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lunedì, Novembre 25, 2024
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Briatore: il falegname e la sedia di Nardodipace

Lettera all’imprenditore, Flavio Briatore, dopo che durante la trasmissione “Carta Bianca” di Bianca Berlinguer, andata in onda lo scorso 27 giugno, ha affermato: “I figli dei falegnami dovrebbero fare i falegnami invece che andare a scuol. “L’altra settimana sono andato da un falegname e tutti i falegnami dell’officina avevano più di 50 anni, perché non avendo delle aziende che possono sopravvivere da sole. Ai figli gli fanno fare altre cose, tipo mandiamoli a scuola, mandiamoli all’università. Noi ci ritroveremo tra 20 anni senza più falegnami, senza più muratori. Non ci sarà più gente che fa i controsoffitti“.

Felice Foresta

Caro Briatore, stavolta non te ne sei proprio reso conto.

L’hai sparata grossa. Perché hai offeso non i falegnami e neppure i loro figli, ma tutti quelli che, come me, non lo sono. Perché hai messo il dito nella piaga della nostra ignoranza.

Forse è per questo, perché sono consapevole che mi manchi tanto, anche il fatto di non essere figlio di falegname, che a me piacere frugare tra le doghe del sapere artigiano e dei suoi aliti d’artista, fra le spighe del sapere contadino, e dei suoi anditi di poesia.

Anche un falegname osserva, accompagna e modella. E, come in un incantesimo, consegna stupori.

Non so se tu, Briatore, lo abbia mai incrociato un falegname. Forse, loro hanno altro da fare che bivaccare al Billionaire.

Sono certo, però, che tu non sappia che c’è un’umanità indistinta che insegna senza essere mai andato a scuola.

A suo modo.

Elabora e cesella. Crea, e rinuncia. Compone, e ricompone. Strofe, suggestioni, materia.

Sagoma idee per farne opera. Intervalli per farne contenuto. Silenzi per farne ologramma.

E non teme il caldo, l’avverso, il buio. E neppure le corbellerie.

Quelle che fanno ridere e, soprattutto, quelle che fanno piangere. Quelle che fanno piangere  anche le sedie.

Sì, anche le sedie.

Perché anche le sedie piangono. Il tempo che hanno perduto. Sole e senza ospitare nessuno. Sui loro fianchi e sul loro dorso.

Anche le sedie piangono.

La gioia che hanno rincorso dando ristoro alle gambe del viandante. Al cane che cercava la sua ombra. Il dolore di chi si è seduto per partire. Di chi è partito per sedersi, e non si è più rialzato.

Una sedia è un ricordo. Un volto. Un impegno col tuo io. Il grigio di un silenzio. Un sudore rosso vermiglio. La crosta del tuo ieri. Una fuga. L’inchiostro di un desiderio.

Anche le sedie piangono. Di neve e d’acqua. D’argilla e vento. Di luna e di tramonto. Di cuoio e sale.

Perché ogni sedia ha la fatica di un artigiano, la sagoma di un’inquietudine e le piaghe di un’addolorata.

Ogni sedia, però, è il senso del nostro cammino. Che ha senso quando ti fermi. Per guardare. Proprio una sedia. Anche una sedia sdrucciola.

Le sue lacrime di legno. E i suoi aghi di albume e latte.

Quando tuo padre t’insegnava a vivere.

Falegname di un presepio che è custode di eternità.

Già falegname, Briatore.

Quello i cui figli, anche senza studiare come vorresti tu, ha tanto da insegnarti.

A tacere, per esempio.

 

 

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