L’Università della Calabria conquista il primo posto tra le grandi università italiane, con un primato assoluto per le borse di studio e i servizi offerti agli studenti.
Massimo Veltri
L’Università della Calabria conquista il primato nella classifica Censis delle Università italiane fra i grandi atenei statali (da 20.000 a 40.000 iscritti) con un punteggio totale di 92,2.
È una notizia, suffragata da calcoli parametrici in funzione di una serie di servizi e prestazioni, non ultimi quelli relativi al numero di studenti e di laureati, agli sbocchi occupazionali forniti, ai risultati della ricerca, le relazioni nazionali e internazionali, anche con il mondo del lavoro, il mantenersi al passo con l’innovazione e talvolta compierlo in anticipo.
È legittimo commentare la notizia criticando la particolarità o la parzialità della griglia di valutazione – se ne possono allestire di ogni tipo, ovviamente – ma il dato rimane ad ogni modo di assoluto rilievo oltre che difficilmente contestabile.
“UniCal” è motivo di orgoglio per l’intero sistema universitario nazionale, per la regione Calabria e il Mezzogiorno.
Non è un risultato che nasce d’amblée e non è frutto di scelte recenti, per quanto importanti e decisive, basta pensare alla facoltà di medicina, dove illustri accademici ci hanno preferito rispetto ad altre sedi. Inoltre quest’anno ricorre il trentesimo anniversario della morte di Pietro Bucci, il Rettore che, dopo Beniamino Andreatta e prima di Giuseppe Frega, ha tracciato rotte indelebili lungo la strada per il futuro. Apprendere per crescere, ricercare per innovare i saperi al servizio del riscatto dell’arretratezza e dell’abbandono, in un’ottica mai localistica, tutt’altro.
Sono molte oggi le critiche e le lamentele rivolte ad una presunta autoreferenzialità, ad un arroccamento se non estraneità nei confronti della città, del mondo laico e di quello professionale circostante. Critiche infondate? Fino ad un certo punto e roventi sono state le critiche, quando dal suo sorgere Unical venne invocata e molto spesso rimproverata, come sorgente del processo di sviluppo.
In una terra povera priva di infrastrutture immateriali, di centri condivisi a carattere civile e statuale oltre che commerciale, dove forte era il ruolo del padrinaggio politico, di una politica clientelare e di corto respiro, intransigente e rigida è stata la risposta, improntata al rigetto di una seppur minima contaminazione: la purezza andava preservata su ogni cosa, a costo ahimè di strumentalizzazioni improntate alla “torre eburnea”, cliché fin troppo consunto. Si dirà in fututo che così era decenni orsono, confortati dal numero importante di generazioni di docenti via via affermatosi e mai a discapito della qualità, si badi bene, ma il rumore di fondo persiste, e l’affermarsi di Unical come valore condiviso oltre che riconosciuto rimane un obiettivo da perseguire. Il momento di grande conforto è oggettivamente, incontrovertibilmente un altro, forse il principale: mentre nelle università del nord si segnala una flessione nelle immatricolazioni, da noi, al sud, crescono.
Il treno verso le sedi storiche ha invertito il verso che sembrava stabile, consolidato? Se così verrà confermato sarà motivo di orgoglio, di fiducia, di speranza: sarà l’asseverare di scelte di qualità.