Bova ha presentato il suo volto nella Giornata Fai, come borgo riconosciuto per l’alto valore culturale e ambientale. Il 16 e 17 ottobre, si è respirata un’atmosfera di grande suggestione sotto lo sguardo imponente, ma benevolo dell’ Aspromonte che ha accarezzato ricordi e mosso emozioni, tra grumi di case raccolte attorno a una piazza e vicoli e simboli.
La bruma lenta e quasi incolore, più che come una nebbia, si è insinuata arrivando dal mare come l’entità di un lontano passato, deciso a scivolare sinuoso come un fluido fumo, dalle remote terre del tempo, verso le cime dove poggia Bova insieme alle sue memorie.
La città ha così presentato il suo volto nella Giornata Fai, come borgo riconosciuto per l’alto valore culturale e ambientale. Il 16 e 17 ottobre, si è respirata un’atmosfera di grande suggestione sotto lo sguardo imponente, ma benevolo dell’Aspromonte che ha accarezzato ricordi e mosso emozioni, tra grumi di case raccolte attorno a una piazza e vicoli e simboli.
In questo territorio la fortuna avere uomini illuminati, nel passato così come oggi, ha fatto la differenza poichè riportare alla luce le molteplici bellezze di una civiltà che per secoli ha resistito, conservandosi fino alla sua riscoperta, richiedeva particolare sensibilità e competenza.
Bova è una città della provincia di Reggio Calabria, ed è il cuore pulsante di un vasto territorio detto Bovesia, incastonato nell’Aspromonte che grazie ai suoi silenzi, alla lontananza dai clamori del mondo moderno, ha preservato quasi intatto il patrimonio storico e linguistico della sua storia millenaria.
Le sue origini sono davvero lontane, preistoriche risalenti all’Età Neolitica. Popoli riconducibili agli Ausoni hanno abitato I suoi territori, poi assoggettati alla colonizzazione greca che diede vita a leggendarie città, come Delia per poi divenire, dopo la vittoria di Roma sui Cartaginesi, colonia di cittadinanza romana. Nell’arco di alcuni secoli, approdi di popolazioni barbariche provenienti dal mare e dal Nord Europa, portarono le genti sopraffatte di quei luoghi a lasciare la mitica città di mare Delia per fondare l’attuale Bova sulle alture. Memorie antiche danno notizia di una regina armena che volle salire sul monte Vùa per edificare la sua città.
Il toponimo di Bova “Vùa, significa “ricovero per I buoi”.
Le “visite” saracene e arabe in genere, hanno fatto di questa città prima dell’ Anno Mille, bersaglio di saccheggi ed eccidi. Bovà potè godere della pace solo con l’arrivo della civiltà normanna che diede un assetto feudale di cultura latina che nel tempo andò a sostituirsi a quella greca, soprattutto nelle funzioni e riti religiosi.
Il destino di Bova è stato quello che ha accomunato molte città della Calabria alternando drammi, guerre, carestie a periodi di prosperità, nei divari sociali tra le varie nobiltà che si succedevano e il mondo popolare che soffriva la povertà nel suo contesto agricolo e pastorale.
Oggi troviamo infatti nel borgo, Il Sentiero della Civiltà contadina che racconta attraverso numerose installazioni, l’uso degli attrezzi agricoli dei bovesi, delle loro mille abilità artigianali che oltre alla pastorizia e all’agricoltura, hanno creato capolavori della tessitura con fibre naturali, sulle tracce artistiche della civiltà bizantina coi motivi di decorazione sulle coperte, tappeti, tovaglie; gli strumenti musicali rappresentavano e ancora oggi rappresentano il mondo dei pastori, fatto di timbriche arcaiche e sonorità primordiali, di balli tipici come la tarantella.
Bova è terra di riti, di santi come Leo, il monaco picàro patrono della città, mitologie e leggende, di “musulupare” (stampi in legno intagliato dai pastori dentro cui pressare il formaggio appena fatto, tenero e bianco); è terra di uve greche, di greggi e chiese antiche, di minoranza linguistica che per la sua importanza dovremmo definire piuttosto “maggioranza”. Il “reperto” linguistico greco, salvato dal tempo ed appena in tempo dall’estinzione, con i suoni che si erano quasi perduti, gli accenti dimenticati, è ancora parlato da alcuni anziani abitanti del territorio e studiato dalle nuove generazioni. Qualcuno anni fa, si è accorto che una ricchezza culturale stava svanendo senza ritorno e ha deciso di ricomporla assieme all’identità di questo popolo attraverso studi e ricerche nella scuola ellenofona, nata alcuni anni fa per rivalutare questa lingua.
Gerhard Rohlfs, linguista, filologo e glottologo tedesco amò e dialogò con questa terra di Bovesia nei primi decenni del secolo scorso, come se fosse stata sua. Con il suo lavoro portato avanti negli anni che lo videro abitare questi magici luoghi, Rohlfs ha lasciato forti testimonianze, conoscenze documentate e illustrate che oggi costituiscono I contenuti del museo a lui dedicato.
Nella giornata del Fai il borgo si è popolato di appassionati e cultori del Sud, di civiltà quasi dimenticate, della natura che sovrasta I paesini aspromontani, chiusi dentro le loro storie. Tutto questo è stato possibile grazie all’impegno di tante persone del territorio che si dedicano con amore e grande senso di appartenenza, alla promozione della loro terra. Un grande protagonista di questo fermento culturale, è Pasquale Faenza, grande estimatore dell’opera Rohlfsiana e conoscitore di ogni particolare della sua attività di ricercatore e antropologo. È riuscito ad entrare nell’anima profonda e ancora viva del mondo grecanico, delle sue tradizioni, dei suoi misteri, dei suoi sapori.
La conquista del circuito Fai è stato il risultato di un lungo e laborioso lavoro di anni che singole persone come Faenza, ed altri appassionati studiosi della cultura ellenofona, hanno saputo valorizzare non senza difficoltà.
Il fascino di questi luoghi è rimasto immutato nel tempo e riportato in vita con dinamiche di pensiero e di conoscenze rivolte al passato, elaborate però con metodi moderni di recupero, conservazione, divulgazione e fruizione.
In questi due giorni, come prevedono le iniziative di questo tipo, gli angoli del borgo di Bova, sono stati presidiati da guide turistiche, installazioni artistiche di somma bellezza, le piazze, I vicoli, le “timpe” si sono come illuminati di sè, porgendo la loro storia, senza chiedere niente. Tra tutte le aree interessate nell’attività di promozione, il quartiere Giudecca, sezione urbana del Museo della lingua greco-calabra Gerhard Rohlfs e situato in zona alta, è stato protagonista con un ricordo muto ed intenso della presenza di una comunità ebraica qui vissuta, nel XV secolo. Il piccolo gruppo ebraico costituito da sei fuochi, svanì poi quasi nel nulla, così com’era arrivato, scacciato nel XVI secolo dal Regno di Napoli per decisione di Ferdinando il Cattolico. Persino le autorità locali cancellarono la comunità dai ruoli fiscali e civili.
Come in una specie di diaspora, anche il destino del popolo giudaico bovese, si unisce agli altri stessi destini che portarono questo popolo in molte parti del mondo. Ma nonostante tutto e fortunatamente, ha fatto in tempo ogni volta a lasciare tracce del suo passaggio, del suo ingegno, dei suoi simboli e grafìe rimasti anche a Bova tra I muri, nei documenti erariali che ne attestano già dal 1400 la presenza.
Oggi la memoria di questo pezzo di storia, è replicata dall’artista contemporaneo Antonio Pujia che ha esposto le sue opere coroplastiche come totem allineati, testimoni fieri di una storia ricca di significati e insegnamenti che non devono morire.
Girare per le stradine di Chòra tu Vùa, (il nome Bova in grecanico), cibarsi dei suoi sapori forti e introvabili in nessun altro posto del mondo, è stato come finire nella nebbia del tempo, quella stessa che ha accarezzato la città e trasportato emozioni a cui non eravamo abituati.
Anche I colori dei fiori, pastosi e intensi tra il verde elegante e sfumato dei monti in lontananza, sanno di antichità. Come in quadri romantici, incorniciano muri di pietra e mattoni rossi, portoni importanti, scale e balconi silenti. Per chi c’è stato, e non per caso, ha portato con sè andando via, qualcosa che ha arricchito la sua vita, un’immagine nella mente, una conoscenza, una nuova inaspettata passione che vogliamo racchiudere nella voce giovane che ha riecheggiato ad un certo momento tra I vicoli umidi di pioggia. Seppur attraverso la tecnologia di un telefono cellulare, riferiva a qualcuno che doveva essere importante, l’incanto e la meraviglia di quelle ore in Giudecca, con queste poche parole:” Non avrei mai immaginato di poter trovare un gioiello dentro un altro gioiello. E’ incredibile”.
Vittoria Camobreco