Ilario Ammendolia ricorda una persona importante per lui ed il paese di
Caulonia.
Frequentavo la seconda elementare in un vecchio palazzo cadente, quando entrarono in classe tre bambini che non parlavano in italiano. Erano rientrati in paese da una terra allora lontana: il Belgio. L’ intera famiglia era emigrata anni prima per seguire il padre minatore.
Così ci siamo conosciuti con Ilario, detto il “belgese”, e con lui abbiamo frequentato insieme le scuole elementari. In quinta avevamo fatto progressi e dal palazzo pericolante ci aveva spostato in un magazzino senza bagno, senza acqua, senza finestre. Ed un giorno quella aula brutta (ma bella ed allegra ai nostri occhi di bambini) si riempì di tristezza quando il nostro “belgese” si presentò a scuola piangendo a dirotto, perché suo padre era rimasto ferito in miniera. Dopo gli anni dell’infanzia, lasciò di nuovo il Paese per lavorare lontano. Ha conosciuto mezzo mondo e parlava correttamente quattro lingue.
Ma, come tutti gli spiriti inquieti, sentiva il richiamo del “nido” così che, ad un certo punto della vita, decise che era giunta l’ora di rientrare per sempre nel suo Paese. Durante la mia ultima esperienza di sindaco veniva a trovarmi con frequenza quotidiana. La scusa era una vecchia strada, ma in realtà, voleva parlare. Volevamo parlarci. Non tanto di passato.
Il belgese era una persona intelligente e la sua lunga esperienza in giro per il mondo, lo aveva portato a fare delle scelte di vita molto diverse dalle mie. Se dovessi definirlo, direi che è stato uno spirito anarchico.
Non mi parlava mai di politica, ed ancor meno di amministrazione comunale. Anzi non capiva proprio perché io avessi fatto la scelta di consumarmi, giorno dopo giorno, nell’impegno politico. Ma, e per quanto incredibile, possa sembrare, il Belgese mi “costringeva” a meditare sulla sua scelta di abitare in una casa fuori paese in compagnia dei suoi cardellini, della sua musica, a stretto contatto con la natura, per il suo bisogno di gustare la vita giorno dopo giorno nella sua semplicità.
Infatti, il giorno che smisi di fare il sindaco lo vidi intristito, forse perché perdeva un punto di riferimento quotidiano, eppure sono convinto che passato il primo momento, in cuor suo era felice perché, quantomeno ai suoi occhi, avrei recuperato la mia libertà.
Non voleva certo mettermi in crisi, ma confesso, qualche volta c’è riuscito perché spesso mi ha costretto a fermarmi e ripensare al tempo che passa, ed a tutto ciò che quotidianamente si perde inseguendo sogni che svaniscono all’alba.
Ad una certa età, ogni compagno di strada che se ne va ti lascia più solo e più triste.
Oggi, in un giorno d’inverno, il nostro meraviglioso prato fiorito che chiamavamo “Paese”, ed amavamo alla follia, perde un’altro filo d’erba, un’altro fiore.
Il vento è freddo… Addio “Belgese”!