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venerdì, Gennaio 31, 2025
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ANPI Locri-Gerace, nel Giorno della Memoria ricordiamo i tanti locridei deportati

“La ricorrenza del Giorno della Memoria giunge anche quest’anno in un clima segnato dai tentativi di revisionismo storico, rigurgiti nostalgici di un passato buio alimentato da una costante foga di riabilitazione e da conflitti che, ignorando il concetto di historia magistra vitae, continuano a coinvolgere innumerevoli Paesi nel mondo vessando inermi civili, bambini compresi.”, così la sezione ANPI di Locri-Gerace in una nota che invita alla riflessione e al ricordo della barbarie nazifascista. 

“Il 27 gennaio -continua la nota- è stato designato dal 2000, con la legge 211 del 20 luglio,  come «Giorno della Memoria» in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. Giova ricordare, in un tempo in cui la storia viene ancora relegata ai margini della vita civica e politica –spesso consapevolmente- la corresponsabilità dell’Italia fascista prima e della Repubblica Sociale Italiana poi, nell’attuazione sistematica delle deportazioni e dello sterminio di massa, realizzando pienamente quella banalità del male teorizzata da Hannah Arendt, con la creazione e l’alimentazione di una vera e propria macchina del terrore e della morte.

Furono le generazioni dei nostri padri e dei nostri nonni, infatti, a perseguitare le popolazioni jugoslave, greche e nordafricane, oltre che quelle stanziate nell’area che sarebbe  diventata l’Africa orientale Italiana nella guerra 1935-36, con episodi ancora troppo spesso lasciati nell’oblio come la strage di Domenikon e quella di Addis Abeba o il genocidio dell’Amba Aradam, solo per citarne alcuni. Il 27 gennaio del 1945 l’esercito sovietico liberava il campo di concentramento e di sterminio nazista, sito nel territorio polacco di Auschwitz, trovandosi davanti uno scenario orrorifico di persone ridotte a scheletri, privati di ogni individualità e forma di dignità. Non solo ebrei, ma anche perseguitati politici, apolidi, zingari, omosessuali, delinquenti comuni, testimoni di Geova e asociali le vittime  –o meglio i capri espiatori- dell’ideologia nazista.

“Il 27 gennaio sempre. Questo è il filo conduttore del nostro agire rispetto ad una data, ad un ricordo che fonda la civiltà del Paese, dell’Europa intera. Ebrei, politici, rom e sinti, omosessuali, militari…ogni angolo di Paese ha la sua pena Memoriale. E la sua forza di tenere a mente e nelle coscienze cosa fu e che non può e non deve più essere”, il messaggio ribadito dall’ANPI nazionale. Nel mattatoio della Seconda Guerra Mondiale, come oggi avviene in troppe zone del globo in cui sono ancora accesi conflitti, in alcuni casi anche da decenni, sono stati sospesi e calpestati i diritti umani, come avrebbero poi sperimentato le stesse popolazioni tedesca e italiana, con episodi come il bombardamento di Dresda, a riprova del fatto che violenza e terrore non possono che alimentare violenza e terrore. Come insegna Karl Popper nel suo paradosso della tolleranza: Se estendiamo un’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi”. Questo è ciò che sta pericolosamente avvenendo, in diverse forme, negli ultimi decenni.

Anche alle nostre latitudini, pur se “marginalmente“ toccate dalle calamità della guerra, in quasi ogni famiglia si può trovare una figura da ricordare tra le centinaia di vittime della deportazione, tra cui è molto rappresentata la componente degli Internati Militari Italiani, coloro che dissero no alla RSI, proponendosipiuttosto a combatterla nell’esercito cobelligerante o nella Resistenza. A loro va il ricordo e la memoria della sezione ANPI di Locri-Gerace, alla loro coraggiosa scelta di opporsi alla barbarie, all’ingiustizia e all’intolleranza.  Concludiamo con le parole di un intellettuale della nostra terra, Mario La Cava, testimone al processo Eichmann, come inviato speciale del Corriere Meridionale:

Cercai i suoi occhi, ma essi nemmeno per un momento si prestavano ad essere guardati. (…) La pelle della sua faccia non sembrava viva, ma conciata e tirata sulle ossa, come se tale fosse stata resa dallindifferenza dellanimo e dallesercizio costante della volontà malvagia. Aveva labbra sottili, taglienti di chi non aveva mai sorriso ad alcuno. Le mani, tozze e robuste davano un certo turbamento inspiegabile: come fossero le mani di chi sa colpire crudelmente”.

L’orrore, la violenza, la deumanizzazione creano terreno fertile per il prosperare di ulteriori atrocità e nefandezze, trovando spazio ogniqualvolta vengono sottovalutate e colpevolmente ignorate. Oggi, a ottanta anni dalla fine della Shoah, occorre ancora una volta educarci e invitarci alla riflessione, alla memoria, a non girarci dall’altra parte. La nostra sezione continua il suo impegnoin tal senso affinché ciò che è stato solo qualche decennio fa non torni, sotto nessuna forma.

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