Il gruppo Borghinfiore ha incontrato il Sindaco Giovanni Pittari, già dirigente scolastico, presso il Municipio, nell’ampia piazza, circondata da case e da suggestivi muraglioni in pietra.
Il paese è facilmente accessibile seguendo, dopo Gioiosa, la strada provinciale ex statale n. 281 e poi, al bivio del ponte, procedendo diritto lungo la valle del Levadìo che ha alla sua destra Grotteria e alla sinistra S. Giovanni, suo Casale all’epoca della Contea medievale.
Il borgo è noto soprattutto per il Santuario di Maria SS. delle Grazie, il cui culto dicono datato intorno all’anno Mille: l’interno è davvero stupendo, ampio, ricco di stucchi e di colori luminosi, in stile barocco. L’edificio, di struttura neoclassica esternamente, risale all’Ottocento, ma l’abbellimento è posteriore, frutto di interventi aggiuntivi. Anche la statua della Madonna è speciale, in legno scolpito e decorato, adorna di angioletti, con lunghi raggi dorati intorno, che sembrano aprirsi da una grande conchiglia. È opera dello scultore romano B. Valentini, del 1760.
Considerando il groviglio di vie, sottopassaggi, case a castello, ammucchiate in varie forme, vecchie o restaurate, scale e discese, intorno al Santuario, vien da pensare che questo sia il nucleo fondativo del paese. Invece il vero centro è più giù, dove si trovano le altre due chiese: dell’Assunta e di S. Giovanni Battista che è il patrono e ha dato il nome al piccolo borgo.
Parlare di chiese è parlare non solo di religione, ma di arte, di comunità, di valori. Statue e dipinti di varie epoche sono il ritratto di un popolo che ama la bellezza, l’ordine, la tendenza a conservare opere degli antenati: in ciò, il paesello – mi si passi il termine affettuoso – ne è un esempio lampante. Camminando per le vie del borgo, ne abbiamo colto la pulizia, la presenza di acque sgorganti fresche dalle fontanelle in vari angoli delle strade, di abitazioni con facciate rifatte: rifatte sicuramente dai risparmi di tanti emigrati.
Sì, si sale e si scende anche in macchina, costeggiando palazzi nobiliari (Macedonio, Barillaro, Lucà, tra i tanti), ruderi in pietra calcarea dove è visibile il lavoro di antichi scalpellini, palazzi nuovi con orti e giardini accanto. Agrumi con i loro frutti gialli, l’alloro con boccioli di fiori bianchi, pini, palme, olivi, fichi; anche vasi con le orchidee d’intenso color rosa-fucsia..Un bambino circolava felice lungo una strada tutta a sua disposizione, con la bici elettrica.
Per secoli S. Giovanni di Gerace ha avuto una popolazione di oltre un migliaio di persone: nel 1921 ha raggiunto il massimo, 2019 unità! L’ultimo dopoguerra ha segnato, anche per questo borgo, una demografia in declino, a causa della migrazione lavorativa. L’agricoltura e l’artigianato che per secoli hanno costituito l’ossatura delle generazioni, hanno subito l’incremento di nuove professionalità, le quali hanno cercato altrove l’impiego in attività retribuite in modo soddisfacente.
Il verde dei colli circostanti, la fiumara fluente di acque a valle, l’esposizione dell’abitato a Sud Ovest, danno l’impressione di un borgo ordinato, quasi esposto in una vetrina ideale, in attesa di visitatori, come le vetrine in città ai tempi del lock-down durante le restrizioni da epidemia di covid 19: è in letargo o in attesa? La circolazione scarsa indica una località distante dai circuiti di traffico: e si sa quanto sia importante per ogni centro urbano la vicinanza a un nodo importante di strade nazionali, perché la facilità di trasporti favorisce commerci ed economia. Nei secoli passati, i viaggiatori diretti alle Serre e viceversa, passavano per il borgo, attraversando Croceferrata, legando di rapporti le due coste, ionica e tirrenica. Oggi, non è più così, le vie affollate da traffici passano altrove, non da questo piccolo borgo, che conserva altre potenzialità da rivalutare.
La seconda chiesa visitata, dell’Assunta, contiene opere artistiche antiche, recuperate da edifici religiosi terremotati o diruti, quali la pala settecentesca dell’altare maggiore e il pregevole busto ligneo dell’Ecce Homo, accanto a tantissime statue processionali dei secoli scorsi, come ci ha fatto notare il parroco padre Francesco.
La terza chiesa, situata nella parte bassa del paese, a una sola navata, è intitolata al patrono del paese S. Giovanni Battista che si festeggia a giugno: la statua esposta in edicola al di sopra dell’altare è opera di artista napoletano, datata 1730; pure del Settecento sono i dipinti di S. Giovanni nel deserto e di S. Francesco di Paola. Ma quella che ci ha colpito di più è un dipinto su tela di Giuseppe Cavaleri (1829-1880), pittore e scultore di Grotteria, che rientra nella storia del nostro territorio: opera molto significativa, con lo sguardo del Battista che mira lontano, una mano che poggia sulla bibbia e l’altra in alto col dito puntato, mentre due animali sono ai suoi piedi. È semivestito, con abiti alquanto logori, ma rivelano parte della corporatura muscolosa, audace. È un Battista che ha coraggio aspettando il futuro, non è quello della testa mozzata a causa della gelosia perversa di Erodìade.
Il piccolo borgo ci ha regalato delle vetustà conservate con amore, grazie al culto delle memorie. Invitiamo altri a visitarlo, perché si deve conoscere per potere apprezzare. Anche bere l’acqua delle sue fontane, una diversa dall’altra, con sapori e indizi di luoghi specifici, ma tutte genuine, che percorrono poche decine di metri di tubature e finiscono tutte giù nella valle a unirsi alle acque della fiumara Levadìo.
È alla “Scialata” la sorgente d’acqua oligo-minerale più nota, presso un’area attrezzata per picnic, situata nelle verdi e boscose montagne, a breve distanza dal paese, alla fine di un percorso naturalistico suggestivo, tra alberi, ruscelli, cascatelle, che ci proponiamo di visitare prossimamente.
Caterina Mammola