I calabresi nella Roma città aperta di Bruno Gemelli racconta la Resistenza romana durante l’occupazione nazifascista (1943-1944) e il ruolo cruciale dei calabresi in questo periodo. La Roma “città aperta” rinunciò alla difesa armata per proteggere la popolazione. Nel suo saggio “Roma in armi,” Davide Conti descrive dettagliatamente le attività partigiane in otto zone della città. I calabresi, tra cui Giuseppe Lo Presti e Teresa Gullace, ebbero un ruolo significativo. La loro eroica partecipazione contribuì alla liberazione di Roma e alla concessione della Medaglia d’oro al valor militare alla città nel 2018.
I calabresi nella Roma città aperta
di Bruno Gemelli
La Roma città aperta era una zona di guerra che, per accordo esplicito o tacito tra le parti belligeranti, rinunciò alla difesa armata e ai combattimenti contro le forze nemiche allo scopo di tutelare la popolazione ed evitare la distruzione. Il regista Roberto Rossellini col film omonimo del 1945, capolavoro assoluto della cinematografia mondiale, lo fece diventare il manifesto del neorealismo italiano.
Quella Roma era divisa in otto zone partigiane. Lo racconta lo storico
Davide Conti nel suo recentissimo saggio, “Roma in armi – La Resistenza nella capitale (1943-1944)” (Carocci Editore, 2024). Una descrizione minuziosa degli eventi che aggiunge particolari importanti alla storia ufficiale.
Il succo è questo: «I nove mesi di occupazione nazifascista di Roma (10 settembre 1943-4 giugno 1944) hanno rappresentato la vicenda più drammatica della storia recente della capitale. Il crollo dello Stato monarchico dell’8 settembre 1943 determinò le condizioni per l’emergere di una Resistenza che si concretizzò nella guerriglia promossa dai reparti d’avanguardia dei partigiani in tutte le otto zone in cui fu divisa la città. All’interno della “guerra totale” nazifascista fatta di stragi, deportazioni, fucilazioni, prigioni e camere di tortura, i Gruppi di azione patriottica del Partito comunista e del Partito socialista e le Squadre d’azione cittadina del Partito d’Azione promossero una leva di forza e ribellione contro il terrore nazifascista, avvalendosi del sostegno della popolazione civile animata dal desiderio di riscatto dal ventennio fascista. La Roma che decise di combattere vide slanci e cadute, successi e limiti, ma riuscì a esprimere con la lotta armata la necessità militare, politica e morale di una scelta di libertà, che fu a fondamento della Repubblica e che nel 2018 avrebbe contribuito al conferimento alla capitale della Medaglia d’oro al valor militare per la guerra di Liberazione».
Ma la medaglia d’oro alla Capitale fu conferita tardi, dopo 74 anni, per merito del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con questa motivazione: «La Città eterna, già centro e anima delle speranze italiane nel breve e straordinario tempo della Seconda repubblica romana, per 271 giorni contrastò l’occupazione di un nemico sanguinario e oppressore con sofferenze durissime. Più volte Roma nella sua millenaria esistenza aveva subito l’oltraggio dell’invasore, ma mai come in quei giorni il suo popolo diede prova di unità, coraggio, determinazione. Nella strenua resistenza di civili e militari a Porta San Paolo, nei tragici rastrellamenti degli ebrei e del Quadraro, nel martirio delle Fosse Ardeatine e di Forte Bravetta, nelle temerarie azioni di guerriglia partigiana, nella stoica sopportazione delle più atroci torture nelle carceri di via Tasso e delle più indiscriminate esecuzioni, nelle gravissime distruzioni subite, i partigiani, i patrioti e la popolazione tutta riscattarono l’Italia dalla dittatura fascista e dalla occupazione nazista. Fiero esempio di eroismo per tutte le città e i borghi occupati, Roma diede inizio alla Resistenza e alla guerra di Liberazione nazionale nella sua missione storica e politica di Capitale d’Italia. 9 settembre 1943 – 4 giugno 1944».
Il volume di Conti aggiunge qualche prezioso particolare sui calabresi che furono protagonisti di quelle giornate, in cui furono uccisi cinque conterranei alle Fosse Ardeatine; e ancora, la figura di Teresa Gullace che Rossellini prese in prestito per dare la parte ad Anna Magnani, Giuseppe Albano (detto “il Gobbo del Quarticciolo”) e don Pietro Pappagallo, ucciso alle Fosse Ardeatine, che era stato vice rettore del seminario regionale di Catanzaro e di cui ancora Rossellini diede la parte ad Aldo Fabrizi.
Conti ci ricorda come Albano ebbe suo mentore Franco Felice Napoli di Gerace. Che guidò la banda partigiana riconosciuta dalla Commissione laziale Ricompart la cui sigla indicava il fondo Archivio per il servizio riconoscimento qualifiche e per le ricompense ai partigiani, che conserva la documentazione prodotta dalle Commissioni istituite nell’immediato dopoguerra (1945 e 1948) e dalla Commissione unica nazionale istituita nel 1968. Il fondo archivistico era conservato presso il Ministero della Difesa, che lo ha versato all’Archivio Centrale dello Stato negli anni 2009-2012.
Ed ancora: il quinto martire calabrese delle Fosse Ardeatine, con Bucciano, Bendicenti, Frascà e Vercillo, fu Giuseppe Lo Presti, originario di Palmi, medaglia d’oro alla memoria, responsabile della sesta zona partigiana, fu prima torturato in via Tasso e poi ucciso alla Ardeatine. La popolana Teresa Talotta in Gullace di Cittanova che fu mitragliata alle spalle dalla Gestapo davanti alla caserma di viale di Giulio Cesare mentre cercava di vedere il marito catturato dai nazisti. Roma Capitale le ha intitolato un’importante scuola della città metropolitana.
Il libro cita anche Giacomo Mancini che fu capozona socialista su indicazione di Giuliano Vassalli della I Zona partigiana dal 5 maggio al 5 giugno 1943. Annota Conti: «il 23 febbraio 1944 Giacomo e Nello Mancini [Nello era veneto] uccisero [o forse ferirono, si legge in altra parte del saggio] una SS in uno scontro a fuoco in viale Paolo Emilio».