I giochi che la storia organizza hanno spesso risvolti incongrui. Questo anno settantesimo anniversario della morte dell’autorevole Primo Ministro Alcide De Gasperi, a cui si devono le fortune politiche ed economiche che hanno riguadagnato il nostro paese devastato dalla dittatura fascista, alla democrazia, gli è stato dedicato un volume di ricordi e memorie.
Matteo Lo Presti
De Gasperi ha illustrato la sua vita con pacatezze e serietà rara, che fu crudelmente interpretata con un grigiore umano che non era certo la sua cifra esistenziale. Nato(1881) in Trentino suddito dell’impero austro-ungarico , visse l’esperienza di parlamentare viennese e poi dal 1921 deputato alla camera italiana.
Evitò l’esilio come don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare, perché ospitato come impiegato in Vaticano, dopo un breve periodo di reclusione per tentato espatrio. La sua notorietà assunse rilievo internazionale dopo l’8 settembre ‘43. Ministro degli esteri nei governi Bonomi e Parri, fu Presidente del Consiglio dal 1945 al 1953. Vinse le elezioni del 1948 con scelte moderate e tenendo lontane dalla politica arroganze e sfide irrazionali. Brutta figura (una delle tante) fece Palmiro Togliatti che disse ”Rinforzerò i chiodi delle scarpe per meglio prendere a calci nel sedere De Gasperi dopo le elezioni”. Profezia mancata per una sconfitta elettorale, compromessa dal PSI di Pietro Nenni che fissò un’alleanza unitaria con il PCI nel Fronte Popolare, che graverà per vent’anni sulla politica del paese. Chi lesse con pacata malinconia la morte di De Gasperi fu Italo Calvino, che nel profetico volume “la speculazione edilizia “ edizione Einaudi 1957, mise assai bene a fuoco ciò che la politica di questo grande statista aveva significato. Si narra nel libro la competizione tra due ex partigiani, uno diventato imprenditore truffaldino (Caisotti), l’altro operaio (Quinto) fermo ai suoi ideali di futuribile cambiamento rivoluzionario.
Scrive Calvino “Quel giorno era morto De Gasperi (19 agosto 1954). La notizia arrivò con i giornali della sera. Gli strilloni gridavano “morte di De Gasperi! Nuova vittoria di Coppi!”. A questa indifferenza Quinto, l’unico che si sentisse oscuramente offeso, l’unico che ci pensasse, a quel De Gasperi, che la speranza rivoluzionaria della sua giovinezza aveva considerato un estraneo, insediatosi nella storia d’Italia nel momento in cui doveva essere tutta diversa. Ed ora ecco: la borghesia che pochi anni innanzi lo salutava suo salvatore, restauratore dei suoi facili agi, ora l’aveva già dimenticato, aveva dimenticato la paura (“la paura che le facevamo noi – pensava Quinto – quando eravamo la speranza“) e adesso sapeva soltanto che quell’uomo magro, montanaro, onesto, testardo, un po’ ristretto di non molte idee ma intransigente in esse, cattolico in una disadorna maniera poco italiana, a loro non era mai stato simpatico”.
Aveva criticato De Gasperi la partecipazione del Partito Popolare nel ‘22 al primo governo Mussolini, convinto europeista e sostenitore poi dell’Alleanza Atlantica (NATO). Schierò la DC su posizioni di centro moderato, facendone un punto di riferimento per le forze anticomuniste. Adesione incoraggiata dagli aiuti americani che con il piano Marshall e i finanziamenti ERP andrà a svuotare delle sue ragioni, progressivamente, il comunismo. Gli aiuti americani termineranno nel 1952. La ripresa economica italiana era iniziata. Togliatti non andò ai funerali di De Gasperi, ma dettò, come ricorda Massimo Caprara suo segretario per venti anni, un messaggio autoreferenziale “Ricordiamo il nostro comune sforzo unito, sentiamo oggi prima di tutto il valore che esso ha avuto per le sorti del nostro Paese e per il successo cui abbiano saputo condurlo in anni non troppo lontani”.
Ma Togliatti lamentava che il suo avversario vincente non gli aveva inviato messaggio augurale quando fu ferito alla testa dallo studente siciliano Pallante e l’avere fatto dichiarazioni negative alla morte di Stalin. E concludeva “sono contro qualsiasi forma di “embrassos-nous” in presenza di un cadavere. Anzi la cosa mi ripugna profondamente come una volgarità ed un’ipocrisia”. Berlusconi che non avrebbe mai potuto essere democristiano, parlava sempre in prima persona, De Gasperi usava solo il “noi”. Non gli è mai stato dedicato un aeroporto. Il 10 agosto 1946 alla conferenza di pace di Parigi disse “prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutto tranne la vostra personale cortesia è contro di me”. Già allora notizie false e denigratorie giravano sul suo conto. Dice bene Calvino, non era simpatico: mai nessuna concessione alla retorica populista. Mai parole, pensieri, valori non solidali. Ai suoi funerali non fu invitato l’MSI. Il suo antifascismo era autentico e fermo. Impresa ardua trovare suoi eredi.