Come riportato da Il Riformista, il Libano guarda con delusione al disimpegno italiano. Un’assenza che pesa in un Mediterraneo sempre più instabile e in balia di nuove potenze.
C’era una volta l’Italia: il malumore che viene da Beirut
Il Libano, terra ricca di storia e crocevia di culture, oggi vive una crisi economica e politica senza precedenti. La sua fragilità dovrebbe richiamare la responsabilità delle grandi democrazie mediterranee, e in particolare dell’Italia, che per decenni ha svolto un ruolo di primo piano nella regione. Ma, come evidenziato da un approfondimento de Il Riformista, il nostro Paese sembra oggi distante, se non indifferente, a questa emergenza, alimentando un malumore crescente tra i suoi storici alleati libanesi.
Un’assenza ingombrante
Il governo italiano, guidato da Giorgia Meloni, appare distratto e proiettato su altre priorità. In un contesto geopolitico così complesso, l’assenza di una strategia chiara è percepita come una mancanza grave. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, nonostante le sue recenti dichiarazioni sulla centralità del Mediterraneo, sembra più impegnato nella gestione di dossier europei e interni, lasciando il Libano in un limbo diplomatico.
Eppure, l’Italia ha una lunga tradizione di presenza attiva in Libano, dalla partecipazione alle missioni di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite al sostegno culturale e alla cooperazione internazionale. Questa eredità rischia di essere cancellata da un approccio politico miope, più orientato al consenso interno che a una visione strategica del ruolo italiano nel Mediterraneo.
Un rischio geopolitico
L’assenza dell’Italia non è solo una questione di prestigio, ma una scelta con conseguenze dirette sulla stabilità dell’intera area. Il Libano, oggi più che mai, è un terreno di scontro tra potenze regionali e globali: l’Iran, attraverso Hezbollah, consolida la propria influenza; l’Arabia Saudita cerca di riposizionarsi con nuove strategie economiche; la Francia prova a riempire il vuoto lasciato da altri attori europei. In questo scenario, il disimpegno italiano potrebbe spianare la strada a un ulteriore deterioramento delle relazioni bilaterali e alla perdita di un’influenza preziosa, costruita con anni di diplomazia e interventi mirati.
Il prezzo del disinteresse
Secondo quanto riportato da Il Riformista, il malumore verso l’Italia non è un fenomeno isolato, ma il sintomo di una più ampia crisi di credibilità internazionale. Il Libano, infatti, non è l’unico dossier trascurato. La politica estera italiana sembra aver assunto un approccio reattivo, incapace di anticipare le crisi e, soprattutto, di proporre soluzioni efficaci.
Questo atteggiamento è emblematico di un Paese che, negli ultimi anni, ha preferito ripiegarsi su se stesso, inseguendo narrazioni propagandistiche interne invece di affrontare con coraggio le sfide globali. La scelta di investire in una politica di “sovranismo a corto raggio” rischia di isolare l’Italia proprio in quei contesti dove dovrebbe agire da protagonista.
Un Mediterraneo che cambia
Il Mediterraneo è oggi una frontiera di sfide epocali: migrazioni, conflitti, crisi climatica, energia. Rinunciare a un ruolo attivo significa lasciare spazio ad attori meno interessati alla stabilità e ai valori democratici. Non si tratta solo di salvaguardare un’eredità storica, ma di agire per il futuro, per garantire che l’Italia possa ancora essere un ponte tra Europa e Medio Oriente.
La domanda inevasa
Che futuro vogliamo per l’Italia nel Mediterraneo? Il disinteresse dimostrato verso il Libano è il simbolo di un atteggiamento più generale, in cui le priorità internazionali vengono sacrificate sull’altare della convenienza politica interna. Questo atteggiamento, però, non è privo di conseguenze: rischia di compromettere non solo la nostra credibilità, ma anche la capacità di affrontare le crisi che inevitabilmente si riversano entro i nostri confini.
Se l’Italia vuole davvero essere protagonista, deve tornare a guardare oltre il proprio orizzonte immediato. È il momento di una politica estera ambiziosa, capace di valorizzare la sua storia e il suo ruolo unico nel Mediterraneo. Solo così potremo riconquistare quel prestigio e quella fiducia che oggi, da Beirut, ci vengono sempre più negati.