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Bernard Dika: la storia dell’Alfiere della Repubblica Italiana

Bernard Dika è un giovane albanese arrivato in Italia da migrante con la sua famiglia. Sarebbe potuta essere una storia come tante, e lui un migrante come tanti, eppure Bernard ha saputo integrarsi e grazie al duro lavoro e un pizzico di fortuna lavora nel partito democratico e nel 2016 è stato nominato Alfiere della Repubblica Italiana. Oggi tiene delle conferenze, anche in Calabria, per parlare con i giovani su accoglienza, integrazione e diritti.

La storia di Bernard Dika è una narrazione di buoni sentimenti che il protagonista racconta in modo didascalico e pedagogico. Il giovane albanese è arrivato in Italia da profugo con la sua poverissima famiglia. Oggi è un cittadino italiano. Risiede a Firenze dove svolge il ruolo di Portavoce del Presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani. È stato il presidente del parlamento degli studenti della Toscana dal 2015 al 2017. Il 13 dicembre 2016 è stato insignito “Alfiere della Repubblica Italiana” dal Presidente Sergio Mattarella con il quale ha condiviso il primo selfie fatto a un Capo dello Stato da un ospite. È stato vicino, o forse lo è ancora, al Partito democratico facendo parte dall’età di 19 anni (oggi ne ha 25) di quella squadra di venti Millenials che componevano la direzione nazionale del partito democratico. Ha frequentato il Liceo Statale di economia sociale “Nicolò Forteguerri” di Pistoia. Da qualche anno a questa parte viene in Calabria a tenere conferenze in varie scuole della Calabria invitato da presidi e docenti che, a loro volta, sono stati informati e sollecitati da un imprenditore del soveratese, Giovanni Sgro, che ha scoperto sui social questo talento che ha una spiccata cifra deamicisiana.

Di recente è stato a Chiaravalle Centrale, Soveria Mannelli e Catanzaro. In quest’ultima sede, presso l’Istituto comprensivo “Casalinuovo”, è stato accolto da docenti e discenti di due classi della terza media con l’inno albanese. Le sue conferenze non sono altro che il racconto della propria vita, in questo caso tribolatissima, condito da aneddoti, e con un forte contenuto democratico, rispettoso dei valori costituzionali e degli sforzi per mantenerli e valorizzarli. Forse la sua semplicità e la sua affabulazione sono i motivi che fanno catturare l’attenzione dell’uditorio.  La sua passione civile è stata colta da personaggi noti, come Corrado Augias, che ha fatto rimbalzare il suo spessore civile, la mancanza di cinismo, la semplicità nell’esporre il proprio pensiero in un italiano fluente. Nel suo discorso di ringraziamento al Quirinale Bernard Dika disse: «Siamo quei ragazzi che sono nati nell’era digitale, che non hanno visto, non hanno vissuto la prima e la seconda guerra mondiale; che non hanno vissuto la guerra fredda; non hanno vissuto la caduta del Muro di Berlino. Eppure siamo qua. Eppure se apriamo la finestra di casa nostra vediamo a poco, perché se parliamo di un mondo globalizzato è proprio questo che dobbiamo dire, ci sono ragazzi come noi, bambini, che ad Aleppo muoiono con la sola colpa di essere nata in quella terra così tanto insanguinata.

Questo ci conferma ancora una volta la lezione di Auschwitz: che se c’è un problema, di un essere umano, che è diverso e che è lontano da noi, quel problema – se noi non ce ne occupiamo – prima o poi riguarderà anche noi stessi. Ed è per questo che le nostre lacrime, di quei ragazzi che in questi giorni hanno pianto, sono sì lacrime di memoria, lacrime di un dolore che qua è stato versato, di un’umanità calpestata. Ma sono soprattutto lacrime di rabbia: lacrime di rabbia per un presente che è diverso rispetto a quella che era la lezione che i paesi che qui ad Auschwitz dovevano imparare. Lacrime di una rabbia che però è una rabbia costruttiva; è una rabbia che non ci fa arrendere; è una rabbia che ci stimola sempre di più a impegnarci; una rabbia che ci viene nei confronti di coloro che ancora oggi dicono “First Americans”, “Avant le française”, “Prima gli italiani”: noi diciamo “prima gli essere umani”. Qua dietro abbiamo una bandiera che è la bandiera dell’Italia, che ci conferma ancora di più quanto noi siamo legati al nostro paese. Forse ne manca una, quella è un’altra bandiera: la bandiera dell’Europa. La bandiera di un sogno comune, la bandiera di un sogno che qui è nato, anzi è nato nel 1941 in una piccola isola del Lazio, che si chiama Ventotene: lì, degli internati, perché erano degli oppositori politici antifascisti, scrissero un documento e la chiusero con questa frase: la via da percorrere non è facile né sicura ma deve essere percorsa e lo sarà. Quindi a noi scelta, di fare di quei sassi che incontreremo lungo la strada, dei muri o dei ponti. E allora per questo che noi oggi siamo qui: non per fare una memoria sterile di date ma per prenderci un impegno, per dire che noi vogliamo dire basta, basta a questa Europa di muri, a quest’Europa di fili spinati, perché significa che altrimenti non abbiamo imparato niente.

E qua, ancora una volta, dobbiamo farci portatori di questa memoria; una memoria che deve vivere dentro di noi. Chi entrò in questo campo, non ebbe la possibilità di uscire. Noi ieri abbiamo percorso la strada che gli altri percorrevano all’incontrario, non tornando più indietro perché andavano ai crematori. Questa è una grande opportunità che non ci possiamo permettere di buttare via: dobbiamo prendercela ed essere militanti della memoria. Militanti della memoria ogni giorno, all’interno delle nostre scuole, tra i banchi, all’interno delle nostre squadre di calcio, all’interno delle nostre squadre di pallavolo. Dobbiamo cercare di contagiare questa grande generazione e non arrenderci: non arrenderci ad una realtà evidente ma una realtà che ci fa capire che se noi sogniamo un’Europa di pace che è quell’Europa che viene gridata ancora oggi più che mai, più degli anni ’40 di questo 900 da queste pietre di Auschwitz. Questo ci conferma che se possiamo sognarlo, possiamo farlo; ma solo e soltanto se tutti noi ci crediamo. Uno ad uno, nessuno escluso. E questo è un impegno che noi abbiamo addosso alle nostre spalle; noi siamo i nuovi testimoni. È stato ripetuto più volte, non dimentichiamoci questo. Purtroppo la mia paura è che sì, questa è stata un’esperienza bellissima che sia un’esperienza che forse vogliamo tenere dentro di noi. Se siamo i primi a dire di abbattere i muri, dobbiamo abbattere i muri anche tra di noi.

Dobbiamo andare a raccontare a trasmettere, non date e numeri, ma trasmettere i valori e quindi qua oggi chiudiamo dicendo che noi siamo per un’Europa di pace. Questo è il grido che viene dai giovani della Toscana; vogliamo un’Europa dove i valori fondamentali siano i valori dell’accoglienza, della solidarietà e i valori che fanno sì che un essere umano non sia diverso da nessun altro».

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