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La sentenza Lucano: costruita ad personam?

La Sentenza Lucano, pare proprio costruita ad personam. Ecco il dispositivo in cui l’ex sindaco di Riace è imputato di associazione per delinquere, abuso di ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione.

 Si è scritto tutto ed il contrario di tutto, espressa profonda indignazione e malsana soddisfazione, in merito alla Sentenza Lucano, come è opportuno definirla, perché pare proprio costruita ad personam.

Ed allora, cercherò di uscire dagli schemi di commento abusati e dare una chiave di interpretazione tecnica, di quel dispositivo, che è utile riportare, attendendo le motivazioni per i necessari approfondimenti, ma ricordando le precedenti pronunce della Cassazione e del Gip.

Lucano era imputato di associazione per delinquere, abuso di ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione.

La lettura del dispositivo della sentenza del Tribunale di Locri, ci fa comprendere come ai 13 anni e 2 mesi si arriva cumulando le pene per i singoli reati. Ma, sempre la lettura del dispositivo, consente di stabilire alcuni dati oggettivi molto importanti:

primo, non sussiste alcuna condanna per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e quindi per la violazione della legge Turco-Napolitano. Potremmo dire che quindi il modello “Riace”, quanto ha determinato in termini di integrazione dei migranti, non è stato oggetto di condanna.

Secondo, Lucano rispondeva di 16 capi di imputazione, è stato assolto per 5, condannato per 10 e 1 capo di imputazione è stato dichiarato prescritto.

Si può dire che la condanna poteva essere ancor più pesante, essendo stato anche riqualificato il reato di abuso di ufficio.

La condanna riguarda una serie impressionante di attività finanziate  con denaro pubblico, operata con altri, quindi l’associazione a delinquere per commettere “un numero indeterminato di delitti contro la Pubblica Amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio” e “soddisfare gli indebiti e illeciti interessi patrimoniali delle associazioni e cooperative” create e controllate da Lucano e dai suoi amici come “enti gestori dei progetti Sprar, Cas e Msna” .

Un peso decisivo, nella quantificazione della pena, arriva dalla riqualificazione, che comporta l’aumento della pena, in truffa aggravata allo Stato, cioè alla Prefettura e al Viminale per i contributi indebiti o ingiustificati alle varie associazioni, che prima era abuso di ufficio.

A questo si aggiunge un’altra truffa allo Stato da 281 mila euro per una miriade di “costi fittizi o non giustificati”, “false fatture” false annotazioni sui registri Inail di ore lavorate, “fittizi acquisti di bombole, materiale di cancelleria, mobili e schede carburante false”, con l’accusa di falso ideologico in atto pubblico per ben 56 provvedimenti falsamente attestati.

E, per finire, il peculato, per essersi “appropriato in modo sistematico” di “ingenti fondi ottenuti dallo Stato per l’accoglienza dei rifugiati”, condanna che aumenta ancora la pena.

Appare pertanto opportuno, esaminato il dispositivo ricordare che la Cassazione, con il provvedimento 26 febbraio 2019 è intervenuta in argomento, revocando la misura cautelare contro Lucano per l’assenza di “comportamenti fraudolenti” che Lucano avrebbe “materialmente posto in essere”.

La Cassazione si riferiva, è bene ribadirlo, proprio a quei “comportamenti” oggi oggetto di condanna.

E ricordiamo pure come, all’inizio di questa vicenda, le ipotesi della Procura vengono subito stroncate dal gip Domenico Di Croce che nell’ordinanza riduce la presunta associazione a un «diffuso malcostume che non si è tradotto in alcuna delle ipotesi delineate dagli inquirenti». Ben sette reati, relativi alla turbativa dei procedimenti per l’assegnazione dei servizi di accoglienza, vennero rigettati, con ben 14 richieste di arresto che i magistrati non sono riusciti a ottenere.

“Di fatto ( scrisse il gip) viene individuato l’ingiusto profitto nel totale delle somme incassate dalle cooperative, quando invece andava individuato nella differenza tra il totale e le spese realmente sostenute».

Nel processo i magistrati inquirenti non sono riusciti a trovare un euro, un solo euro per il presunto arricchimento personale.

Non trovando i soldi allora l’accusa ha virato in una tesi che appariva spericolata, ma poi ha pagato, in termini di “convincimento” del Tribunale:

Lucano non avrebbe agito per aiutare i bisognosi ma per un presunto movente politico ed elettorale.

«L’annunciata candidatura alle regionali di Mimmo Lucano nella lista di Luigi De Magistris conferma le sue reali ambizioni politiche», dice l’accusa ad Aprile operando la conversione dell’individuazione del movente.

E si apre tutto un altro contesto culminato con la sentenza di condanna a pochi giorni dal voto.

E per completare il quadro, ricordiamo la tragica scomparsa dell’Avv. Antonio Mazzone, e quindi di una linea difensiva riservata e tecnica e che, credo, avrebbe fortemente sconsigliato la candidatura, con la sentenza da emettere.

Sono scelte professionali, sulle quali non è opportuno entrare, lo faccio solo per offrire il quadro completo, ripeto, e richiamo l’arringa finale del Collega Pisapia dove si esalta il ruolo sociale, l’attività di Lucano: “Riace non è un modello – precisa Pisapia – ma un laboratorio. È in ogni esperimento ci sono successi e insuccessi. Sbagliare è umano, però l’errore amministrativo non è uguale a una condotta penalmente rilevante. Soprattutto, ci sono fatti non punibili e cause di non punibilità, che in questo processo ci sono tutte”.

Le scriminanti applicabili al caso Riace, esposte dal Difensore, non hanno trovato il consenso del Tribunale.

Pisapia conclude l’arringa citando Calamandrei e ricordando che “il giudice penale è uno storico e Lucano non ha agito per il potere, ma perché ci credeva. E se ha sbagliato, lo ha fatto in buonafede”.

E qui si apre tutto un altro dibattito, che esula dal contesto giuridicob e da cui mi sottraggo, per il taglio oggettivo che ho voluto dare a questo articolo.

Carlo Maria Muscolo

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