Domenica 1 dicembre presso Palazzo De Nobili a Catanzaro si è tenuta una conferenza tenuta da Marcello Piras autorevole studioso, a livello internazionale, delle musiche di discendenza africana nel mondo.
In Italia, per chi ama il jazz viene ancor oggi ricordato per la monografia John Coltrane. Un sax sulle vette e negli abissi dell’io (Stampa Alternativa, 1993), per il pionieristico cd-rom Il jazz. I dischi, i musicisti, gli stili(Editori Riuniti, 1998) e per il volume di analisi Dentro le note. Il jazz al microscopio (Arcana, 2015) che raccoglie i migliori fra le decine di saggi apparsi su enciclopedie e periodici. Fondamentale resta altresì la sua traduzione dei volumi di Gunther Schuller Early Jazz e The Swing Era, nonché l’edizione moderna in lingua spagnola del Gabinetto armonico di Filippo Bonanni. Oltre al lavoro presso il Center for Black Music Research di Chicago. L’incontro con Marcello Piras si è incentrata su una suo pensiero su come è cambiato il jazz nel corso della sua vita. Riportiamo qui di seguito una parte l’intervento di Piras.
… Quando ho cominciato ero un principiante, condividevo le opinioni correnti del jazz, quelle che sono tali ancora oggi. Adesso non le condivido più. Mi sono allontanato enormemente dal sentire comune del mondo del jazz. A questo ha contribuito anche l’esperienza in Messico, che d’altra parte avevo preparato con le cose che avevo fatto in Italia, in particolare con l’attività che ho svolto dal 1992 al 2000 “La musica colta afroamericana” dal 1994. Penso quindi che oggi il jazz come espressione artistica e culturale sia molto meno un prodotto degli Stati Uniti di quanto finora si sia creduto. Gli Stati Uniti hanno posto soprattutto limiti al linguaggio del jazz. Credo che sia fondamentalmente un prodotto d’importazione che gli Stati Uniti hanno ricevuto dai Caraibi con un altro nome, con altri ritmi e hanno poi adattato al contesto americano; e questo adattamento è stato, per molti versi, più una limitazione e una censura che non un arricchimento. Ormai considero il jazz come una sorta di corpo estraneo nella storia musicale degli Stati Uniti. La storia musicale degli Stati Uniti è un’altra: in essa il minstrel show di metà Ottocento si ricollega in modo perfettamente logico al rock della seconda metà del Novecento. Il jazz sta nel mezzo ed è come un meteorite piovuto da Marte. Gli americani non lo hanno creato, lo hanno subìto, spesso senza capirlo.
Al termine della conferenza si è tenuto un concerto per Piano Solo del pianista catanzarese Francesco Miniaci, che ha saputo offrire al pubblico intervenuto un repertorio che ha incluso brani di leggende come Duke Ellington, G. Gershwin e altri compositori importanti della storia del Jazz.