La fuga dei cervelli dall’Italia è un’emergenza che segna il nostro Paese da tempo. Ma più che una fuga diventa una triste consapevolezza, la consapevolezza di essere apprezzati altrove, la consapevolezza di poter raggiungere una stabilità, una propria autonomia e perché no, realizzare i propri sogni altrove. Il tutto mentre l’Italia è in caduta libera, con un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti d’Europa, pari al 23,7%.
La fuga dei cervelli dall’Italia è un’emergenza che segna il nostro
Paese da tempo e i nuovi studi, ed i relativi dati non fanno altro che dimostrare come il problema sia in aumento.
In un’era dettata dalla globalizzazione sembrerebbe fisiologico avere una mobilità di studenti in cerca di un arricchimento culturale e professionale all’estero, ma il problema nasce nel momento in cui non vi è un ritorno. Difatti, l’Unione Europea incentiva da anni ormai l’interazione tra i suoi Paesi membri, a favore di una formazione sempre più qualificata e di una mobilità vantaggiosa che non dovrebbe, però, segnare il destino finale di un giovane studioso.
È importante, quindi, definire che si parla di fuga di cervelli nel caso in cui il flusso di capitale umano, nella maggior parte dei casi altamente qualificato, è diretto in una sola direzione che si traduce in una grande perdita di risorse umane per il Paese di origine, come accade appunto in Italia.
Questo ha un costo stimato di 14 miliardi di euro all’anno, equivalente l’1% del Pil, come riporta lo studio della London School of Economics, così come registrato dalle ultime stime dell’AIRE (l’Anagrafe degli Italiani residenti all’estero), che registra nei loro dati 5.806.068 iscritti.
Il perché di questi numeri è leggibile nelle tante fragilità che segnano il nostro Paese, dove il costo di una vita dignitosa non è affiancato da stipendi adeguati; pochissime, quindi le possibilità per migliorare il proprio status, offerte di lavoro non consone alla propria formazione, il più delle volte per rimanere in Italia “ci si accontenta”.
Le capacità di innovazione e ricerca nel mondo del lavoro e dell’istruzione, requisiti fondamentali per mettere un freno a questa situazione, non sembrano rientrare a sufficienza tra le priorità dell’Italia; l’unica via possibile sembra essere quindi la fuga verso altri Paesi.
Ma più che una fuga diventa una triste consapevolezza, la consapevolezza di essere apprezzati altrove, la consapevolezza di poter raggiungere una stabilità, una propria autonomia e perché no, realizzare i propri sogni altrove.
Il tutto mentre l’Italia è in caduta libera, con un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti d’Europa, pari al 23,7%. Al tempo stesso, l’Italia è un Paese che non riesce ad attirare tanti studiosi quanti quelli che se ne sono andati, poiché una crescita in questo verso permetterebbe allo Stato di porre in atto quello che gli inglesi chiamano Brain exchange ovvero lo scambio di cervelli con uno spostamento equilibrato, non più unidirezionale.
Questa inversione di rotta può essere vista anche all’interno del panorama italiano, così come confermano i nuovi dati della Banca d’Italia, con un 25% di studenti universitari residenti nel mezzogiorno iscritti nelle università del Centro-Nord. Come una sorta di primo passo verso l’estero, alla ricerca di una vita che permette di poter progettare un futuro stabile. Nel caso specifico del nostro territorio, i calabresi residenti all’estero sono 437.447, un numero sempre più in aumento che richiama a gran voce l’urgenza al cambiamento, al rinnovamento, necessario e imprescindibile per il futuro di noi giovani.
Nella mia esperienza da fuori sede (calabrese a Roma), da ormai ben sei anni, mi riconosco in questo sentimento condiviso di urgenza che, per troppo tempo ormai, non ha trovato voce. Nella consapevolezza di un territorio ricco, non solo dei nostri affetti più cari; pieno di una ricchezza che potrebbe darci un futuro partendo dalla nostra istruzione, non ancora al passo con i tempi, che tiene strette le speranze di poter vivere nella nostra terra.
Apparentemente una storia che si ripete, ma per molte ragioni diversa, così come ritroviamo nelle parole di Monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana con delega al Mezzogiorno, in occasione della presentazione del rapporto della Fondazione Migrantes sugli italiani nel mondo presentato all’Università della Calabria.
«Il flusso del nostro tempo è diverso da quelli del Dopoguerra perché all’epoca partivano uomini e donne con titoli culturali inferiori e destinati ad essere manodopera: ora, invece, vanno via quelli che hanno una laurea. Ciò significa che il Sud viene espropriato di talenti e di capitale umano per cui ci impoveriamo, arricchendo regioni già dotate come Lombardia ed Emilia, oppure Germania e Svizzera, solo per fare alcuni esempi».
In questo scorrere del tempo che non ha trovato le giuste risposte, le nuove prossime generazioni meritano quindi, opportunità capaci di mettere fine a questo gap di disallineamento durato anche fin troppo tempo.
Giorgia Moniaci
Studentessa calabrese fuori sede