Come sarebbe stata la Calabria oggi se Antonio Guarasci fosse ancora vivo? La DC sarebbe diversa? La stagione della vita politica della Calabria oggi avrebbe un altro sapore? Le riflessioni in ricordo della memoria del politico Antonio Guarasci.
di Bruno Gemelli
Cosa e come sarebbe stata la Calabria senza l’immatura morte del suo primo presidente, Antonio Guarasci? Nessuno può saperlo. È una domanda a cui nessuno può rispondere. Sono passati cinquant’anni da quando l’uomo politico di Rogliano, precisamente il 2 ottobre 1974, mentre era in viaggio verso Roma per salvare il posto di lavoro di duemila operai di Cetraro, morì in un tragico incidente stradale sulla Salerno-Reggio Calabria, nei pressi di Polla (SA). Aveva 56 anni.
Mezzo secolo è tanto. Fra l’altro sono pochi i testimoni in vita di quella stagione. Uno di questi è l’ex deputato democristiano, Mario Tassone, che, su una testata online, ha ricordato il Professore Tonino Guarasci – così veniva chiamato – come «un politico estraneo a furbizie per raggiungere soddisfazioni personali. Il Suo fare politica era servizio, mezzo per recuperare la grande storia della Calabria offuscata e mortificata».
Intanto bisogna ricordare come Guarasci si collocava nel grande arcipelago della Democrazia Cristiana. Fu il 27 settembre 1953, appena tre mesi dopo le politiche del 7 giugno, destinate a segnare la crisi della coalizione tra DC e partiti minori, promossa da De Gasperi cinque anni prima, dopo aver conquistato in Parlamento la maggioranza assoluta. A Belgirate, Villa Carlotta, promosso da Alberto Marcora, si tenne il convegno da cui prese le mosse la nascita della corrente di “Base”, la sinistra politica della Democrazia Cristiana. La nuova corrente della sinistra diccì fondata durante la gestione fanfaniana della DC. Questa corrente ricevette l’immediato sostegno di gente come Enrico Mattei, presidente di Eni, Ciriaco De Mita, Luigi Granelli, Nicola Pistelli. E, cosa di non poco conto, di Piero Bassetti, primo presidente della Regione Lombardia, dal 1970 al 1974, a capo di una giunta composta da DC, Psi, Psdi e Pri.
La coppia Bassetti Guarasci segnò la vera novità di quella irripetibile stagione politica. Ha osservato il sociologo Vito Barresi nel primo capitolo del saggio “Da Guarasci a Scopelliti – Storia della Regione Calabria [1970-2014]”, (Editoriale Progetto Duemila- Cosenza, 2024, pagine 448): «L’avvento dell’ordinamento regionale prometteva comunque non solo di cambiare i volti dei protagonisti della vita pubblica, quanto essenzialmente la geometria dei conflitti politici che proprio in quella prima legislatura regionale deflagrarono clamorosamente, mettendo l’un contro l’altro i vari pezzi della Calabria provinciale e localista, entrati improvvisamente e impreparati in uno schema interattivo di coesione e cooperazione territoriale, la cosiddetta programmazione, privi di ogni benché minima formazione e predisposizione. Fin quando i gruppi politici municipali avevano avuto i propri collegamenti soltanto e selettivamente con il potere centralista e accentratore, essi potevano prescindere dal confronto dialettico con i restanti comprensori regionali, saltare la mediazione, il compromesso, la difficile costruzione di una comune programmazione che non fosse penalizzante, ma promozionale e valorizzante delle singole e originali specificità. Ma con l’istituzione dell’ente regionale il confronto, il negoziato, fino ad arrivare al più sofisticato metodo del partenariato, diventarono condizione imprescindibile per far decollare il modello regionalista.
Allora i linguaggi si confusero, prevalsero i tribalismi, generando come purtroppo accadrà per lunghi decenni un coacervo di veti incrociati, di guerre di posizione e di annientamento. Di fronte al fatto che gli stessi partiti si intersecavano con le divisioni comunali e zonali, nessun gruppo era abbastanza forte, omogeneo e autorevole per assumere la guida sicura della Regione, aprendo il varco alla palude, all’immobilismo, all’ibrida determinazione di poteri ed élite che ancora frenano il percorso evolutivo del regionalismo calabrese. Con molta probabilità scaturì da questi presupposti inibitori e paralizzanti le forze di vero progresso regionalista anche il tribolato verificarsi d’infiltrazione della criminalità e persino tragici, drammatici momenti di unificazione tra la ’ndrangheta e alcuni segmenti, personalità della vita politica regionale […]».