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Parlamento italiano e Parlamento Europeo: presenti e assenti

La questione delle candidature al Parlamento Europeo ha generato una polemica dai toni accesi per il problema delle presenze ed assenze dei parlamentari italiani che dovranno dividersi tra Strasburgo e Roma.

La questione del candidarsi al Parlamento Europeo, senza intenzione di recarsi a Strasburgo, è stato uno dei temi caldi delle ultime elezioni europee. Tuttavia, più che un problema reale, è stato un argomento utile per alimentare la polemica politica. Oggi, al di là delle disquisizioni etiche, sembra che pochi si preoccupino di ciò che avviene nei Palazzi di Roma, ossia a Palazzo Madama e Montecitorio, salvo qualche sporadico commento su tre deputati superassenti e sulle assenze nelle votazioni della maggior parte dei senatori a vita.

Un’analisi seria richiede anzitutto ricordare la differenza tra i due casi. I tre deputati sono stati eletti, mentre i senatori a vita sono nominati dal Presidente della Repubblica senza un rapporto diretto con l’elettorato, come del resto accade per gli ex-presidenti della Repubblica. Sono stati nominati in riconoscimento di meriti straordinari, un sistema che già esisteva nello Statuto del Regno, per la nomina regia dei senatori, scelti in specifiche categorie. Una nomina non implica obbligo di partecipazione, ma piuttosto disponibilità a contribuire generosamente con la propria esperienza al potere legislativo del Paese. Questa distinzione è fondamentale, anche quando si analizza la non partecipazione a votazioni per missione, giustificazione che potebbe parere assimilare senatori a vita e parlamentari eletti.

Il sito Openpolis.it presenta i dati sulla partecipazione dei parlamentari a 5042 votazioni al Senato e 7910 alla Camera dei Deputati. Viene indicato per ciascuno in quante ha partecipato, è risultato assente o impossibilitato a partecipare perchè in missione.

La differenza tra le due Camere riguardo alle mancate partecipazioni per “assenza” è notevole. Il 20% dei deputati registra almeno il 30% di assenze, contro solamente il 3% dei senatori. Invece simili sono i dati sulle assenze, per missione, ad almeno il 50% delle votazioni: 12,5% per i senatori e 12,25% per i deputati. Tendenza confermata se il riferimento è al 75% delle votazioni: 5,5% al Senato e 7,25% alla Camera.

Come interpretare questi dati? Cosa suggeriscono? È difficile rispondere con certezza. La grande differenza tra le due Camere relativa alle assenze non è statisticamente trascurabile. Non dovrebbe perciò essere casuale, sebbene le cause non siano evidenti. Potrebbe dipendere, anche se improbabilmente, dalla differenza tra collegi circoscrizionali e regionali, che potrebbe influenzare la percezione dell’impegno verso l’elettorato. Più probabili altre cause. Il metodo di definizione delle liste elettorali?  l’abolizione delle preferenze?, la significativa differenza nel numero di votazioni?.

Chiaro e facilmente interpretabile è invece il dato relativo alle missioni. Molti parlamentari giustificano così più del 70% delle loro assenze. Al Senato, sono, oltre due senatori a vita, quindici, tra cui sette ministri e cinque sottosegretari. Se consideriamo una partecipazione inferiore al 50%, se ne aggiungono otto (tra cui due ministri, un viceministro, tre sottosegretari). Alla Camera dei Deputati la situazione è simile: le giustificazioni per missione di oltre il il 70% delle assenze portano a 32 deputati (otto ministri, tre viceministri, tredici sottosegretari). Una soglia del 50% aggiungerebbe solo poche unità (una sottosegretaria)

In altre parole, 21 senatori (11.5%) e 25 deputati (6.25%) faticano a svolgere il loro ruolo parlamentare per impegni di governo. È comprensibile, dato l’onere che questi comportano, ma non sarebbe il caso di stabilire un regime di incompatibilità per una maggiore produttività parlamentare?. Questa domanda non ha una risposta univoca, anche se nei sistemi presidenziali spesso i ministri non sono membri del parlamento, il che potrebbe essere da considerare in Italia, se mai si introdurrà il premierato.

Cosa succede in Europa? L’Italia non è sola nel considerare compatibili incarico di governo e funzione parlamentare. Undici paesi europei condividono questa visione: Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Slovacchia e Spagna. Negli altri quindici l’incompatibilità si declina in modi diversi. In Belgio, i ministri rimangono in Parlamento ma non votano, in Francia e Lituania il seggio parlamentare è congelato durante l’incarico governativo, con reintegro se l’incarico cessa. In Austria, Cipro, Paesi Bassi e Svezia, l’incompatibilità è assoluta.

Cosa fare in Italia? Non spetta a me proporre soluzioni, ma come cittadino italiano, desidero che i parlamentari eletti adempiano al ruolo per cui sono stati eletti. Siamo cinquantatré milioni, senza contare i sei residenti all’estero. Dovrebbe essere possibile trovarne una cinquantina disposti a servire il Paese a tempo pieno. Forse così si  attrarre contribuirebbe a riattrarre al voto quel 50% che si astiene.

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