“La prima volta che lo vidi mi sembrò un senza tetto. Mi affacciai e gli chiesi se avesse bisogno di qualcosa. Lui, timidamente, si alzò dalla panca e mi venne incontro, si presentò come Presidente o Responsabile di una associazione, Città futura, nata per aiutare gli immigranti, distrutti nel fisico e nella mente, sbarcati nelle coste di Riace”.
La prima volta che lo vidi, notai uno sciancato. Vestito disordinato, con lo sguardo eternamente perso, stava, da qualche ora, seduto davanti la porta del mio Ufficio. Allora, nel 1999, ero Assessore Provinciale alla Cultura. Ogni volta che si apriva la porta, lo notavo sempre nello stesso posto, in silenzio. Non parlava, come se il dire potesse portare fastidio all’ambiente…Chiamai la Segretaria che gestiva la rubrica degli appuntamenti e le chiesi…”Non so Assessore. È da stamattina che è lì fuori”. “Ma possibile che pure dentro il Palazzo della Provincia di Reggio Calabria stazionano persone senza tetto? Così mi apparve, la prima volta, Mimì Lucano. Mi affacciai e gli chiesi se avesse bisogno di qualcosa… Lui, timidamente, si alzò dalla panca e mi venne incontro, domandandomi se potessi riceverlo. Si presentò come Presidente o responsabile di una associazione, Città futura, nata per aiutare gli immigranti, distrutti nel fisico e nella mente e che sbarcavano nelle coste di Riace. In quel periodo, assistevano dei Curdi che erano sopravvissuti ai massacri dell’esercito turco. La Provincia, quand’era viva, prima che l’assassinassero per una mangiata di fagioli, assisteva e finanziata, oltre le attività culturali e di promozione su tutto il suo territorio, anche tutti i progetti di assistenza umanitaria e di contrasto allo spopolamento. Lo guardavo, seduto su un comodo divano mentre, finalmente, aveva riacquistato voce e aveva iniziato a raccontarmi che era malato di Umanità, del suo idealismo politico, che lo portava ad annullarsi dentro un processo di contrasto ad ogni forma di violenza. Del suo consumarsi nel voler rendere l’ultimo respiro di uno schiavo in alito prepotente di libertà, di emancipazione e di integrazione. Nel dialogare, mi sorse una curiosità: “Ma come sei arrivato a Reggio?” Mi rispose che si era alzato alle 5 e, a passaggi (autostop), era arrivato, da Riace, dopo 5 ore. Sostanzialmente, con grande dignità, perché aveva pochi soldi… Capii che era digiuno. Uscimmo dal Palazzo e andammo in un bar. Mi parlava dei suoi sogni. Ci accordiamo per una mia visita a Riace. Gli dissi che lo avrei accompagnato io, per il ritorno, per il senso strano che mi dava Mimì. Non volle. Mi confermò che avrebbe usato lo stesso mezzo con cui era venuto. Ora, caro Mimi, questo non è più un mondo per noi, sciancati. Va beh che potranno ucciderci e ballare attorno alle nostre ceneri… Non potranno, mai, noi esseri ultimi della Terra, dire, però, che siamo stati reticenti di fronte allo sconquasso causato dalla violenza e diseguaglianza verso gli uomini o cose indifese. Non potranno dirlo perché ciò che lasciamo, è solco profondo e perpetuo dentro la mente di ogni persona dotata della minima capacità di elaborare la Storia degli Uomini.
Santo Gioffrè