Ripercorriamo, insieme, gli avvenimenti e i personaggi più importanti che hanno segnato la data del 17 Agosto.
Accadde che:
1807 (214 anni fa): il North River Steamboat o North River, comunemente noto come Clermont prima nave a vapore americana di Robert Fulton, salpa da New York per Albany sul fiume Hudson, inaugurando il primo servizio commerciale di navi a vapore del mondo. Il “Clermont”, raggiunge la cittadina di Albany viaggiando alla velocità di sei chilometri orari, in 32 ore con una sosta di 20 ore nella tenuta di Livingston, a Clermont. Il viaggio di ritorno fu compiuto in 30 ore con una velocità media complessiva di 5 nodi. L’avveniristica imbarcazione verrà demolita quasi subito dai barcaioli del fiume che temevano di rimanere senza lavoro. Il battello lungo circa 45 metri e largo appena 6, era dotato di due ruote a pale di 5 m di diametro, una per lato, mosse da un motore a vapore di soli 18 cavalli di produzione inglese su licenza di James Watt. Completavano l’armamento due alberi forniti di vela. Circa due settimane dopo iniziarono le corse commerciali che nel primo anno ebbero un tale successo da spingere la compagnia Livingston-Fulton alla costruzione di ulteriori piroscafi, sempre su progetto di Fulton che apportò diverse modifiche, da una maggiore larghezza per migliorarne la stabilità, a quello di proteggere la parte fuori d’acqua delle ruote per evitare la proiezione sul ponte di acqua e oggetti galleggianti, al miglioramento del sistema di governo. Lo sviluppo fu talmente rapido che se nel 1819 navigavano 9 battelli, nel 1840 transitavano 100 unità a vapore di diverse compagnie. Una replica del Clermont fu realizzata nel 1909, circa cento anni dopo.
1962 (59 anni fa): le guardie di confine della Germania Est uccidono il diciottenne Peter Fechter mentre tenta di attraversare il Muro di Berlino, per portarsi a Berlino Ovest. Fechter, insieme all’amico Helmut Kulbeik aveva pianificato la fuga verso la libertà superando la “striscia della morte”, quel lembo di terra che si estendeva tra il muro ed una barriera parallela eretta da poco. I due giovani, saltando da una finestra di un edificio che si affacciava verso il muro, dovevano attraversare di corsa la famigerata striscia per poi arrampicarsi sul muro di due metri sormontato da filo spinato che divideva Berlino Est dal distretto di Kreuzberg a Berlino Ovest, nei pressi di Checkpoint Charlie. Nel primo pomeriggio del 17 Agosto non appena raggiunsero il muro, i due furono notati dalle guardie che aprirono il fuoco senza nessun preavviso. In totale spareranno 35 colpi. Kulbeik riuscì ad arrampicarsi e a scavalcare, alla vista di centinaia di persone, mentre Fechter cadde all’indietro, per poi appoggiarsi al muro. Fu allora, mentre ormai era evidente che il giovane non era più in grado di portare a termine il suo piano, che le guardie continuarono a sparare finché Fechter, colpito al bacino, non stramazzò a terra. Cadde riverso nella striscia della morte, visibile alle guardie, alle forze di polizia della Repubblica Federale Tedesca e ad alcuni giornalisti. Nonostante le sue urla, dal lato orientale della città non furono prestate al giovane cure mediche. Alcuni astanti dal lato ovest, affacciatisi al muro da una scala, lanciarono bende a Fechter, ma preferirono non intervenire mettendo piede nel territorio della DDR, cosa che in piena Guerra Fredda rischiava di creare un incidente internazionale. Un ufficiale della polizia militare americana, presente nelle vicinanze, avrebbe commentato l’accaduto dicendo “non è un nostro problema”. Avvenne così che il giovane morì dissanguato dopo un’ora di agonia. Solo allora, sotto la copertura di una nebbia artificiale, le guardie di frontiera andranno a recuperarne il corpo. Alla sua morte centinaia di persone formarono una manifestazione spontanea a Berlino Ovest, scandendo la parola “Assassini!” rivolta alle sentinelle del muro. Dopo la caduta del muro di Belino il caso del giovane Fechter tornò alla ribalta quando nel Marzo 1997, ben 25 anni dopo la sua morte, Rolf Friedrich e Erich Schreiber, due ex-guardie della DDR, furono processati per omicidio colposo e condannati ad una pena detentiva rispettivamente di 20 e 21 mesi con la condizionale.
Scomparso oggi:
2010 (11 anni fa): muore a Roma Francesco Cossiga politico, giurista e accademico. Nato a Sassari il 26 luglio 1928, è stato ottavo presidente della Repubblica italiana dal 1985 al 1992 quando assunse, di diritto l’ufficio di senatore a vita. Cossiga veniva da un’importante famiglia sassarese, diversi membri della quale avevano alte cariche nella magistratura. Anche lui studiò legge e già allora dimostrò una certa precocità, laureandosi a 19 anni e mezzo dopo essersi diplomato a 16 anni. Da quando aveva 17 anni fu iscritto alla Democrazia Cristiana e a 20 anni, nel 1948, entrò a far parte di una struttura clandestina anti-comunista che si formò a Sassari sotto la guida di Antonio Segni, futuro presidente della Repubblica nei primi anni Sessanta. La carriera di Cossiga ad alti livelli cominciò negli anni Settanta, con la prima nomina a ministro, quando aveva già accumulato esperienze da deputato, da sottosegretario e da leader dei “Giovani turchi”, la corrente con cui alla fine degli anni Cinquanta aveva preso il potere nella DC sassarese, ancora una volta appoggiato dal più anziano Segni. Nel 1976 fu nominato ministro dell’Interno a 48 anni, un ruolo delicato nel periodo probabilmente più complesso e precario della storia repubblicana. Cossiga badò alla sicurezza e all’ordine pubblico del paese durante dure contestazioni studentesche, durante gli anni più violenti della lotta armata dei gruppi extraparlamentari e durante i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, conclusi con l’assassinio di Moro stesso; il piglio violento e repressivo con cui interpretò il ruolo di ministro rese Cossiga odiatissimo, soprattutto negli ambienti della sinistra extraparlamentare. In seguito all’uccisione dell’allora presidente della DC Aldo Moro, Cossiga tornò più volte sull’argomento, dicendo più volte di sentirsi addosso la responsabilità della morte di Moro, e che la vitiligine e i capelli bianchi gli erano stati causati dal trauma di quei giorni convulsi. In realtà, Cossiga ha anche raccontato che poco prima che i brigatisti uccidessero Moro la situazione era sul punto di sbloccarsi: si sarebbe dovuta aprire una trattativa ufficiale, parallelamente a quella segreta aperta dai socialisti e lui sarebbe stato pronto a dimettersi da ministro dell’Interno; tuttavia, sempre secondo Cossiga, le BR non capirono che il loro obiettivo era vicino e uccisero Moro. Cossiga si dimise comunque dopo il 9 maggio e si ritirò in Sardegna per un anno, durante il quale si rifiutò di avere incarichi politici. Tornò solo nel 1979, chiamato dall’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini per formare un nuovo governo, il primo dei due di cui fu a capo nel corso della sua esperienza politica. I sette anni in cui Cossiga fu presidente della Repubblica sono la rappresentazione migliore della singolarità del personaggio. Il suo mandato fu atipico fin dall’inizio: per la prima volta nella storia della Repubblica l’elezione avvenne subito, al primo scrutinio, con una larghissima maggioranza. L’aspetto più raccontato del settennato di Cossiga sono però le due fasi distinte che ebbe: la prima durò cinque anni e fu tranquilla e silenziosa, priva di scossoni; la seconda durò poco meno di due anni, durante i quali Cossiga fu irrequieto, ciarliero, facile a battute contro il governo e contro il suo stesso partito che portarono i giornali a definirlo il “Presidente picconatore”, prendendo spunto da una definizione dello stesso Cossiga il quale chiamava le sue esternazioni «picconature».A contribuire alla fine anticipata del mandato di Cossiga fu la decisione di Andreotti, presa a ottobre del 1990, di rivelare l’esistenza dell’operazione Gladio, la struttura difensiva segreta della NATO in Italia nata per contenere il comunismo. Cossiga aveva fatto parte di quell’operazione e non prese bene la decisione di Andreotti di rivelarne l’esistenza, giudicandola troppo avventata, ma decise comunque di autodenunciarsi e rivendicare il suo ruolo, causando l’indignazione dei comunisti che ne chiesero la messa in stato d’accusa per attentato alla Costituzione. Era il dicembre del 1991. Poco dopo Cossiga rivolse alla nazione il più breve discorso di fine anno della storia della Repubblica: durò solo tre minuti e mezzo, che Cossiga impiegò a spiegare perché non aveva voglia di dire niente. Nell’aprile seguente sciolse le camere, chiese di essere ascoltato dal Tribunale dei ministri per scagionarsi e il 25 aprile annunciò clamorosamente le dimissioni. Le accuse però a quel punto vennero ritirate e il Tribunale dei ministri archiviò l’indagine nel 1994.