Un dibattito molto acceso sui social che però avrà probabilmente vita breve, riguarda una proposta di legge che starebbe per presentare il Senatore del Partito Democratico, Dario Franceschini. La proposta prevede di dare ai figli dei nuovi nati nel nostro Paese, automaticamente solo il cognome della madre, non più quindi quello del padre, come è sempre avvenuto e neanche il doppio cognome di padre e madre, ma solo ed esclusivamente quello della madre.
Questa rivoluzione non è nuova.
Lo scorso 15 febbraio 2022 infatti, in Commissione giustizia del Senato era stata già proposta di legge per attribuire direttamente ai figli e alle figlie il cognome della madre ed eliminare così l’automatismo dell’assegnazione del cognome paterno, da molte e molti ritenuto discriminatorio non soltanto rispetto ai figli e alle figlie, ma più in generale anche nei rapporti e tra i componenti della coppia. È da oltre quarant’anni che in Italia si parla di questa possibilità: ci sono state molte sentenze e convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, ma ancora oggi non è possibile attribuire al figlio o alla figlia il solo cognome della madre. Tra l’altro, è bene precisare che questa diatriba sul cognome vale solo ed esclusivamente per le coppie sposate, per le coppie non sposate l’iter per l’assegnazione del cognome è lunga, costosa e complessa e non sempre finisce con il riconoscimento del cognome voluto da parte del Tribunale dei Minori.
«Il cognome è una questione di potere, visibilità sociale e autorevolezza, negata alle donne e dalle donne stesse spesso sottovalutata» aveva spiegato la giornalista Monica Lanfranco qualche tempo fa su MicroMega. Le donne perdevano il cognome (paterno) con il matrimonio e prendevano quello del marito, in pratica un passaggio da uomo a uomo, sempre al maschile.
Questa proposta di legge viene ripresentata 3 anni dopo la lotta del 2022, lotta che grazie a molte attiviste e molte associazioni come Noi Rete Donne e Udi, aveva fatto sì che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 131 del 2022, avesse effettivamente riconosciuto che: dare automaticamente il cognome paterno ai propri figli è un automatismo che non ha alcun senso, e che viola la parità prevista dalla stessa Costituzione. Per questo motivo in Italia oggi è possibile dare il doppio cognome, padre e madre insieme.
Questa sentenza però, come riportano i dati di Repubblica, non ha portato ad un vero e proprio cambiamento, solo il 6% dei nuovi nati ha ricevuto il doppio cognome dai genitori. Secondo Franceschini, questa riforma è una forma di risarcimento nei confronti del genere femminile che ha da sempre subito questa ingiustizia. Un’ingiustizia, continua Franceschini, cha ha a sua volta cristallizzato il rapporto di subordinazione della donna rispetto all’uomo. Il dibattito di dare ai figli il cognome della madre si è acceso sul web e dai movimenti femministi, ma non sembra comunque aver turbato più di tanto la politica.
Anche se in Italia restiamo comunque un passo indietro, considerando che nel resto dell’Europa vi sono della possibilità di attribuire al proprio figlio o alla propria figlia, al momento della nascita, il cognome paterno, materno o quello di entrambi i genitori. Ad esempio, in mancanza di un accordo tra i genitori, vengono apposti entrambi i cognomi in ordine alfabetico, come in Francia, mentre in Lussemburgo è previsto un sorteggio. In Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia, se non viene data un’indicazione viene apposto d’ufficio il cognome della madre, così come in Austria. Il Belgio e la Spagna — e in generale i paesi dell’America Latina, a parte qualcuno — rappresenta a sua volta un’eccezione: c’è infatti la regola del doppio cognome, per cui i figli portano il primo cognome di entrambi i genitori.
In attesa che il disegno di legge dell’ex ministro Pd venga depositato e di capire quale iter seguirà, la destra ha messo le mani avanti. Applausi a Franceschini dalla sinistra invece, «una proposta interessante e condivisibile, sicuramente guarda molto in là.»
Sui temi della parità di genere, la battaglia è cominciata da molto. E si combatte su più fronti: nelle leggi, nelle scuole, sui social, nei tribunali. Anche dentro un cognome.