A Roma il 6 novembre prossimo presso l’istituto “don Sturzo” si terrà un convegno dedicato ai cinque giovani fucilati a Gerace. i Cinque Martiri hanno sacrificato le loro giovani vite per avere la Costituzione ed anche in loro nome non dovremmo più consentire che, l’oscura ma voluta presenza della ndrangheta in Calabria, venga utilizzata per sospendere la Costituzione
I moti del 1847 in Calabria hanno certamente la dignità di un movimento patriottico lungamente, ma non casualmente, ignorato dagli storici del Risorgimento.
Pertanto sono da salutare positivamente tutte le iniziative tese a riconoscere il sacrificio dei cinque giovani fucilati a Gerace per aver chiesto, senza violenza e senza spargimento di sangue, l’Italia unita e la Costituzione.
Sarà quindi di estremo interesse il convegno sui “martiri di Gerace” che si terrà a Roma il 6 novembre prossimo presso l’istituto “don Sturzo” e che vedrà impegnati studiosi, giornalisti e magistrati di primissimo piano. Tra gli altri il professor Coppola autore di un bellissimo libro sui Cinque Martiri, Tommaso Labate, Vito Perruccio e il dottor Nicola Gratteri che, volendo, avrebbe tanto da dire su questa storia avvenuta nel 1847 ma che proietta la sua sinistra ombra sino ai nostri giorni.
Credo che i cinque giovani abbiano tutto il diritto di essere ricordati nella storia nazionale non tanto per il limitato impatto che la loro azione ha avuto sul territorio e sulla popolazione ma perché, e per una volta ancora, ha fatto vedere al mondo la ferocia della tirannide (di qualunque tirannide) e contemporaneamente l’inderogabile necessità che lo Stato abbia come fondamento e coronamento la Costituzione.
Altrimenti la “legge” diventa arbitrio, prepotenza, sopraffazione. La storia dei Cinque Martiri n’è la dimostrazione perché, in spregio a tutte le leggi umane, la tirannia Borbonica ha preteso la loro fucilazione e disposto che i loro corpi venissero buttati nella “fossa della lupa” a Gerace. Ed infine che la testa del sesto “martire Domenico Romeo, caduto in combattimento, fosse issata su una picca che un nipote venne costretto a portare in processione nei vari paesi della provincia, sfilando tra la complicità delle classi” dirigenti” e tanta ma tanta ignoranza.
Le famiglie piansero in solitudine i loro morti.
Nel 1860, dopo l’unità d’Italia, vescovi e gendarmi, magistrati e decurioni, sindaci e intendenti, insomma tutto il “blocco d’ordine” che fu complice dell’eccidio di Gerace da Borbonico divenne Savoiardo e per legittimarsi agli occhi dei nuovi padroni non trovò nulla di meglio che versare altro sangue innocente, facendo “legalmente” fucilare il padre e i due fratelli del pastorello che avrebbe tradito i Cinque Martiri consegnandoli ai gendarmi. Con la scusa di “vendicare” i giovani fucilati a Gerace, le nuove classi “dirigenti” fecero sterminare un’intera famiglie di pastori e, per quasi due secoli, nessuno ne parlò perché le cose che succedono in Calabria sono state e sono rielaborate e confezionate nelle redazioni dei giornali (del Nord), delle case editrici (del Nord) e, oggi, dalle televisioni interessate a raffigurare i calabresi nella sola ed unica (quanto falsa e strumentale) dimensione criminale.
Ben vengano quindi gli incontri come quello programmato a Roma, i libri del professor Coppola e le iniziative del professor Perruccio perché sebbene siano passati quasi due secoli, noi abbiamo bisogno di sentire al nostro fianco Bello, Mazzone , Ruffo, Verduci e Salvatori nella lotta per l’Italia unita e contro l’autonomia differenziata.
Una legge che è un tradimento ai Martiri di Gerace come a quelli di Belfiore, agli studenti caduti a Curtatone e Montanara, ai difensori della Repubblica romana.
Infine, i Cinque Martiri hanno sacrificato le loro giovani vite per avere la Costituzione ed anche in loro nome non dovremmo più consentire che, l’oscura ma voluta presenza della ndrangheta in Calabria, venga utilizzata per sospendere la Costituzione. Per arrestare degli innocenti (come è successo ai Martiri fatte salve le dovute proporzioni) e farli passare per fuorilegge e per banditi. E, contemporaneamente, per esaltare “l’eroismo” dei loro carnefici.
Nella storia della Calabria questo film l’abbiamo già visto e ancora si gira…