fbpx
mercoledì, Marzo 12, 2025
spot_imgspot_img
HomeattualitàSiracide: il problema del male

Siracide: il problema del male

Il Siracide è l’unico libro della Bibbia firmato sul quale è possibile risalire all’autore e alla data in cui è stato scritto. Redatto in lingua ebraica, in due edizioni, una lunga ed una breve, intorno al 180 avanti Cristo da un certo Gesù, figlio di Sira e di Re David di Gerusalemme, è andato perduto.

Bruno Chinè

Nei numeri scorsi di questo giornale abbiamo pubblicato due articoli che trattano dei libri sapienziali della Bibbia, ossia del libro di Giobbe e del Qoelet nei quali viene affrontato il problema del male e della morte. Gli ultimi libri sapienziali della Bibbia che riprendono i precedenti temi in una prospettiva nuova, ma usando lo stesso metodo, cioè partendo da un esame della realtà, sono Siracide e Saggezza.

Ma che cos’è il Siracide? Si tratta dell’unico libro della Bibbia firmato sul quale è possibile risalire all’autore e alla data in cui è stato scritto. Redatto in lingua ebraica, in due edizioni, una lunga ed una breve, intorno al 180 avanti Cristo da un certo Gesù, figlio di Sira e di Re David di Gerusalemme è andato perduto.  Il testo ebraico, col tempo, è stato perduto, ma cinquanta anni dopo, intorno al 130 a.C., il nipote traduce in greco il testo del nonno ricostruendo i pezzi trovati ad Alessandria d’Egitto, in due versioni, una corta ed una breve, per cui sul Siracide abbiamo quattro testi.

Di fronte a questa situazione San Girolomo, nella sua Vulgata, non inserisce Siracide e Sapienza ritenendo entrambi i testi non canonici. Lo stesso ha fatto Martin Lutero nella sua traduzione della Bibbia in tedesco. La commissione di dotti cattolici che ha curato la traduzione della Bibbia del 2008, trovandosi dinanzi a quattro testi del Siracide ha chiesto lume al cardinale Martini il quale ha suggerito alla commissione d’inserire tutti e quattro i testi, mettendo in corsivo le differenze Il tema che Siracide affronta è lo stesso del libro di Giobbe e del Qoelet: com’è possibile conciliare l’esistenza d’un Dio bontà infinita con l’esistenza sulla terra del male e della morte; come si concilia Dio, somma sapienza, con la libertà dell’uomo. Come si vede i problemi cui Siracide deve rispondere sono irrisolvibili con la ragione, ma Bensira li affronta in maniera nuova tenendosi lontano dalla filosofia e dalla teologia; le sue argomentazioni sono di natura religiosa, partendo da una constatazione: l’uomo non è niente, non vale niente.

La domanda che Bensira si pone è enorme: chi è l’uomo? Qual è il suo scopo? Cosa serve?  L’uomo non è niente, vive una vita breve e piena di guai: anche cento anni rappresentano un granellino di sabbia dinanzi all’eternità, per questo Dio è misericordioso con lui. Bensira passa poi ad esaminare tutta la creazione nel suo insieme e scopre l’esistenza di una dualità in tutte le cose: bene e male, luce e tenebre, vita e morte, grande e piccolo, insomma scopre l’esistenza degli opposti di cui aveva parlato Eraclito in tempi lontani e gli stoici nel secondo secolo aC.

Per gli stoici la realtà è duale ed è formata dalla coincidenza degli opposti. Tutto questo ci dimostra che ci moviamo in un contesto culturale radicalmente diverso rispetto a Giobbe e al Quolet; soffia ormai uno spirito greco ma non sappiamo fino a che punto Bensira fosse consapevole. Per quanto concerne il destino ultimo dell’uomo Bensira non aggiunge nulla: ci moviamo sempre in una prospettiva in cui l’ultimo orizzonte umano è rappresentato dalla morte con la quale finisce tutto, non c’è un aldilà. Un altro punto fermo di Bensira è la libertà dell’uomo creato libero con la facoltà di discernere il bene dal male. Le opere dell’Altissimo sono tutte meravigliose, non dobbiamo chiedere che cosa serve questo, che cosa serve quello, nel creato è tutto buono ed armonico, ogni cosa ha la sua ragione di essere ed a suo tempo si vedrà. Bene e male dipendono dall’uso che l’uomo fa delle cose.                                                                          Per questo il saggio Bensira raccomanda l’uomo di godersi la vita fin quando può, non lasciandosi mancare nulla delle cose buone che Dio gli ha messo a disposizione.

Il libro, avendo anche un fine didascalico e civile vuole insegnare agli ebrei del suo tempo anche come ci si comporta nei banchetti. Ma il fine del libro è principalmente quello di tenere unito il popolo ebraico evitando ogni forma di settarismo e tenendo fermo il timone sul rispetto della tradizione e della Legge.       

- Spazio disponibile -
- Spazio disponibile -
- Spazio disponibile -
ARTICOLI CORRELATI

Le PIU' LETTE