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Un eroe dei nostri tempi, Antonio Giuseppe Malafarina da Bovalino

Questa è la storia di un uomo che a 18 anni, a causa di un terribile incidente, si è ritrovato all’improvviso tetraplegico. A questo punto, c’erano due alternative: lasciarsi morire, sprofondando negli abissi della depressione, oppure risalire a galla aggrappandosi alla vita e lottando strenuamente per realizzare i suoi sogni.

L’11 febbraio scorso è morto, all’età di 54 anni, Antonio Giuseppe Malafarina, blogger di InVisibili del Corriere.it, oltre che direttore responsabile del portale Superando, tra i più importanti giornalisti italiani con disabilità. È stato tra i pionieri di un giornalismo di qualità impegnato in prima persona a trattare temi inerenti alle persone con disabilità senza pietismo.

Milanese di nascita, ma originario di Bovalino, Antonio è stato un giornalista e poeta, riuscendo a realizzarsi nonostante la sua gravissima condizione di disabilità, tetraplagia, dovuta a causa di un gravissimo incidente

Era il 1988, Antonio aveva 18 anni, era contento, perchè aveva da poco preso la patente e, da lì a pochi giorni, avrebbe lasciato Bovalino, il posto delle sue vacanze estive, per far ritorno a Milano, la città in cui risiedeva con i genitori. Qualche giorno prima della partenza, il 13 settembre, decise di salutare il mare della Calabria con un ultimo tuffo, ma quell’idea risultò fatale, poiché l’impatto con l’acqua fu tremendo al punto da causargli serissimi danni interni. Il 18enne fu trasportato in ospedale, con pochissime speranze di sopravvivenza, invece Antonio riuscì a sopravvivere, ma con la consapevolezza di convivere tutta la vita con una grave disabilità.  Grazie alla sua forza di volontà, ed all’incoraggiamento dei suoi genitori, capì che la sua vita sarebbe continuata, anche se in modo diverso da quello che aveva progettato, attraverso una battaglia comunicativa, per far comprendere al mondo intero le difficoltà esistenti intorno alla disabilità. Per raggiungere questo obiettivo, cominciò ad interessarsi di tecnologia applicata alla disabilità in generale, aiutando nella tutela dei diritti le persone più fragili, di cui diventa paladino, infatti raccontò: “La tecnologia supporta sicuramente le persone con disabilità. Io vivo e lavoro grazie alla tecnologia perché respiro grazie ad un respiratore meccanico. Sono stato tra i primi in Italia a respirare con uno stimolatore diaframmatico nel 1989 e ad utilizzare i sistemi di riconoscimento vocale nel 1992 per usare un computer”.

Ed è così che nel 2011, diventa giornalista con uno stile puntato all’ironia. Il primo giornale a credere nelle sue capacità è “Italia Oggi” e poi “Vivere in Armonia”, agli articoli ha sempre alternato le poesie che erano la sua vera passione. Ha collaborato anche con “BenEssere” delle edizioni San Paolo, ed ha seguito con grande attenzione ed impegno il “Progetto Dama” (Disabled Advanced Medical).

“Ragazzi non sto proprio bene, stavo lavorando ieri alla revisione, ma il computer mi ha cancellato tutto, non so quando riuscirò a riaccendere, spero prima possibile, grazie per la pazienza e la disponibilità”. Questo è stato l’ultimo messaggio vocale che il giornalista ha lasciato agli amici Claudio Arrigoni e Lorenzo Sani con cui stava lavorando. Antonio non ha più riacceso il suo computer, perché dopo dieci giorni in terapia intensiva, una seconda ricaduta non gli ha lasciato scampo.

 In una intervista, risalente al 2020, così Antonio ha raccontato il suo passaggio alla disabilita: “Il punto di svolta è stato il 13 settembre del 1988, ma non è stato un punto di svolta come si potrebbe immaginare. Era l’ultimo giorno di ferie in Calabria, l’esame della patente di guida superato tranquillamente e un ultimo tuffo con gli amici. In verità venuto maluccio ed ecco che immediatamente mi ritrovo tetraplegico e senza respirare. Per fortuna c’è un medico che mi aiuta, il classico colpo di fortuna da film. Mi portano vigile in ospedale e non sanno cosa fare. Dicono che non arrivo a sera. Non bravi a fare previsioni!
I miei fanno di tutto per portarmi a Milano, dove abitiamo, mi risveglio dai sedativi nel cuore della notte di quel giorno, nell’allora centro fra i più avanzati per il trattamento acuto delle lesioni spinali in Lombardia, l’Ospedale di Legnano. I miei hanno fatto grandissimi sacrifici per salvarmi la vita. Situazione critica per una quindicina di giorni e poi si stabilizza. Paralizzato in un letto di ospedale, senza per nulla chiaro il mio futuro, prendo atto della condizione e rivendico il mio ruolo sociale. La mia vita continua, qualcosa farò.
Dunque, non c’è stato, nella mia storia, il dramma dell’impatto con la disabilità. Ne ho preso coscienza e sono andato avanti. L’ho subito considerato come un fatto acquisito ormai ineludibile. Per questo, dal punto di vista caratteriale, non posso parlare di una cesura fra prima e dopo il tuffo. Anzi, c’è una continuità: io ero lo stesso, benché in un’altra condizione. Dopo quindici mesi di rianimazione, di cui tre in Francia per l’applicazione di un pacemaker diaframmatico per respirare da solo, sono tornato a casa. All’epoca ero una delle poche persone non autosufficienti e con compromissione del respiro a casa in Italia. Per questo c’è stato bisogno di due genitori straordinari, di grandi amici, di disponibilità sanitaria e di forza di carattere. Non solo mia. Vogliamo metterci anche un po’, un bel po’, di fede in Dio? Aggiungiamola”.

Quella di Antonio è stata una storia di coraggio e determinazione, un esempio di amore per la vita e desiderio di viverla al meglio, con la speranza di infondere forza a chi si trova nelle sue stesse condizioni.

 

 

 

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