Vi proponiamo una riflessione, dello scrittore Gioacchino Criaco, sulla morte del diciottenne morto durante l’ultimo giorno di stage.
All’esame liceale, la professoressa d’italiano, mi disse che nel tema, da me svolto, c’era un chiaro segnale d’immaturità. Avevo scelto la traccia, “cosa farò da grande”, dentro c’inserii un sogno: fare il pilota di formula uno. Megalomane, non avevo messo in conto di guidare male, di aver perso, ormai, gli anni buoni a fare esercizi, di non avere più il tempo. Era un sogno, solo un sogno. A diciott’anni se ne fanno moltissimi. Se ne cambia uno al giorno, forse anche due. Ma l’adolescenza viene per questo, per tutti. Per sognare. I più folli, o i più fortunati, sognano per tutta la vita. A mitigare la botta in italiano, venne la soddisfazione in fisica: sviluppai il teorema di Gauss, anziché limitarmi all’enunciato; e il professore mi disse che avevo un futuro da scienziato. Poi, non salii né su una monoposto né partii per il MIT del Massachusetts. Per abitudine coltivo i sogni, se possibile ne faccio di sempre più grandi. Forse è una malattia, degenera con l’età. Aiuta a vivere, a volte meglio a volte peggio. Lorenzo, a Lauzacco, in provincia di Udine, è morto a diciott’anni, gli è caduta addosso una putrella di carpenteria, all’ultimo giorno di stage, alternanza scuola lavoro. Chissà i sogni che aveva. Quanti ne aveva cambiati. Chissà se i ragazzi che frequentano gli istituti tecnici, professionali, sognano. Di sicuro, i diciottenni non sognano di fare i metalmeccanici. Di sicuro i ragazzi non aspirano a fare gli operai. Poi, nella vita, tutti ci adeguiamo, ci inseriamo in una casella a cui la società ci costringe. No, i ragazzi non si immaginano di fare gli operai, in un paese, poi, in cui, statisticamente ne muoiono 3 al giorno, ogni giorno. E in cui, a quelli attempati e temprati che volano dai tetti, si lasciano fulminare dalla corrente, schiacciare dalle presse, stritolare dagli orditoi, si aggiungono i ragazzini a cui il destino da operai viene accollato già a quattordici anni, senza nemmeno un accenno alla possibilità del sogno.
Gioacchino Criaco