Il prossimo 16 agosto cadrà il Cinquantenario del ritrovamento dei due Bronzi nei fondali sabbiosi di Riace. Cosa rappresentano ancora, per noi calabresi, i bronzi di Riace? Possono essere tuttora considerati un punto fermo della nostra cultura e una risorsa per il nostro turismo?
Finalmente, dopo tanta attesa (ed annunciato da conferenze stampa e diffusioni di programmi culturali e comunicati, tutti concentrati negli ultimi 2-3 mesi, altrimenti non se ne sarebbe accorto quasi nessuno), il prossimo 16 agosto cadrà il Cinquantenario del ritrovamento dei due Bronzi nei fondali sabbiosi di Riace. Era infatti il 1972, quando il sub dilettante capitolino Stefano Mariottini (o forse ci arrivarono per primi due giovanissimi locali, la questione è ancora aperta) trovò a 10 metri di profondità le due statue, immediatamente segnalate alla Soprintendenza archeologica locale, che provvide al recupero.
Tranquilli, non ho nessuna intenzione di annoiarvi con i soliti racconti del successivo restauro, le esposizioni a Firenze e Roma, il ritorno a Reggio, le infinite controversie relative alla possibilità di tenerli stabilmente in riva allo Stretto, oppure di mandarli in giro per il mondo come sponsor dell’arte e della cultura italiane, i boicottaggi nazionali contro Reggio e il Museo della Magna Grecia, quelli dei reggini stessi contro le statue (amate e poi dimenticate nella sala museale, poi ri-amate come vessillo identitario ed infine nuovamente scordate, ma esposte solo ad uso e consumo dei turisti), fino alle polemiche politiche (potrebbero mai mancare nel contesto italiano?) delle scorse settimane.
No, queste righe si concentreranno su un piccola e semplice riflessione, peraltro avanzata indirettamente anche da altri articoli e corsivi comparsi su diverse testate: cosa rappresentano ancora, per noi calabresi, i bronzi di Riace? Possono essere tuttora considerati un punto fermo della nostra cultura e una risorsa per il nostro turismo?
Lasciamo perdere tutte le discussioni e congetture su quali personaggi, storici o mitologici, incarnino, oppure quali fossero la loro collocazione originaria (sono emersi integri dai meandri del passato e dalle tenebre del mito, e tanto basta a renderli unici, inimitabili e leggendari).
Quello che a noi dovrebbe interessare è cosa farne delle due statue, regalateci dal destino in tutta la loro magnificenza; poiché, come affermato prima, sono stati da poco comunicati tutti gli eventi pubblici e di spettacolo che, da qui fino a settembre, accompagneranno i reggini nel corso di questo sospirato anniversario, è appunto d’obbligo ricordare come, fino a pochissimo tempo fa, quasi nessuno se ne sia ricordato mentre altri hanno agito solamente per montare qualche polemica politica. Oddio, recentemente la politica reggina ha meritato di finire al centro delle diatribe, ma è pur vero che anche il cittadino medio non ha fatto molti sforzi per ricordare il Cinquantenario, giustificato però dai mille problemi di ogni sorta che da diverso tempo affliggono la nostra bella Reggio.
Quindi, eccoci qua ad immaginare (per l’ennesima volta) il ruolo emblematico che i due Bronzi potrebbero ricoprire per le rive dello Stretto: storico? Perché no, lo sanno anche gli asini che essi rientrano tra le pochissime statue prodotte in bronzo giunte fino a noi dall’antica Grecia (o Magna Grecia, fate voi: è un’altra disputa aperta la reale provenienza geografica delle statue, le quali, essendo state ritrovate in mare, possono essere salpate da qualsiasi porto del Mediterraneo e non solo dalla Calabria o la Sicilia); identitario? Può darsi, dopotutto ci rammentano le nostre radici culturali (e, in parte, spirituali) e persino buona parte del nostro DNA cromosomico; sociale? Anche. Il Museo della Magna Grecia potrebbe diventare una macchina macina-soldi grazie alle statue e per macina soldi non intendo ingrassare le finanze investendole poi in progetti autoreferenziali, ma creare posti di lavoro (più di quelli già esistenti) e far decollare nuovamente l’economia reggina partendo dalla zona di ubicazione del polo museale per poi allargarsi a macchia d’olio su tutto il circondario e il centro storico impoverito (bisogna dirlo, c’è poco da fare); turismo? Andarsi a rileggere tutta la parte del sociale: i Bronzi, vessilli (dunque) storici, artistici, identitari, sociali, occupazionali ecc., se promossi bene, come si farà in questi mesi per il Cinquantenario (strano parlare di cinquant’anni essendo le statue vecchie di due millenni, naufragate quando la Calabria aveva neppure il suo nome attuale!), potrebbero diventare uno dei motori propulsivi di un’ampia fetta dell’economia cittadina ed anche della città metropolitana, con potenziamento del trasporto a lunga percorrenza (specialmente per quanto concerne l’aeroporto), giri turistici ben organizzati, esercizi commerciali, percorsi artistico-archeologici che si snoderebbero per tutta Reggio… insomma un cavo elettrico intriso di arte e cultura con la presa (a due, ovviamente) inserita direttamente nei Bronzi, un concreto progetto di vera rinascita saldamente legata al territorio ed alle sue risorse.
Se davvero riuscissimo a fondere insieme tutti questi fattori, siamo certi che l’intera archeologia reggina diventerebbe una miniera d’oro, altro che spettacoli o eventi celebrativi (che, anzi, acquisterebbero ancora di più una loro ragion d’essere nel contesto ipotetico appena illustrato)!
Filippo Mammì