Fiaba raccontata da Domenico Sculli al suo parente Orlando Sculli.
Orlando Sculli
Gesù andava in giro per il mondo per tentare di redimere dai peccati, quante persone potesse, quando incontrò in un paese un ladro, che vedendogli estrarre dalla tasca, in una bottega dove aveva comprato un pezzo di pane, un portazecchino con delle monete d’oro, voleva derubarlo.
Gesù, uscendo dal paese, si vide dietro il ladro, che lo seguiva da vicino, come un’ombra nelle notti di luna.
Camminando uno dietro l’altro, arrivarono sotto una quercia vetustissima, dove Gesù si coricò per terra, mettendosi sotto la testa una manata di avena e di altre erbe. Il ladro si coricò accanto, mettendosi sotto il capo una pietra, per appoggio, e chiese al suo compagno se avesse bisogno di lui, come uomo di fatica.
“Io personalmente, buon uomo, non ho bisogno, ma chiedo a dei miei parenti, se vi possono aiutare”.
“Non avete capre, pecore, vacche che io possa pascolare per voi?”
“No, no!”
“Posso diventare vostro amico?”
“Senz’altro!”
“Come vi chiamate?”
“Cappellaccio!” Gli mentì Gesù. “E voi?”
“Filippino!” E invece si chiamava Peppe.
Era alla fine di maggio e faceva caldo, nonostante che il tempo fosse un po’ nuvoloso ed erano in cammino già dal mattino, quando il ladro cominciò ad essere tormentato dai morsi della fame, per cui si lamentava in continuazione.
“Abbi pazienza”, gli diceva Gesù, “che ora mangiamo!”
“Non si tratta di pazienza, ma per la debolezza estrema non riesco più a camminare!”
“Va bene! Guarda, su quell’altura c’è una grande mandria di pecore e capre in un ovile, dove i pastori stanno facendo la ricotta, che è quasi pronta, in due grandi paiuoli. Va e a nome di Cappellaccio, chiedi due tazzoni pieni di ricotta, assieme al siero e al ritorno, l’impaneremo con un tozzo di pane che ho nella bisaccia. Porta con te questo secchio di legno, che ho sempre con me, dentro cui ti verseranno ciò che ti daranno.”
“Ma che mi state infinocchiando! Son sicuro che appena sarò arrivato i pastori mi aizzeranno i cani, che mi faranno a pezzi!”
“Va tranquillo, perché fra breve mangeremo!”
Andò e appena arrivò, i cani gli fecero festa ed addirittura uno gli leccò la mano. I pastori poi, con tanta cortesia lo salutarono e dopo gli riempirono a metà il recipiente, con ricotta e siero. Restò sbalordito Filippino, che salutando ritornò da Cappellaccio, a cui disse:
“Ma voi, come ho potuto constatare avete più potere di un mago!”
“Non è vero quello che tu dici, perché quello che abbiamo avuto, a farcelo avere è stato Dio che aiuta tutte le anime buone e tutti i peccatori che sono pronti a redimersi, facendo buone azioni. Tu sei responsabile di qualche piccolo peccato? Pentiti, se lo sei e fa sempre il bene e mai il male!”
“No, no, io sono puro come una colomba e non ho mai peccato!”
Dopo averla impanata, si mangiarono la ricotta e dopo si coricarono sotto una pianta d’ulivo, frondosa, con una cavità vicina alla biforcazione.
Gesù prima appese il secchio e la bisaccia ad un ramo e dopo infilò il portamonete, con qualche moneta d’oro, nella cavità dell’albero.
Quando il ladro pensò che Gesù s’era addormentato, si stese ed infilò la mano dentro la cavità per rubare il portamonete, ma quando cercò di tirarla non fu capace e restò con la mano dentro.
Gesù fingeva di dormire e solo dopo tre ore aprì gli occhi e vide il ladro in quella strana posizione.
“Che stai facendo Filippino? Stai tentando forse di rubarmi il portamonete?”
“Che dite mai! Io ho messo la mano dentro la cavità per sapere se c’è un nido di barbagianni!”
“Va bene! Vieni a sederti!”
E allora la mano di Filippino fu libera ed il portamonete volò nell’aria ed andò ad infilarsi nella tasca interna dell’abito di Gesù, con grande meraviglia del ladro che esclamò:
“Ma voi siete più abile di un mago, sembrate un santo che fa miracoli!”
“Io sono semplicemente un giusto e come tutti i giusti faccio del bene e lo pretendo da quelli che mi stanno vicino! Ricordati il bene arreca bene, il male procura il male! Tu hai fatto sempre il bene?”
“Sempre! Non ho fatto mai del male!”
Gesù non parlò più e si misero in cammino e ad un certo punto Filippino disse:
“Cappellaccio, ho fame! Procura da mangiare tu che ne sei capace!”
“Io provvedo per i giusti e per gli onesti e anche per quelli che sbagliano, ma che si pentono!”
“Io non ho niente di cui pentirmi, perché la mia coscienza è bianca come la ricotta! Provvedi dunque al cibo!”
“Va in quella mandria laggiù, perché i pastori stanno preparando la ricotta e fatti versare nel secchio, due tazzoni, assieme al siero!”
Andò e gliela diedero, ma di malavoglia, dicendo:
“Te la diamo, ma di malanimo, perché uno di quelli che si mangerà la ricotta, è ladro!”
Arrivando Filippino disse a Gesù:
“Cappellaccio, tu sei un ladro, perché i pastori sanno, non so come, che uno di noi due è ladro! Io non lo sono, allora il ladro sei tu!”
Gesù fece un sorriso e rispose:
“Dio lo sa e tenta sempre di salvare i peccatori!”
“Allora salverà te!”
Si rimisero in cammino e dopo mezza giornata la fame cominciò a tormentare Filippino che rivolgendosi a Gesù disse:
“Cappellaccio ho fame! Provvedi!”
“Allora va in quella mandria che vediamo e chiedi ai pastori che ti diano l’agnello migliore e se non vorranno dartelo, chiamalo, perché esso, saltando la staccionata, ti seguirà!”
Non credeva il ladro a quanto Gesù raccontava, ma nonostante ciò andò e quando i pastori non gli vollero dare l’agnello, egli lo chiamò ed esso saltò la staccionata e lo seguì, con grande meraviglia dei presenti.
Filippino accese il fuoco, preparò le braci, scannò e scuoiò la bestia. Tagliò quattro grossi polloni d’oleastro, gli fece la punta, preparò con essi quattro forcelle, che conficcò per terra e su di esse fece girare sopra le braci l’agnello diviso, infilato in stecchi, assieme a fegato, pancreas, reni, aspersi con salmoriglio, tramite un filo d’origano. Arrostendolo mangiava le parti migliori e ad un certo punto si mangiò il fegato.
Gesù pensò:
“È l’ultimo tentativo che faccio per salvarlo!”
E quando l’agnello fu ben arrostito gli disse:
“Io non mangio perché non ho fame! Fammi assaggiare un pochettino di fegato!”
“Quest’agnello non aveva fegato!”
“Filippino di’ la verità perché ti verrà bene! L’agnello ce l’aveva il fegato e l’hai mangiato tu?”
“Io ho sempre detto la verità! L’agnello non aveva fegato!”
Gesù abbassò la testa sospirando e non parlò più. Dopo che Filippino si mangiò tutto l’agnello partirono e camminarono tutto il giorno e la notte seguente, fin quando non arrivarono in un bosco, dove trascorsero la notte in un pagliaio abbandonato dai carbonai.
Arrivò il mattino e attraversando tutto il bosco, verso la fine, dovevano passare per un pezzo di strada scavato nella roccia, su cui bordi sovrastavano delle piante di ginestre che pendevano sulla strada, che era coperta letteralmente di vipere e altri serpenti velenosi, mentre molti pendevano dalle ginestre e tutti quanti aprivano minacciosi la bocca, dimenando la lingua e soffiando.
“Filippino passiamo! Perché ti sei fermato?”
“Mi son fermato perché temo che mi facciano del male!”
“Cammina dietro di me e sta sicuro!”
“Nooo, io voglio la salvezza e non la morte!”
“La salvezza ti verrà da me! Sta sicuro, io dico la verità!”
Furono capaci di passare e man mano che avanzavano, i serpenti velenosi si ritiravano e così arrivarono in una pianura dove si riposarono.
“Cappellaccio, tu hai grandi poteri, da come vedo!”
“Il mio potere è la verità! Perché non ti penti Filippino dei tuoi peccati?”
“Non ho di che pentirmi, perché non ho peccati!”
Raggiunsero la riva di una grande fiumara in piena, che rumoreggiava grandemente e Gesù disse:
“Filippino passiamo dall’altra parte?”
“E come? Voliamo?”
“Stammi dietro!”
E come Gesù camminava l’acqua si apriva e si vedeva la ghiaia asciutta come il pane. Arrivarono all’altra riva della fiumara che subito si chiuse alle spalle.
“Cappellaccio tu hai un gran potere! Io credo che te lo dia Dio o addirittura tu sei Iddio!”
“Filippino pentiti! Dammi una piccola prova! L’agnello era dotato di fegatello?”
“Nooo, era senza fegatello!”
Camminarono per un’altra giornata in un’aspra montagna, quando arrivarono in un posto dove la strada era franata e non si poteva passare dall’altro lato, perché c’era un burrone alto quanto il cielo.
Gesù passò camminando nell’aria e quando fu dall’altro lato disse:
“Filippino pentiti e dimmi la verità, se no, non passare, altrimenti precipiti e muori! L’hai mangiato tu il fegatello? Dammi questa piccola prova!”
“L’agnello non aveva fegatello!”
“Non passare perché non dici la verità!”
“Dico la verità e passo, camminando nell’aria! Se l’hai fatto tu lo posso fare anche io!”
Fece il tentativo di passare e cadde urlando nel precipizio.
. . .
Nu jornu Gesù jia ngiru p’o mundu i sarva d’u peccátu quanti animi potía, quandu ncuntráu nu latru, chi vidéndulu tirári d’a búggia nu źurgúni cu na para i sordi d’oru, jendu i ccatta nu pezzu i pani, nta na putíχa, volía m’u s’u rrobba.
Nescéndu d’u pajísi si vitti sequitári d’u latru, chi comu na liļļía, nta na notti i luna, si jia appréssu. Caminándu unu avánti e l’attru arrétu, rriváru sutta a na cerza bisésta e Gesù si curcáu ļļà nterra jussándu comu chjumázzu na manáta i lefráci mbischjáti cu jina.
U latru si curcáu vicínu e sutta a testa si misi na petrótta e si dissi i Gesù s’u volía pa garźúni ca iļļu jia cercándu patrúni.
“Non aju bisógnu, bonómu, ma viju si parénti mei vi ponnu jutári”.
“Non aviti crapi, pécuri, vacchi, pammi v’i pozzu guardári?”
“No, no!”.
“Pozzu diventári vostru amícu?”
“Chistu sì!”
“Comu vi chjamáti?”
“Cappeļļázzu”, si dissi Gesù. “E vui?”
“Fulippínu!” E si chjamáva Peppi.
Era a fini i maju e facía cardu assai cuntúttu ca u tempu era ntramezzátu e stávanu caminándu d’a matína, quandu o latru u pigghjáu a fami e ngrumijáva comu nu vovoláci.
“Bonu, bonu ca ora mangiámu, nda pacénzia!”.
“Quali pacénzia ca non mi ffidu cchjù i camínu p’o cralíju!”
“Vabbò, viju ca ndavi sutta a ļļu pattúni na randi mandra i crapi e i pécuri e comu tu vidi, nt’o jazzu i pecurári ndannu ddu cáccami supra e stannu criscéndu a ricótta. Va e cércasi a nnomu i Cappeļļázzu, ddu cuppári i ricótta, mbischjáta c’u seru, ca quandu veni a mpanámu cu nu trózzulu i pani chi ndaju nta vértula! Tè sta χjisca chi mi staju carrijándu appréssu, pammi l’accurrénti tu ponnu divacári ļļà intra!”.
“Ma chi mi mpapocchjáti, mpena rrivu, sugnu sicúru, i cani mi zzandalíjanu, pacchì m’i ssíjanu i pecurári!”
“Va squetátu e vidi ca prestu mangiámu!”
Jiu e quandu rriváu i cani si battíru a cuda e unu si ļļiccáu puru na manu. I pecurári, cu tanti garbi, u salutáru e apói si fíciaru menza i ricótta e i seru a χjisca. Rrestáu mmagátu Fulippínu e salutándu tornáu ļļ’a Cappeļļázzu, dicéndu:
“Ma vui ndavíti potíri cchjù i nu magu, i comu vitti!”
“Non è veru chiļļu chi dici e chiļļu chi ndéppamu ndu fici ndavíri Ddiu chi juta l’ánimi bboni e i peccatúri, chi sunnu pronti i si sárvanu facéndu bboni azzióni! Tu u ndai ccocchji peccatéļļu? Péntati s’u ndai e fa u bbeni e mai u mali!”
“No, no, eu sugnu jancu comu nu palúmbu e non fici mai peccáti!”
Si mangiáru a ricótta doppu c’a mpanáru e apói si curcáru sutta na vrivára mussu i corvu, pompúsa, cu nu cúvulu vicínu a furcatúra.
Gesù prima mpendíu a χjisca e a vértula nta na rrama e doppu nt’o cúvulu mpiláu u gurźúni cu na para i sordi d’oru. Si curcáru e quandu si parzi d’u latru c’a Gesù u ndavía rripítu u sonnu, si sdillongáu e mpiláu a manu nt’o cúvulu pammi si rrobba u gurźúni, ma quandu jiu i tira a manu, non fu capáci, m’u faci e rrestáu c’a manu d’intra u cúvulu, cuntúttu ca tantáva m’a tira.
Gesù fingijáva ca dormía, e sulu doppu tri uri apríu l’occhji e vidéndu u latru c’a manu nt’o cúvulu, si dissi:
“Chi ffai Fulippínu, non criju ca volévi i mi pigghji u gurźúni!”
“Cchi dicíti! Eu mpilávi a manu i viju si ndavía na folía i barvajánni!”
“Veni e sséttati!”
E allúra a manu d’u latru si sbiļļáu e u gurźúni voláu e si mpiláu nta marijóla i Gesù e u latru meravigghjátu dissi:
“Ma vui siti cchjù capáci i nu magu, vui paríti nu santu chi faci miráculi!”
“Eu sugnu sulu nu giustu e comu a tutti i giusti fazzu u beni e u preténdu i tutti chiļļi chi ndannu ngerénza cu mia! Ricórdati u beni porta beni, u mali porta u mali! Tu facísti sempri u beni?”
“Sempri! U mali n’o fici mai!”
Gesù non rispundíu cchjù e si mísaru ncamínu e a nu certu puntu Fulippínu dissi:
“Cappeļļázzu mi faci fami! Provvídi tu chi si capáci”.
“Eu provvídu p’e giusti e pa l’onésti e pa chiļļi chi sbagghjáru, ma chi si péntanu!”
“Eu non aju nenti i mi pentu, pacchì a me cuscénzia è janca comu a ricótta! Provvídi ddunca!”
“Va nta ļļa mandra chi vidímu, pacchì i pecurári stannu criscéndu a ricótta e fai i ti méntanu ddu cuppari cu seru nt’a χjisca!”
Jiu e s’a déttaru sinaschjijándu dicéndu:
“T’a damu cu malu cori, pacchì unu di ddui chi s’a mangia è latru!”
Rrivándu Fulippínu si dissi i Gesù:
“Cappeļļázzu tu si latru, pacchì i pecurári, non sacciu comu, sannu ca unu i nui ddui è latru! Eu non sugnu, allúra si tu!”
Gesù fici nu rriséttu e si dissi:
“Diu u sapi e tanta mi sarva sempri i peccatúri!”
“Allúra voli i sarva a tia!”
Si mísaru ncamínu e doppu menza jornáta a Fulippínu u cchjappáu a fami e votándusi ļļà Gesù si dissi:
“Cappeļļázzu ndaju fami! Provvídi!”
“Allúra vai nta ļļa mandra e cércasi d’i pecurári i ti dúnanu u megghju gnéļļu e si non t’u dúnanu, chjámalu ca iļļu junta d’u zaccanu e ti séquita!”
Non cridía Fulippínu ma cuntútta jiu e quandu i pecurári non vórzaru m’u s’u dúnanu, chjamáu e u megghju gnéļļu juntáu d’u záccanu, cu randi meravígghja d’i prisénti e u sequitáu.
Fulippínu cciaffáu u focu, fici i vrasi, doppu chi scannáu e scorciáu u gnéļļu. Tagghjáu magghjóla i gghjástru, si fici a punta, fici quattru furchétti, i mpizzáu, ntornu e vrasi, mpiláu u gnéļļu spartútu ndui, nzemi o fícatu, coráta e rignúni e u ppojáu supra i furchétti, facéndulu i gira supra i vrasi, sponzijándulu cu nu pedi i ríganu, c’u sarmurígghju chi ndavía fattu. Rrusténdulu si mangiáva i mmorza chi si piacévanu i cchjù e a nu certu puntu si mangiáu u fícatu.
Gesù penzáu: “È l’úrtima prova chi fazzu m’u sarvu!”
E quandu fu prontu u gnéļļu si dissi a Fulippínu:
“Eu non mangiu ca non mi faci fami dammi i provu na nticchja i fícatu!”
“Stu gneļļu non avía fícatu!”
“Fulippínu dici a veritáti ch’è megghju pa tia! U gneļļu u ndavía u fícatu e t’u mangiásti tu?”
“Eu dissi sempri a veritáti! U gneļļu non avía fícatu!”
Gesù mbasciáu a testa suspirándu e non parráu cchjù. Doppu chi Fulippínu si mangiáu tuttu u gneļļu, partíru e camináru tuttu u jornu e a notti, rriváru nta nu voscu a undi stranottáru, curcándusi nta nu pagghjáru vacánti i carvunári.
Rriváta a matína partíru e ggiungéndu a fini d’u voscu ndavévanu i ttravérsanu nu pezzu i strata scaváta nta rocca, chi ndavía nt’e ripáti jinestrári chi pendévanu i supra. Supra a strata ndavía na letterína i lipari e i attri nimáli venenúsi e attri ndavía mperguláti nt’e jinestrári; tutti l’aprévanu a vucca e cacciávanu a lingua i fora e χjuχχjávanu.
“Passámu Fulippínu! Pacchì ti fermásti?”
“Mi fermái nommi mi mángianu passándu!”
“Camína appress’a mia, ca si o sicúru!”
“Nooo eu vogghju a sarvézza e no a morti!”
“A sarvézza a ndai cu mia! Sta sicúru, eu dicu a veritáti!”
Passáru ddunca e comu caminávanu i nimáli venenúsi si rrassávanu e accussì rriváru nta na chjanúra a undi si riposáru.
“Cappeļļázzu, tu ndai randi potíri, i comu viju!”
“U me potíri è a veritáti! Pacchì non ti penti Fulippínu d’i to peccáti?”
“Non aju i mi pentu i nenti pacchì non fici peccáti!”
Ggiungíru doppu a na randi χjumára chi curría i nu capu all’attru chjina d’acqua, facéndu nu randi scrúsciu. Rriváti chi furu Gesù dissi:
“Fulippínu passámu i l’attra parti!”
“E comu, volámu?”
“Vénimi d’arrétu!”
E comu camináva l’acqua sbarcáva e si vidía a gghjara sciutta comu o pani. Rriváru i l’attru capu da χjumára, chi jatu si chjudíu comu a prima.
“Cappeļļázzu, tu ndai randi potíri! Eu criju ca t’u duna Diu, si non si tu Diu!”
“Fulippínu péntati! Dammi sta prova! U gneļļu u ndavía u ficatéļļu?”
“Noo era senza ficatéļļu!”
Camináru n’attra jornáta nta n’aspra muntágna, quandu rriváru a na parti a undi a strata ndavía spilesátu e non si potía passári i l’attra parti, pacchì ndavía na timpa funda comu o celu.
Gesù passáu caminándu nta l’aria e quandu fu i l’attra parti dissi:
“Fulippínu péntati e dici a veritáti, si no non passári pacchì ti ncafúni e mori! T’u mangiásti u ficatéļļu? Dammi sta prova!”
“Non avia ficatéļļu u gneļļu!”
“Non passári pacchì non dici a veritáti!”
“Dicu a veritáti e passu, caminándu nta l’aria! S’u facísti tu, u pozzu fari eu!”
Fici ímpitu i passa e catti gridándu nt’o cafún