Dopo le elezioni politiche del 2008, la volontà popolare è stata minata da azioni della magistratura e dalla Corte Costituzionale. Questo ha permesso un “golpe bianco” nel 2011, orchestrato da tecnocrati europei e sostenuto dal Presidente Napolitano. La crisi del governo Monti ha spinto l’elettorato verso il Movimento 5 Stelle nel 2018. Tuttavia, la loro inadeguatezza ha portato a una crescente sfiducia nei partiti tradizionali, i quali hanno risposto con leggi elettorali che hanno indebolito la rappresentanza politica. A livello locale, ciò si riflette in una politica predatoria. In risposta, movimenti civici stanno emergendo, cercando di rappresentare il territorio e proteggere la città dalle inefficienze e dalla corruzione della classe politica dominante.
Di Oreste Romeo
STORIA E MEMORIA
Già dopo le elezioni politiche del 2008, le picconate alla volontà popolare furono inferte pressochè simultaneamente dalla magistratura milanese, che riconobbe uno stratosferico risarcimento alla tessera n. 1 del PD a danno del Cavaliere, e dalla Corte Costituzionale, che rase al suolo il lodo Alfano.
Tali operazioni accesero il semaforo verde per il «golpe bianco» del 12 novembre 2011, squallidamente pianificato dai tecnocrati europei e successivamente rifinito con pari dose di cinismo all’interno dei confini nazionali dall’ex europarlamentare comunista Giorgio Napolitano, nel frattempo diventato Presidente della Repubblica.
Archiviata la drammatica fase del disastroso governo Monti, preventivamente gratificato addirittura con la nomina di senatore a vita, lo sfogo della ribellione popolare causata dalla «manovra di palazzo» premiò nelle urne del 2018 il qualunquismo dei grillini, una accozzaglia di scappati di casa tenuti al guinzaglio da magistrati duri e puri, anch’essi successivamente epurati, come è accaduto a Davigo che continua ad esserne guru.
Il rilevante consenso conquistato dall’antipolitica grillina tra il 2013 ed il 2018 era già un significativo allarme per i partiti tradizionali, che tuttavia si interessarono solo di tentare di proteggersi dietro lo scudo di leggi elettorali con le quali hanno annichilito la rappresentanza politica, sino a generare un sistema autoreferenziale alimentato da crescente distanza rispetto alla volontà popolare e dalla ostinata negazione del sacrosanto diritto di scelta del corpo elettorale.
E comunque la storia ricorda che gli scappati di casa ritrovatisi al timone dell’Italia avrebbero impiegato solo un anno e mezzo a sputtanarsi su scala planetaria: facendosi essi stessi casta; non disdegnando le «manovre di palazzo» dopo avervi fatto ingresso; consegnandosi alla ipocrisia piddina, abbarbicata al potere a dispetto della penalizzazione riportata in ogni competizione elettorale.
La crisi di ciò che una volta veniva definita partitocrazia è evidente, e la misura la assicura il divario abissale che separa il corpo elettorale dalla cosiddetta classe dirigente che dovrebbe rappresentarlo.
Quanto succede sul livello centrale si riproduce pedissequamente a livello periferico: il territorio non è più una risorsa da individuare e valorizzare per le energie che esso è in grado di sprigionare, ma solo l’ambito in cui ai capetti locali è consentito di soddisfare appetiti predatori con le briciole di potere cadute dal «tavolo che conta».
E’, dunque, inevitabile che una reazione ci sia e si manifesti attraverso movimenti civici alternativi ai partiti.
Accade anche a Reggio, città ancora esangue dopo lo stupro con il quale andava punito chi si era reso macchiato della colpa di averle dato una prospettiva e ritagliato un ruolo da protagonista nello scenario nazionale e nel Mediterraneo.
Il civismo, in riva allo Stretto, è sicuramente una presa di coscienza tardiva ed al tempo stesso inevitabile dopo il fallimento dell’esperimento del 2020 che ha determinato la superfetazione della incapacità e dei ripetuti e clamorosi fallimenti della classe dominante cittadina, senza distinzione tra maggioranza confusa e compiacente ed imbarazzante minoranza.
Poiché la storia è memoria, specialmente in una terra da sempre animata dalla tragedia, appare scontato scorgere in questo periodo aspiranti «quinte colonne» che ipocritamente si professano interessati a guardare al futuro, benché solo nella perversa prospettiva di cancellare le indegne e ben visibili impronte lasciate sulla pagina più buia riservata alla città il 9 ottobre 2012.
E, dunque, se va mantenuta memoria della latitanza dei partiti che,dopo avere prodotto rappresentanti di approssimativa qualità, credono di poter pilotare i trasformismi di chi ostenta la maglia amaranto per celare quella, inevitabilmente rossa, di partito, proporsi dal «basso» equivale ad apprestare una scorta civica a protezione della Città dai missi dominici del nostro tempo.
In definitiva, ben venga la positività del civismo, ma è necessario vigilare sul trasformismo che risponde all’assetto consociativo radicatosi negli ultimi dieci anni a Palazzo San Giorgio e, per molti versi, alla Regione che ha ineffabilmente riservato all’ex braccio destro del generale Cotticelli la postazione di Commissario Straordinario dell’Azienda Ospedaliera della più grande città della Calabria.