Un professore del Liceo scientifico, Vincenzo Bruzzaniti, studioso di Dante ha scritto un commento sul canto XXIII dell’Inferno, dove sono puniti gli ipocriti.
Lenti lenti sotto le cappe dorate, gli ipocriti si affollano lungo la stretta bolgia infernale , simili ai monaci di Cluny. Immediatamente, il lettore è calato nell’atmosfera silenziosa del monastero, in un apparente luccichio sotto il quale covano passioni e tensioni assai poco nobili. Dante sottolinea nella scenografia, negli atteggiamenti e nel linguaggio degli ipocriti il doppio livello che domina la loro personalità.
L’oro esterno delle cappe in realtà è piombo, il loro sguardo è bieco, i loro sentimenti sono di invidia, sono curiosi di sapere e nello stesso tempo diffidenti. Ipocriti tristi si autodefiniscono, citando un passo del Vangelo di Matteo, il quale sottolinea come gli ipocriti amino esibire la loro tristezza nei giorni del digiuno. L’aggettivo, però, rende anche l’infelice condizione della loro anima che si crogiola nelle sue ubbie, chiusa nelle pieghe dell’incomunicabilità. Ma il termine tristi ha altresì l’accezione di cattivi e malvagi. Gli ipocriti sono tristi di dentro, come il piombo è vile cosa rispetto all’oro, incapaci di rapporti autentici, covano odio, vendetta sentimenti di rivincita verso quel prossimo col quale non entrano in relazione se non per perseguire i loro scopi personali. Perfidia e astuzia si sommano in loro: il frate godente Catalano indica Caifa a Dante non certo per amore del poeta, ma solo per distogliere l’attenzione da se e farla concentrare su un altro dannato di fama superiore alla sua. Caifa campeggia nella bolgia come emblema di ipocrisia “Uccidetene uno per il bene di tutto il popolo”- aveva detto nel Sinedrio proponendo la condanna di Gesù -; invero più cha al popolo pensava a se stesso. Ponzio Pilato non aveva alcun interesse ne voglia di uccidere Gesù , che mai aveva contrastato il potere politico dei Romani. Caifa lo volle uccidere , però, perchè Gesù aveva pubblicamente denunciato l’ipocrisia dei Farisei e aveva cacciato i mercanti dal tempio. Non era il popolo ebraico che aveva da temere da Gesù, ma Caifa e tutti i capi farisei. Cosi Gesù fu condannato come “nemico pubblico” dal gruppo dirigente ebraico. Virgilio, al vedere Caifa, si meraviglia, come se la ragione stessa si stupisse di una pena cosi orribile, ma anche di un uomo cosi perfido. Questa tuttavia è la bolgia degli ipocriti, nell’analogia che Dante instaura tra questi dannati e l’atmosfera dei conventi ritrova ancora una volta il Cristo crocifisso dai nuovi farisei. Ipocriti: il termine etimologicamente è composto da hypò (sotto) e krinesthai (giudicare ) e deriva dal greco Hypokritès (attore, cioè colui che imita i sentimenti di un personaggio). I primi commentatori della Commedia, invece, intesero il termine come composto da hyper (sopra) o hypo (sotto) e krusos (oro), vale a dire “coloro che hanno sopra o sotto l’oro”, cioè nascondevano qualcosa. Gli ipocriti hanno comunque la perfidia come loro abito naturale. Così Virgilio subisce lo scherno di essere beffato da Catalano.
Una sconfitta su tale piano, però, non diminuisce il rispetto e l’amore di che condivide il medesimo progetto di vita e Dante, affettuoso, corre dietro a Virgilio che a gran passi , procede verso la bolgia successiva.
Vincenzo Bruzzaniti