In questi mesi, ho seguito con una forte empatia nei suoi confronti la quotidiana lotta al dolore di Nino Spirlì, ex presidente della Regione Calabria. Nino aggredito dal cancro al pancreas, racconta nei social la sua nuova vita, fatta di piccole gioie, di una fede incrollabile e del sostegno della sua amorevole mamma.
Qual è stata la sua prima reazione alla notizia di essere ammalato di cancro?
È stata la conferma a quanto sospettavo da mesi, nonostante l’inutile ed azzardata rassicurazione da parte di sanitari e parenti. Solo mia Madre “sapeva”, come me, che il cancro stava traslocando dentro di me.
Dopo la notizia in che modo ha trovato la forza di reagire?
Proprio nel rapporto simbiotico con mia Madre. Mi sono detto che se avessi consegnato la mia malattia alla disperazione, il Suo dolore di Madre sarebbe diventato una montagna sotto la quale saremmo morti entrambi. Quindi, per salvare Lei, salvo me stesso.
Fa molta tenerezza, infatti, il suo rapporto con sua madre. È lei la sua forza?
Assolutamente, sì! La mia pila di ricarica quotidiana.
Cosa non bisogna mai dire a un malato di cancro?
Oggi come stai. Il cancro NON è un raffreddore che può migliorare da un giorno all’altro. È un corridoio buio o semibuio, che può, sì, migliorare, ma con cure pesanti o interventi dolorosi, faticosi da accettare e affrontare. A volte, troppo spesso, finisce con la morte del malato. E il malato di cancro, questo, lo sa!
Perché, secondo lei, alcuni si vergognano di ammettere di essere ammalati?
Perché, negli anni, a furia di nascondersi dietro ad un dito, i malati di cancro hanno finto che fosse altro. E questo ha creato un mondo parallelo, nel quale tutti fingono. Tanto da convincersi che sia quella, la realtà, e non quella vera.
Com’è iniziata la sua odissea?
Con una serie di “inutili” ricoveri, di interventi “al buio”, di test clinici non compresi, di sanità azzoppata…
Ho letto rabbia nelle sue parole, quando ha raccontato che in Calabria non sono riusciti a trovare il suo male, invece a Milano si. Sbaglio?
No, niente rabbia. Né rancori. Solo constatazione di una impossibilità di andare oltre un certo orizzonte, ridotto e parziale.
Qual è, secondo lei, il problema principale della sanità calabrese?
Approssimazione, menefreghismo, incapacità, mancanza di crescita professionale, per una buona parte del personale medico e paramedico. Tutto questo punisce i bravi, che non riescono ad emergere. Primo problema su tutti: l’assunzione degli competenti e la bocciatura dei bravi medici
In che modo è cambiata la sua quotidianità?
Non ho tante forze, ma mantengo tenacia e fermezza. Lucidità e curiosità. Sono e resto un autoironico e un ironico, a prescindere. Sono il cancro del mio cancro, e so che lo sconfiggerò
Colpisce anche, da ciò che lei pubblica, la mancanza che sente di Jole Santelli. Qual è l’ultimo ricordo che ha di lei? Il suo modo di affrontare la malattia l’ha aiutata a combattere la sua battaglia personale?
Di Jole manca tutto. Le nostre notti romane a chiacchierare accovacciati sui miei divani; le nostre intese; gli sguardi complici; l’affiatamento e l’amore fraterno. L’ultimo ricordo? Non c’è: Jole è qui, sempre. Le nostre personali battaglie, nei confronti della malattia, sono differenti e uguali. La Fede è lo strumento vincente!
Vuole lanciare un messaggio a chi sta vivendo la sua stessa situazione?
Uscite allo scoperto: non temete! Ditevi agli altri, non tacete. Non restate chiusi in un letale silenzio. Più vi separate dal mondo, più soffrite!
Nino, lei ha paura?
No. Ho fretta di guarire o partire. Secondo la volontà di Nostro Signore: scelga dove Gli posso essere più utile.