In una regione dove la presunzione di saccenza colpisce ogni manifestazione di potere creando ogni giorno eccellenze da copertina, dove si tende a ringraziare con particolare enfasi chi fa solo il proprio dovere, dove si celebra l’apoteosi della DaD vista come salvezza del pericolo che il contagio possa pregiudicare la nostra esistenza senza pensare che uccidendo il sapere si rinuncia ad un aspetto della vita, non credo vi saranno risposte.
Ci si interrogava mesi fa sulla possibilità che anche in Calabria si affermasse un sentimento di riscatto e di consapevolezza sulla necessità di cambiare un destino poco generoso. Ci si interrogava, insomma se, al netto delle manifestazioni di intenti, ovviamente, sarebbero poi seguite delle concrete scelte per ridefinire una regione che ha perso anni e risorse utili per recuperare. prima di tutto a se stessa, una qualità della vita adeguata ai tempi e alle aspettative delle persone. E, ancora, ci si interrogava se vivere ai margini poteva rappresentare un buon motivo per continuare a vivere in un modello economico assistito e politicamente subalterno. O se, forse, non sarebbe stato il caso di diventare protagonisti delle nostre vite facendo a meno di redditi da circostanza e sermoni recitati da missionari provenienti da altre latitudini, o reclutati in loco da promesse populistiche del momento questi ultimi, oggi, divisi tra esuli e dissidenti estromessi da un movimento che di democratico ha davvero poco se non nulla. Alla fine, al di là delle ottimistiche e speranzose illusioni, esserci interrogati ieri o interrogarci oggi, e in maniera disarmante anche domani, non porterà a nessuna risposta. O, meglio, a nessuna nuova risposta o, nella più felice delle ipotesi, a delle non-risposte. In una regione dove la presunzione di saccenza colpisce ogni manifestazione di potere creando ogni giorno eccellenze da copertina, dove si tende a ringraziare con particolare enfasi chi fa solo il proprio dovere, dove si celebra l’apoteosi della DaD vista come salvezza del pericolo che il contagio possa pregiudicare la nostra esistenza senza pensare che uccidendo il sapere si rinuncia ad un aspetto della vita, non credo vi saranno risposte. Tutto sembra essere ritornato nel canone verghiano del nulla cambi per far finta che si cambi qualcosa, nel paradosso della lenta e sorniona quotidianità della quale la stessa rassegnazione non è più un modo di porsi a difesa, ma si trasforma in un alibi del non fare. D’altra parte, gli eroismi, quelli quotidiani, che non cercano visibilità o che non celebrano successi lasciando parlare i fatti, stentano a maturare in un clima in cui ci si preoccupa di conquistare qualche metro in più nelle nostre posizioni di vita o conservare quel tanto che basta per garantire un’esistenza nella speranza di potere sempre contare sull’amico al bisogno. In tanti si erano illusi che questa sarebbe stata la cosiddetta volta buona, ma in molti riascoltano quel fin che la barca va! di sanremiana memoria consapevoli che il mare è sempre lo stesso e che agitarlo alla fine significherebbe fare i conti con l’incognita del dopo, con il dover mutare stile e pensiero di vita. Una condizione, sembra, che nessuno vuole e che proprio chi la brandisce a bandiera è colui che alla fine la negherà in cuor suo.