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domenica, Settembre 8, 2024
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Che Mediterraneo sia …

Giuseppe Romeo

Passano gli anni e si susseguono le estati e, come ogni estate che si rispetti alle nostre latitudini, il Mediterraneo torna a essere puntualmente un argomento di discussione, uno spazio nel quale ci si vuole riconoscere e, se fosse, lasciarsi anche contaminare da sensazioni, culture e, magari, opportunità. Insomma, una storia di cui ci ricordiamo ogni tanto e verso la quale cerchiamo motivi di identità se non, spesso, agganciare speranze o costruire narrative di riscatto dopo aver perso non solo occasioni, ma dimenticato il valore dell’altrui prossimità perché troppo presi dal ricercare quel successo di provincia che ben fa al mantenimento di leadership ancorate ai propri particolari. Con questo, nulla da dire sull’Assemblea generale della Commissione inter-mediterranea dei giorni scorsi. Iniziativa cui la Calabria sembra ribadire il suo protendersi alla ricerca di una propria identità non solo continentale ma, appunto, mediterranea. Ovvero, proponendosi quale ponte tra un’Europa troppo lontana, un’Italia ondivaga alla ricerca costante di un ruolo che non raggiunge mai e proprio nel Mare di casa. Certo, cosa dire su una iniziativa che potenzialmente rappresenta ciò che dovrebbe essere, ciò che sarebbe nella natura delle cose e ciò che è stato sino a qualche anno fa con la European Neighbourhood Policy (ENP). Cioè, la Politica Europea di Vicinato che apriva le porte a quel processo di Barcellona del 1995 poi abbandonato strada facendo e cui oggi ci si richiama. Ma anche questa è una vecchia storia. Eppure, tra parole che a volte sembrano far parte di quel lessico politico di circostanza valido per ogni stagione, non vi sono dubbi che il Mediterraneo racchiuda in sé storie senza tempo. Senza tempo, non perché millenario luogo di sperimentazione culturale e di relazioni e conflitti economici. Ma perché il Mediterraneo rappresenta oggi un mare dei desideri. Uno spazio mai diventato funzionale e di sostegno per realtà economico-culturali che dovrebbero porsi a cavallo tra Europa, Nord Africa e Medio Oriente allargato. Uno spazio senza tempo per un Sud che dovrebbe esprimersi, in questa prospettiva, come sintesi di più opportunità ricercando in una mediterraneità consapevole e sincera i motivi della propria rinascita. Non vorrei nascondermi dietro pensieri già noti richiamando un Fernand Braudel e i suoi immortali scritti sul Mediterraneo e sui popoli e culture del Mediterraneo o un Predrag Matvejević. Ma guardo, invece, a quanto non è stato fatto in tutti questi anni da coloro che avrebbero potuto e dovuto fare e che ancora oggi si pongono come promotori di un cambiamento senza rotta, credendo che gli altri ragionino solo in termini concettuali o di buone intenzioni e non secondo progetti e iniziative intraprese e divenute vincenti: il Marocco insegna. E non guardo alle nuove iniziative macroregionali jonico-adriatiche come una novità visto che ben altre e pari iniziative furono intraprese in passato e con successi nei raccordi e possibilità economiche create, come la macro-regione Rodano-Alpi o la Alpe-Adria per fare alcuni esempi, dalle quali non abbiamo appreso nulla in tutti questi anni. Nella “scoperta” quasi periodica della mediterraneità dell’Italia e della Calabria, parlare di possibilità di crescita, al di là delle iniziative intraprese ma che non sembrano andare oltre le promesse, i saluti o la giornata di incontri e di strette di mano, significa rimodellare non solo l’economia della regione e del Sud, ma anche rivedere aspetti sociali che dovrebbero guardare in modo diverso alle politiche di investimento e occupazionali. In regioni nelle quali dal turismo alle produzioni agroalimentari, all’artigianato non mancano le capacità di offerta diventa oggi una emergenza ridisegnare gli assetti produttivi e di sostegno attraverso una politica che inserisca ogni settore economico in una programmazione complessiva dove siano chiaramente espressi i risultati che si intendono perseguire e come. Una programmazione concreta, non fatta di parole, ma che tenga conto di tutte le possibilità e le risorse da mettere in campo valutando come sostenerle con programmi di infrastrutturazione che superino i provvedimenti estemporanei e che riconducano le scelte ad una visione allargata del Sud. Questo, attribuendo, al Sud quel ruolo strategico per il continente europeo e non ancorandolo ad una periferia che, capovolgendo i termini di relazione, potrebbe concretamente collocarlo al centro del Mediterraneo e trasformarlo in un approdo necessario al continente europeo. Ciò significa, ad esempio, che in materia di turismo si tratta di mettere in discussione l’attuale sistema trasportistico regionale tanto quanto se parlassimo di movimentazione delle merci prodotte in Calabria e da indirizzare verso i mercati del Nord Europa quanto del Mediterraneo. Di soluzioni ne abbiamo lette ascoltate molte in tutti questi anni. Tuttavia, il limite delle soluzioni stesse, è sempre ed è uno solo. La totale assenza di una visione di insieme. Il non avere una sensibilità progettuale nel decidere come gestire le grandi opere e come collocarle in un modello di rilancio del Mezzogiorno. Che si tratti di un ponte, di Alta Velocità o del porto di Gioia Tauro sembra paradossale che ognuna di queste emergenze finisca, nonostante i grandi discorsi e convenevoli, per rimanere fine a se stessa. Cioè, disancorata da un progetto complessivo di riorganizzazione del territorio in funzione proprio del rilancio che ognuno si auspica e fuori dalla connessione necessaria che la condivisione di uno spazio economico e politico come il Mediterraneo offre da secoli. Il limite di queste politiche da vetrina, prive di una unità programmatica e senza coordinazione di obiettivi economici, è quello di non garantire l’abbattimento delle distanze tra il Sud, le altre realtà del Paese e i suoi, nostri, proxy fronte-mare, illudendolo/illudendoci di essere protagonista/i ma solo per un giorno, laddove storia, cultura e tradizione dovrebbero richiamarlo/richiamarci: appunto, il Mediterraneo.

 

 

 

 

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