere deve dare ai sudditi. Il testo del filosofo nasce dopo il conflitto tra le due forme di governo che avevano dominato la polis: democrazia e oligarchia. La prima aveva condotto Atene alla guerra, la seconda si era macchiata di crimini orrendi. Ad entrambe le forme di governo, Platone lamenta di non aver governato in nome di tutta la città e la democrazia non era mai stata altro che il dominio della massa dei poveri e l’oligarchia una dittatura dei ricchi. Entrambi i regimi sfociarono nella tirannide.

Platone riflette sulla natura del potere e sulla miglior forma di governo. Nella ricerca di un potere giusto, Platone afferma che il governo è un’arte che richiede grandi doti intellettuali necessarie per comprendere la natura del bene comune e tradurla in una legge adeguata. Trattandosi di un’arte, il governo richiede molteplici competenze. Il buon governo deve essere affidato ad un piccolo gruppo di competenti capaci di comprendere il bene comune e disinteressati sul piano privato. Platone afferma, quindi, che i mali politici non cesseranno mai finché i filosofi non si impadroniranno del potere. Finché i governanti disporranno di patrimoni, ed affetti familiari non sarà loro possibile perseguire il bene comune. È necessario estirpare la dimensione privata dalla vita della polis. La proprietà privata non è in linea con il comunismo platonico che può aversi solo in assenza di beni ed anche di legami affettivi.

A Platone sarà criticato il consegnare lo Stato ad una minoranza che potrebbe non scongiurare lo sconfinamento nella dittatura.

Platone individua nell’animo dell’uomo tre parti:

  • la ragione (logos)
  • la parte emotiva (thymos), che è una parte irrazionale ma che si nutre di nobili aspirazioni e
  • la terza parte, la più pericolosa in cui prevale la corporeità.

A queste tre parti corrispondono altrettante classi di individui e il governo deve essere affidato agli uomini nei quali prevale la ragione. La società, per poter funzionare, richiede che anche coloro in cui non governa il logos non desiderino un sovvertimento dei ruoli. Questa tripartizione sociale ha lasciato spazio ad ampie critiche che additano Platone per aver costruito un sistema del tutto in deroga ad un principio di uguaglianza.

Spostandoci storicamente un po’ più in avanti esaminiamo “Il principe” di Machiavelli.

Nella trattazione Machiavelli distingue fra principati che possono essere: “ereditari” o “nuovi”. Il trattato si articola in quattro parti:

  • il primo delinea diversi tipi di principato: ereditario, misto, nuovo, civile o ecclesiastico. E sul modo in cui si diventa princeps: fortuna e armi altrui, virtù e armi proprie, atti violenti o astuzia.
  • Il secondo verte sui doveri militari del princeps
  • Il terzo, sulla figura morale e le qualità che è opportuno che il principe abbia
  • Il quarto contiene questioni di vario genere.

Se i principati “nuovi” si acquistano con la fortuna e con le armi, i principati “ecclesiastici” sono i più sicuri e felici poiché, essendo retti da cagioni superiori, non corrono i rischi degli altri principati.

Il principato “civile” è un’espressione di conio machiavelliano che allude ad una forma di governo in cui un cittadino, con il favore di altri cittadini, diventa principe della sua patria. Il principato “civile” è un principato dissimulato, un potere monarchico che conserva almeno a livello formale le istituzioni repubblicane. Una sorta di tirannide esercitata col favore popolare. È un regime precario esposto a insidie che possono dar luogo ad un’ascesa verso il principato o una discesa verso la Repubblica.

Così come visto per Platone, esistono per Machiavelli tre tipologie di cervelli:

  • l’uno si intende da sé
  • l’altro discerne quel che altri intende
  • il terzo non intende né se né altri

Il primo è eccellentissimo, il secondo eccellente e il terzo inutile.

Nell’ottica di Hobbes il fine degli uomini che amano la libertà e il dominio sugli altri è dato dalla preoccupazione di garantire la loro stessa conservazione e assicurarsi migliori condizioni di vita per trarsi fuori dallo stato di guerra in cui vivono quando manca un potere. Per Hobbes l’uomo ricerca la società per bisogno, per interesse. La società politica è frutto di un patto volontario, un contratto con cui gli uomini trasferiscono il loro diritto naturale a un terzo che rappresenta la volontà di tutti. La sovranità assoluta che risiede nella monarchia è quella che serve a garantire pace, sicurezza e prosperità. Il sovrano dovrà assicurare ai sudditi una libertà che non sia nociva per la pace.

Dopo questa breve disamina sulla repubblica secondo le concezioni filosofiche, aggiungo le parole di Montesquieu: “Non v’è nulla di così potente come una Repubblica dove si osservano le leggi non per paura, non in nome della ragione ma per passione”.

La res publica è ciò che è di tutti in cui, ciascuno dei tutti, si adopera anteponendo al proprio interesse quello della collettività.

Beatrice Macrì

 

 

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