In occasione della presentazione del suo libro in Calabria, “La promessa. Un pastore, la guerra, un amore”, abbiamo intervistato Gianlivio Fasciano, autore che ha scelto la nostra terra per un tour promozionale di stampo letterario. Nato a Termoli, di professione avvocato, Fasciano ha una grande passione per la scrittura che lo ha portato a pubblicare diversi romanzi tra cui “Il tempo delle ciliegie”, vincitore del premio speciale “Paolo Villaggio un libro per il cinema 2017”, e “Tempo, sì grazie…”, premio “Città di Grottammare 2016”. Il suo ultimo lavoro, invece, è stato candidato al Premio Bancarella Famiglia 2024 e narra le vicende di Romolo Di Meo, pastore di Mastrogiovanni, durante la Seconda guerra mondiale. Lasceremo ai lettori il piacere di svelare la storia di questo romanzo complesso e profondo che, a breve, sarà presentato anche nella nostra Calabria, a Siderno, presso la Villa Comunale, domani, 25 luglio alle ore 21:30.
Francesco Salerno
Avvocato, abituato a lavorare sul concreto, sui fatti e le prove. Da dove nasce questo amore per la letteratura?
Dalla fantasia che mi appartiene e che riesce sempre a sorprendermi. Credo, tra l’altro, sia un elemento che accomuni sia il giurista che lo scrittore perché offre molteplici punti di vista.
I suoi lavori, come ad esempio “Il tempo delle ciliegie”, appaiono molto introspettivi e analitici dell’animo e della natura umana. Sono argomenti che le stanno a cuore?
Mi piace analizzare il singolo e la società. Nei miei romanzi provo a raccontare attraverso la descrizione dei sentimenti dei protagonisti quello che accade nel mondo in cui vivono. Da questo inevitabilmente emergono le pieghe, anche imperfette, dell’animo umano.
Nel suo ultimo romanzo, “La promessa. Un pastore, la guerra, un amore”, lei ambienta la sua storia durante la Seconda guerra mondiale in un’Italia sotto il regime fascista. Come mai ha scelto questo periodo storico?
Volevo raccontare attraverso una persona semplice l’intromissione dello Stato nella sua vita. Nel libro il protagonista, che diventa soldato, si ritrova disertore suo malgrado. È una storia che accomunò tanti ragazzi sbandati dopo l’armistizio. Ho scelto questo periodo storico perché, credo, non sia stato ancora superato. Le nostre famiglie, le nostre storie, sono piene di vicende come quelle di Romolo che meritano di essere raccontate.
Il protagonista, Romolo, porta un nome importante che riporta alle leggende romane tanto amate dai fascisti, sebbene lui non voglia combattere, e anzi, desideri tornare a casa a fare il pastore. E’ un caso la scelta del nome o ha voluto “giocare” col lettore?
Nella famiglia e nel nome del protagonista si cela il nodo scorsoio che tiene legata la storia. Devo lasciare al lettore il piacere di scoprirlo. Per il resto, Romolo è un pastore che nella sua semplicità ha le idee chiare, rispetta il padre e la madre e sa qual è la sua terra.
Come giudica questo momento storico nel nostro Paese? Siamo davvero, come dicono alcuni, sulla soglia di una deriva fascista o neofascista?
L’individualismo, anzi il singolarismo, sono stati in grado di rendere la solidarietà una illustre sconosciuta. Dovremmo essere in grado di riscoprire questo valore abitando le nostre comunità. D’altro canto, quello che sta succedendo in Francia spiega perfettamente la sensazione di straniamento degli ultimi che non si sentono rappresentati più da nessuno. A mio avviso non c’è una deriva fascista o neofascista nella sua accezione storica, ma c’è una ben più pericolosa cavalcata della rabbia dei penultimi, contro gli ultimi. È un moto di espulsione che è odioso. Sto parlando dell’incapacità di accoglienza dei migranti, ma anche della riforma dell’autonomia differenziata. Le aree interne, come la Calabria in questo caso, saranno mortificate.
Nonostante siano passati decenni, ancora in Italia c’è molta gente che si odia a vicenda, divisa equamente tra neofascisti e filo partigiani. E’ una cosa che dovremmo smettere di fare? E se sì, secondo lei come?
So che molti giovani si sono tesserati all’ANPI. Credo che questa scelta vada ricercata nella necessità dei ragazzi di ritrovarsi in movimenti organizzati che siano in grado di ricercare un futuro sostenibile, accogliente, di rispetto e benessere. Tornando all’esempio francese i giovani studenti si sono uniti con le generazioni prossime alla pensione perché hanno in comune la voglia di stare bene. Dobbiamo ritrovare le nostre comunità, non guardarci indietro (come nel caso di Romolo) perché impegnati nel guadagnarci un futuro inclusivo, solidale e possibile.
I temi da lei trattati sono internazionali, ma come ha visto reagire il pubblico calabrese alle sue storie?
Il romanzo pur avendo una ambientazione storica, si è ritrovato attuale per via della guerra in Ucraina, anche se devo ricordare che nel mondo, anche in Europa, ci sono tante altre guerre in corso. I nostri confini sono più che mobili. La Calabria conosce perfettamente sacrifici, violenze, soprusi. Alcuni sono stati magistralmente raccontati, come per esempio ha fatto Giuseppe Occhiato con lo Sdiregno che riporta il bombardamento di Mileto. Quanto a me devo ad una associazione “calabrese” presieduta da Antonella Sotira (avvocato di Roccella Jonica) la selezione del romanzo al prossimo Premio Bancarella Sezione Famiglia. Dunque, la Calabria è attenta e propositiva.
La Calabria è una terra che spesso finisce sui giornali per i motivi sbagliati, eppure cela in sé enormi ricchezze, storie, bellezze. Cosa l’ha colpita di più della sua visita in questa regione?
La Calabria è una terra complessa, come lo è la Campania, la Sicilia, le periferie metropolitane di Milano o Parigi. Personalmente non voglio partecipare alla degradazione avversativa per cui…sì la Calabria è bella ma… per lo stesso motivo non vorrei riproporre l’idea di un Sud immobile, immodificabile che vive di ricordi e perfetto. E torno al tema politico. L’autonomia differenziata non farà altro che aumentare diseguaglianze e la Calabria (come tutte le aree interne) ne soffriranno. Ne ho parlato a Melfi, in provincia di Avellino, in Molise. Dovremmo essere in grado di unirci contro questa riforma proponendo un’idea di sviluppo non retorica e che sia rispettosa, finalmente, dei territori.
Ultimo, se dovesse dare un consiglio ai calabresi che si stanno approcciando alla scrittura, cosa direbbe loro?
Direi loro di leggere senza riserva alcuna perché la letteratura non conosce assoggettamento.