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C’è una questione meridionale anche nel PNRR

«La questione meridionale» è un tema caro a noi della Riviera ed ai nostri lettori, Pasquino Crupi ci ha istruito su questa dottrina e, seguendo una linea di pensiero che risale dritta dritta ad Antonio Gramsci, ci ha spiegato che l’emigrazione era la causa che stava alla radice del problema. Se a tutto questo aggiungiamo le croniche deficienze burocratiche degli Enti di ogni ordine e grado, il quadro diventa ancora più scoraggiante e getta un’ombra sinistra sulla possibilità che il PNRR possa aiutare a ridurre il divario.

 «La questione meridionale» è un tema caro a noi della Riviera ed ai nostri lettori, Pasquino Crupi ci ha istruito su questa dottrina e, seguendo una linea di pensiero che risale dritta dritta ad Antonio Gramsci, ci ha spiegato che l’emigrazione era la causa che stava alla radice del problema: «Gli emigranti e le loro famiglie da agenti della rivoluzione silenziosa si mutarono in agenti per dare allo Stato i mezzi finanziari per sussidiare le industrie parassitarie del Nord» (A. Gramsci, La questione meridionale).

La genesi del fenomeno risale al 1861, all’atto dell’Unità il reddito pro capite nel Mezzogiorno era di un quarto inferiore a quello del settentrione. I motivi erano molti, in primis gli effetti della dominazione borbonica e l’instabilità politica. L’Unità d’Italia peggiorò la situazione del meridione, poiché venne esteso all’intero territorio nazionale il regime liberistico del Piemonte sabaudo senza tener conto delle enormi differenze in campo amministrativo, legislativo e sociale. La pressione fiscale stroncò l’economia del Mezzogiorno che non era in grado di sostenerla, il tutto a scapito di un fragile sistema manufatturiero che finì per crollare miseramente.

Da allora fu esodo, che non si è mai interrotto fino a raggiungere nel decennio 1951-60 la quota di oltre due milioni di persone che abbandonarono il Mezzogiorno per trasferirsi nelle città del Nord o all’estero. Gli abitanti del Sud si trasformarono in un bacino di manodopera che serve ancora oggi ad alimentare l’impetuoso sviluppo industriale del Nord.

Il dato da analizzare è quello demografico che continua a rimanere di stretta attualità. Nel primo ventennio del Duemila il Sud ha perso due milioni di residenti, di cui la metà giovani tra i 15 e i 34 anni, per un quinto laureati. La parte pregiata degli abitanti, quella più giovane e istruita, se n’è andata. Secondo le previsioni dell’Istat, se questa tendenza non dovesse invertirsi, entro il 2056 le regioni meridionali perderebbero oltre 5 milioni di persone: un abitante su quattro.

Non è necessario essere grandi economisti per capire che se non c’è forza lavoro, la popolazione attiva che rimane non produce più ricchezza per sostenere il welfare, accrescendo così la dipendenza dal Nord.

Sempre l’Istat ci dice che tra il 1996 e il 2019, mentre la popolazione del Nord è cresciuta del 9,3 per cento, quella del Sud è diminuita del 2 per cento.

Francesca Mariotti, direttore generale di Confindustria, sottolinea che ogni anno le regioni del Mezzogiorno perdono 130 mila abitanti: «È come se scomparisse, ogni dieci anni, una città come Napoli o Palermo».

Per rendere meglio l’idea, leggiamo altri dati forniti dal Rapporto Svimez.

Nel 2022 il Pil pro capite al Sud è quasi la metà di quello del Nord: 20.900 euro contro 38.600. Il tasso di disoccupazione nel primo trimestre 2022 è stato del 5,7 per cento al Nord e del 15,2 per cento al Sud. Per tassi di occupazione nella Ue, Sicilia, Campania, Calabria e Puglia sono in fondo alla graduatoria, negli ultimi dieci posti su 300, insieme alla Guyana francese. Quanto alle donne, nel Mezzogiorno lavora una donna su tre. Due esempi, per capirsi meglio: a Bolzano il tasso di occupazione femminile è al 63,7 per cento, in Sicilia al 29,1.

Arriviamo al disastro della sanità: ogni anno due miliardi di euro vengono trasferiti dalle regioni del Centro-Sud a quelle del Nord per fornire ai meridionali le cure che non riescono ad avere nei loro ospedali. Il motivo è semplice: ogni anno la regione che eroga la prestazione viene rimborsata da quella di residenza del cittadino. E così accade che la sanità calabrese nel 2020 abbia versato nelle casse della Lombardia 230 milioni di euro.

Nel 2023, sempre secondo lo Svimez, il Pil dovrebbe crescere dell’1,7% nelle regioni centro-settentrionali e dello 0,9% in quelle del Sud. Nel 2024, il divario di crescita a sfavore del Sud dovrebbe peggiorare ulteriormente di circa 6 decimi di punto, attestandosi a +1,3% di fronte al +1,9% al Centro-Nord.

In campo energetico la Calabria non dovrebbe avere problemi essendo grande produttrice nel comparto idroelettrico, ma non si capisce per quale motivo la popolazione non riesca a trarne beneficio.

Se a tutto questo aggiungiamo le croniche deficienze burocratiche degli Enti di ogni ordine e grado, il quadro diventa ancora più scoraggiante e getta un’ombra sinistra sulla possibilità che il PNRR possa aiutare a ridurre il divario.

Pensate che i Comuni del Sud impiegano mediamente circa 450 giorni in più rispetto a quelli del Nord per completare la realizzazione delle infrastrutture e che non si contano i cantieri di opere pubbliche fermi o abbandonati.

Se andiamo nel campo della giustizia vediamo che un procedimento civile nel Centro-Nord richiede 695 giorni e al Sud 1.101.

Per carità di patria sorvoliamo sul disastro della giustizia penale e sui clamorosi flop delle mirabolanti imprese dei “magistar” allignati nelle Procure meridionali che costano all’erario cifre iperboliche e incidono pesantemente sul tessuto sociale e civile delle regioni meridionali sempre più connotate quali capitali del crimine. Reggio è stata la città in cui nel 2020 sono stati elargiti più fondi per risarcire chi aveva subito un’ingiusta detenzione con quasi 8 milioni, a seguire Catanzaro con 4 milioni e mezzo.

E il Pnrr, direte voi? Molti analisti sono scettici e non ritengono che possa aiutare a ribaltare questo stato di cose, d’altra parte lo stesso meccanismo di assegnazione non alimenta molte speranze. Il metodo di ripartizione dei finanziamenti europei è, infatti, basato sulla competizione territoriale, che avvantaggia di fatto le più efficienti amministrazioni del Centro-Nord. Un buon segnale di reazione e consapevolezza è giunto dalla rete Recovery Sud che vede 323 sindaci dei comuni meridionali riuniti a cercare soluzioni adeguate a contrastare il sempre più probabile rischio di una iniqua ripartizione dei fondi; ma la notizia di questi giorni che l’economista Fabio Panetta abbia respinto l’offerta del dicastero dell’Economia mettendo in guardia la Meloni sui ritardi del processo di attuazione del Pnrr, getta un’ombra sinistra sul nostro futuro.

Franco Arcidiaco

 

 

 

 

 

 

 

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