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venerdì, Novembre 22, 2024
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Ditelo alla signora «G»!

L’autore critica l’uso superficiale del termine “popolo” da parte di politici e commentatori. Sostiene che il vero popolo non è una massa omogenea, ma è composto da cittadini con diverse competenze e capacità. La democrazia non può funzionare se si basa sul principio di “uno vale uno”, ma deve essere basata sulla competenza e sulla serietà dei rappresentanti eletti.

Ferdinando Rocca

La signora «G» si dice una persona del popolo a cui dare del tu. Anche noi siamo persone del popolo, ma non guadagniamo 24.461 euro al mese e non ci facciamo dare sempre del tu perché, come notava il grande saggista e intellettuale Umberto Eco, è una finta familiarità che rischia di trasformarsi in un insulto. Paghiamo regolarmente le tasse che servono anche a corrispondere un’indennità a ministri e parlamentari in carica, senza beneficiare, specie nel Mezzogiorno, di infrastrutture e servizi pubblici adeguati, di un servizio sanitario nazionale che tuteli la nostra salute come sancito all’articolo 32 della Costituzione.

E allora di quale popolo stiamo parlando: del popolo sovrano, del popolo eletto della carità cristiana o del popolo raggirato, stremato, che non riesce più ad arrivare alla fine del mese? Diciamolo pure alla signora «G» che il popolo di cui parla è una parola vuota, priva di significato e di corrispondenza con la realtà oggettiva. La parola «popolo» di cui in tanti oggi si riempiono la bocca non sembra essere il «cittadino» al quale l’ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici, ma il «suddito» di uno Stato autoritario, di un regime diversamente antifascista, un numero sulla scheda elettorale che non sempre è identificabile con il diritto di esprimere ed esercitare liberamente la propria sovranità. Esiste infatti una distanza abissale tra il concetto di «sovranità» così come era stato concepito dai nostri Padri costituenti e l’effettivo esercizio del potere che oggi, grazie a una serie di inadeguatezze e disfunzioni del sistema, rimane prerogativa quasi esclusiva di una classe politica in grado di fare il bello e il cattivo tempo.

Alcune forze politiche hanno fatto della democrazia diretta l’obiettivo principale delle loro rivendicazioni, ma anche un orbo potrebbe rendersi conto che in democrazia, ad esempio, il principio «uno vale uno» può funzionare solo come slogan. Non tutti gli individui, infatti, hanno capacità in ogni campo, cosicché ognuno possa ritenersi esperto quanto un medico in fatto di vaccini, quanto un ingegnere nella progettazione di un ponte o di un palazzo, quanto un economista nello studio e nell’analisi degli andamenti economici. Il livello di democrazia in uno Stato non è mai quantificabile nella somma delle sue parti e delle funzioni o attività ad esse collegate; non è esprimibile in termini di quantità ma di qualità, che va fissata in base al grado di condivisione e partecipazione di tutti i cittadini alla vita della collettività e alla serietà e competenza dei rappresentanti democraticamente eletti nel governo della cosa pubblica.

Nel nostro ordinamento costituzionale, non certo perfetto ma perfettibile, la più alta forma di democrazia è esprimibile in Parlamento, luogo del dibattito e della mediazione per eccellenza, dove ogni rappresentante siede senza vincolo di mandato ed è il rappresentante di tutti, non soltanto di una parte politicamente schierata. Ma c’è chi vorrebbe cambiare la Costituzione per svuotare il Parlamento di questa sua naturale e imprescindibile funzione. Ecco perché oggi si parla tanto di «premierato» o di «presidenzialismo», ma queste formule lasciano il tempo che trovano, non solo non sono determinanti ai fini della qualità di una democrazia ma, come ricordava Sandro Pertini, sono a un passo dalla dittatura.

Per governare ci vuole altro. Ci vuole innanzitutto una visione, oltre che un’adeguata competenza e ponderatezza nell’affrontare le varie questioni e risolverle. Un elettore dovrebbe essere in grado di valutare queste qualità e diffidare di questo o quel candidato che a parole dice di stare dalla sua parte; diffidare di quanti personalizzando il voto invitano a scrivere sulla scheda elettorale il proprio nome, semplificando e rendendo più accessibili le operazioni ma con il rischio di risultare indelicati nei riguardi dei propri elettori, trattandoli in questo modo da semianalfabeti. Basterebbe un po’ più di serietà e di buon senso per garantire a questo Paese la governabilità necessaria, senza prenderci in giro, conservando la fiducia e la stima che il nostro Paese ha sempre avuto storicamente a livello europeo e internazionale.

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