La grave vicenda di mafia e di ‘ndrangheta di Stato che continua a colpire la famiglia e l’azienda dell’imprenditore Bruno Bonfà rimane ancora priva dell’assicurazione delle responsabilità sia di mafia che di Stato.
Tale vicenda è caratterizzata da gravissimi aspetti diversi, ma unitari, fortemente correlati, non adeguatamente indagati, quali: l’omicidio del Padre consumato nel corso della gestione dei sequestri di persona dell’epoca, che sarebbero stati gestiti, come affermano alcuni pentiti ed una Fonte resa presso la Direzione Nazionale Antimafia, anche con gravi complicità di Stato, di Servizi e carabinieri deviati, la memoria ancora viva di tutti coloro che sono stati trucidati, in quelle circostanze, soltanto perché fortuiti e scomodi testimoni di quei passaggi inconfessabili mentre erano intenti nel lavoro onesto dei propri campi e delle proprie aziende, l’annosa attesa del riscontro all’istanza presentata ai Sig.ri Presidenti della Camera e del Senato della Repubblica volta ad ottenere l’approvazione della costituzione di una Commissione d’Indagine Parlamentare su tali complicità, le minacce di morte e l’organizzazione di alcuni attentati a cui l’imprenditore fortuitamente sfugge, la persistenza delle distruzioni e dei danneggiamenti aziendali, dovuti alla presenza persistente delle “vacche sacre”, il dominio mafioso che attraverso di esse continua, da oltre un ventennio, ad essere esteso ed esercitato su tutto il territorio aziendale, la sospensione dell’abbattimento di esse, avvenuta a seguito di una riunione convocata con elementi di ‘ndrangheta, la presunta “fissazione” per la quale un PM di Roma sollecitava un Agente di Polizia di Stato a non acquisire la relativa denuncia che l’imprenditore andava a presentare, il mancato riconoscimento dell’insieme della natura mafiosa degli eventi denunciati, come pure la mancata, annosa ricostruzione dell’insieme del danno aziendale (si tratta di azienda importante sul territorio, prima in Italia con colture di bergamotto, a plurima diversificazione colturale e zootecnica ed a struttura integrata di alta qualità) subito a seguito di gravi fatti di mafia, nonostante due sentenze emesse da parte del Consiglio di Stato in accoglimento delle domande dell’imprenditore ed in rigetto delle relazioni di stima del danno redatte da parte del CFdS, quale Organo tecnico incaricato da parte della Prefettura di Reggio Calabria.
Quest’ultimo rendeva, infatti, la rappresentazione di un podere invece di un’azienda, malgrado alcuni organi di stampa abbiano ritenuto, dopo diretta constatazione di riconoscere l’imprenditore quale “Re del bergamotto”.
Parliamo, quindi, del diniego espresso alle successive istanze presentate ex L.44/99 anche quando il Comandante dell’epoca del CFdS riconosceva e segnalava il rilevante spessore mafioso del clan a cui appartengono queste “vacche sacre”, di cui non vi è menzione nel provvedimento di diniego redatto da due Sostituti Procuratori della DDA sulla base di informative dal contenuto, quantomeno, deviante, al contrario, nel tempo, favorevolmente espresso, per la medesima dinamica mafiosa denunciata, da due dei precedenti Sig.ri Procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Locri.
Proseguiamo, inoltre, con l’accusa di procurato allarme presso la Procura di Locri mentre, per le medesime ragioni e dinamiche denunciate, per le quali è imputato, risulta, al contrario, parte offesa presso la Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. L’insieme di queste ragioni ha sollecitato l’imprenditore a rappresentare formalmente presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria il divieto di accesso nella propria Azienda per tutte le forze investigative provenienti dalle sedi della Locride e la richiesta che le forze investigative siano scelte, per i relativi interventi in questa azienda, tra quelle provenienti dalle Sedi centrali di Reggio Calabria e non dalla Locride.
Chiede altresì un incontro con SE il Prefetto di Reggio Calabria ed al Sig. Ministro dell’Interno rinnova l’istanza sia dell’invio nella Locride di forze investigative adeguate alle problematiche che il territorio presenta e sia a rivedere le risposte date alle interrogazioni parlamentari presentate sulla vicenda in quanto tali risposte sono state formalmente date sulla base di informative, quantomeno, devianti, che continuano ad ingannare l’intero Parlamento ed ogni altro lettore, mentre il X Comitato presieduto dall’On.le Aiello, interno alla Commissione Parlamentare Antimafia, non ha più ritenuto di continuare la relativa audizione iniziata ed interrotta in riferimento anche alla gestione dei sequestri di persona dell’epoca gestite con complicità di Stato, così come affermano anche alcuni pentiti, come anche lasciano ben capire le contestazioni espresse, nell’immediatezza dei fatti, dai familiari delle vittime, nonché i gravissimi interrogativi espressi dallo stesso Procuratore della Repubblica dell’epoca presso il Tribunale di Locri, Dott. Macri, e secondo quanto emerge dagli stessi Atti redatti dalla Commissione Parlamentare Antimafia dell’epoca.
In presenza di tali fatti e dinamiche mafiose la Commissione Parlamentare Antimafia, i Dicasteri interessati continuano a tacere ed inoltre rimane l’annosa attesa del riscontro richiesto per conoscere se l’Ufficio Giustizia presso la Presidenza della Repubblica ha informato o meno il medesimo Presidente della Repubblica, per tali gravi fatti e misfatti di Stato.
Si tratta di fatti che interrogano gravemente la linea e la politica Antimafia, ma noi, come scriveva Monsignor Bregantini, il precedente Viescovo di Locri, “non possiamo tacere”.
Bruno Bonfà