“Riace social blues” nasce da una delusione: il rifiuto, da parte di una serie di case editrici, di un libro dal titolo “Mimmo Lucano un processo politico”. Riflettendo sul testo è nata spontanea una domanda: “Da dove nasce l’impegno civile di Mimmo Lucano, quali sono le ragioni, da quale Dna scaturisce il suo rincorrere l’utopia, il sogno, la visione di un mondo migliore e più giusto”? Di risposte convincenti ce n’è una sola: dalla Calabria, dal suo passato.
In molti mi hanno chiesto le ragioni che mi hanno indotto a scrivere, insieme al regista Cosimo Damiano Damato, “Riace social blues”. Difficile riassumerle tutte. Diciamo che l’idea nasce da una delusione, una delle tante. Il rifiuto, da parte di una serie di case editrici, di un libro che avevo in mente. Titolo inequivocabile. “Mimmo Lucano un processo politico”. Tanti no secchi, qualche “Vedremo”, un arrendevole “Aspettiamo la sentenza”. Anche editori di assalto, quelli che non guardano in faccia nessuno, i fustigatori del potere in servizio permanente effettivo, si sono tirati indietro. E allora ho pensato ad un altro linguaggio, quello del teatro civile, Cosimo Damiano Damato e Antonio Convertini, il produttore di Kino Music, hanno fatto il resto con Baba Sissoko e la sua musica africana.
Riflettendo sul testo e sul suo adattamento mi è venuta in mente una domanda. Da dove nasce l’impegno civile di Mimmo Lucano, quali sono le ragioni, da quale Dna scaturisce il suo rincorrere l’utopia, il sogno, la visione di un mondo migliore e più giusto? Di risposte convincenti ne ho trovata una sola: dalla Calabria, dal suo passato. Sì, perché questa terra, da molti considerata il buco nero del Paese, il pozzo dove fermentano i mali dell’Italia, ha saputo e sa essere anche altro.
Terra ribelle. Terra di utopisti. Terra di sognatori folli. Terra di eroi civili che eroi non volevano essere, ma si battevano contro potere e mafia. Fino a rimetterci la vita. Terra di preti ribelli. Terra del figlio di un ciabattino, che si fece sacerdote e filosofo, girò le corti d’Europa e le sfidò fino a patire tortura e carcere. Ma non si fermò mai inseguendo il sogno di una “Città del Sole”. Un mondo nuovo e giusto. Ecco, anche questo viene fuori da quel “Buco nero”. Una ricchezza enorme, basterebbe saperla vedere e saperla valorizzare. La Calabria diventerebbe davvero altra cosa. Invece, il potere, quel cancro che strozza la Calabria e la sua gente dalla Sila alla punta dello Stretto, i suoi filosofi antichi, gli scrittori ribelli, gli eroi dell’antimafia, i preti contro, si limita a celebrarli in costosi e noiosi convegni.
L’articolo completo di Enrico Fierro potete leggerlo su Riviera n. 29 del 18 Luglio 2021.