Quando il cavaliere Benito Mussolini dichiarò guerra alla Grecia, Lui non sapeva proprio nulla di quella terra lontana. A “Cantile” la “civiltà contemporanea” non era mai arrivata, ma arrivò la cartolina del precetto. Era stato triste l’addio del contadino al suo villaggio che il giorno della partenza avevano lasciato il lavoro nei campi per andare a salutarlo. L’ultimo abbraccio alla giovane moglie, al suo piccolo bambino, ai vecchi genitori. L’ultimo pensiero all’orto, al granturco, al suo asino, al maiale, agli alberi. Poi sparì tra gli oleandri fioriti e la ginestra che costeggiavano il sentiero lungo il torrente. Dai monti seguirono la sua sagoma, finché non videro un puntino nero inghiottito dalla guerra.
Quando il cavaliere Benito Mussolini dichiarò guerra alla Grecia, Lui non sapeva proprio nulla di quella terra lontana e ancor meno del “Mar Nostrum”. Nel suo villaggio sui monti la scuola non c’era mai stata così come mancava l’acqua corrente, i servizi igienici, una pista rotabile, la corrente elettrica.
A “Cantile” la “civiltà contemporanea” non era mai arrivata, ma arrivò la cartolina del precetto. Era stato triste l’addio al suo villaggio che il giorno della partenza avevano lasciato il lavoro nei campi per andare a salutarlo. L’ultimo abbraccio alla giovane moglie, al suo piccolo bambino, ai vecchi genitori. L’ultimo pensiero all’orto, al granturco, al suo asino, al maiale, agli alberi. Poi sparì tra gli oleandri fioriti e la ginestra che costeggiavano il sentiero lungo il torrente. Dai monti seguirono la sua sagoma, finché non videro un puntino nero inghiottito dalla guerra.
Al reggimento dicevano che fosse un imbranato. In un certo senso era vero: non sapeva leggere e scrivere, non era sciolto nel marciare, non scattava sull’attenti con prontezza, aveva difficoltà a saltare il cerchio ed ancora più a sparare sulle sagome.
Sapeva altre cose: non disperdere l’acqua, regimentare il terreno, parlare al suo asino, seminare e raccogliere tenendo conto delle fasi lunari. Rispettava gli alberi e produceva un buon vino. Suonava l’organetto e cantava canzoni d’amore. Conosceva molto bene il valore esatto delle cose più che il loro prezzo. Soprattutto non aveva bisogno di uccidere, di combattere, di diventare eroe per dare un senso alla sua vita.
Sul fronte greco-albanese la neve era alta e gli italiani trovavano difficoltà ad avanzare, forse perché la stragrande maggioranza dei soldati non sapeva le ragioni della loro presenza in quella terra lontana. In attesa dell’avanzata, un centinaio di muli furono radunati in un accampamento fortificato e protetto da una compagnia di soldati italiani.
Quel villaggio greco tra i monti si somigliava come una goccia d’acqua al suo villaggio e quella gente alla sua gente. I greci zappavano la terra, pascolavano le capre, si parlavano nelle strade in un discorso che sembrava ne avere un inizio e meno ancora una fine, andavano in Chiesa e pregavano. Vestivano abiti di colore forti o sgargianti che risplendevano nel sole come le donne dei suoi monti e nelle sere in cui c’era la luna piena, li sentiva cantare e suonare una musica che gli toccava il cuore.
Non capiva la loro lingua, ma comunicavano perfettamente nel linguaggio universale di tutti gli umili del mondo.
Una mattina si fece coraggio e domandò al suo capitano che stava per saltare sul mulo: “Signor Capitano, cosa ci hanno fatto i greci? Perché vogliono ammazzarci e perché vogliamo ammazzarli?”
Il capitano tentò una risposta. Gli parlò della “perfida Albione” del “mar Nostrum” e poi di un certo Zogu e di Cipro, di Rodi e di Creta ma di quest’ultima parola, Lui ne confuse persino il significato. Pensò ci fosse una guerra per della semplice creta.
Comunque, il giovane non ci capì proprio niente di quel discorso, ma neanche il capitano aveva le idee tanto chiare e così giunse alla conclusione che neanche il re, i nobili, Mussolini e i suoi gerarchi avrebbero saputo spiegare le ragioni di quella guerra.
Pensò che le persone del suo villaggio non l’avrebbero dichiarata quella guerra infame, ma loro erano analfabeti mentre coloro che fanno le guerre sono statisti.
L’avanzata non ci fu, ma il Natale arrivò lo stesso.
E fu un Natale triste… anche se il comando del reggimento ordinò che per cena i soldati ricevessero una porzione di carne di capra e cinque gallette. E tanto, tanto “cordiale” (una specie di cognac) che Lui mise nella sua borraccia per consumarlo nella stalla. Lì, bevve tutto il cordiale e il mondo si mise girargli intorno, mentre le lacrime gli scendevano copiose sulle guance. Abbracciò i muli ad uno ad uno, prima di addormentarsi tra la paglia.
Sognò! “Vide” per l’ultima volta il suo bambino, sentì sulla sua pelle le carezze della moglie, toccò le sue guance e le sue gambe, avvertì il sapore dei suoi baci, ricordò gli amplessi nelle notti ed i giorni passati insieme. Vide in sogno la sua terra così povera e così bella. Sentì perfino il canto di migliaia di uccelli mentre volavano in cielo.
Lo svegliò uno sparo vicino alla stalla.
Erano partigiani greci che lottavano contro l’invasore. Ma lui non era un invasore, non aveva nulla contro i greci, e neanche contro gli inglesi, i russi o gli americani.
Era solo un contadino. Uno dei tanti contadini a cui nessuno aveva mai chiesto nulla sulla guerra e che però si portavano dietro una terribile colpa: l’obbedienza! Ha provato a gridarlo ai partigiani greci: sono un contadino, non so sparare, ho un bambino piccolo!!!!
Accecati dall’odio, non sentirono!
Due sagome avanzarono verso la paglia sparando tra i muli che, come i contadini, erano stati portati lì senza colpa alcuna se non quella di avere obbedito.
Cercò di fuggire da una porta laterale: due sventagliate di mitraglia lo colpirono facendolo cadere sulla strada.
La mattina dopo aprì gli occhi e il sole era già alto. Aveva una giubba militare come cuscino ed un vecchio cappotto come coperta. Era colpito dai raggi del sole, ma sentiva freddo nelle carni. Vedeva in controluce delle sagome intorno a lui che avevano le mani callose, ed il volto rugato esattamente come quello dei suoi genitori e della gente del suo villaggio. Pensava fossero venuti a prenderselo, ma erano contadini greci che lo avevano trovato sanguinante sulla strada e avevano bendato le sue ferite con tanta pietà ungendole con acqua calda e camomilla. Altro non avevano. Adesso porgevano del latte caldo col miele a quel giovane morente e senza più speranza.
Le madri, i padri, le mogli, le figlie, le sorelle lo riconobbero: era uno di loro!
Non era un nemico e così pregavano perché Dio lo salvasse.
Una donna che portava addosso l’odore acre di terra, di lavoro, di pascoli esattamente come sua madre teneva stretta la sua mano e dai suoi occhi cadevano così tante lacrime sulle labbra del ragazzo che morì ammazzato sebbene non avesse nemici.