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venerdì, Novembre 22, 2024
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Il tempo dei ricordi

Ripercorriamo, insieme, gli avvenimenti e i personaggi più importanti che hanno segnato la data del 9 Luglio.

Accadde che:

1958 (63 anni fa): in una località dell’Alaska, Lituya Bay, un fiordo della larghezza di tre chilometri e lungo 14, noto per le maree, si verifica una delle catastrofi naturali più devastanti mai registrate. Si trattò di un’onda anomala colossale, un megatsunami alto circa 525 metri. L’incredibile fenomeno fu provocato da un terremoto di 7.9 gradi della scala Richter, che generò una grossa frana nella zona del ghiacciaio del Crillon, uno dei tre che terminano nella baia. L’enorme spostamento d’acqua, che fu generato, sradicò completamente la vegetazione e il terreno al lato opposto del golfo, terminando la sua contro le montagne. Fortunatamente, vista la scarsa popolazione presente nella zona e grazie ai rilievi montuosi, che non consentirono all’onda di scavalcarli, le vittime furono soltanto due. Quest’onda fu, infatti, vista e affrontata da tre piccole imbarcazioni che si trovavano all’interno della baia. Una delle tre fu spazzata via, mentre le altre due riuscirono a salvarsi cavalcando l’onda. La testimonianza dei superstiti, ancora oggi in vita, fu agghiacciante. Raccontarono di come, dopo una giornata di pesca scarsa, avessero fermato la barca in un’insenatura a circa un chilometro dall’ingresso della baia. Dopo cena andarono a dormire, per essere svegliati da movimenti violenti: era il terremoto. Dirigendosi verso il ponte, si trovarono davanti una nuvola di polvere e neve che si muoveva sulle cime. Dopo due minuti comparve un gigantesco muro d’acqua, che si schiantò contro la montagna orientale. Successivamente una “Piccola” onda derivata, di circa 15 metri d’altezza, si diresse rapidamente verso la zona, dove si trovava la barca e il terreno fu improvvisamente investito dall’acqua. L’imbarcazione fu scaraventata verso l’alto, si spezzò, ma fortunatamente riuscirono a cavarsela. È stato calcolato che l’evento franoso scaraventò in mare qualcosa come 30 milioni di metri cubi di roccia, producendo la colossale onda di tsunami.

2006 (15 anni fa): a Berlino, la Nazionale italiana di calcio, di Marcello Lippi, solleva la sua quarta Coppa del mondo, dopo aver superato la Francia in finale. Terminava così un torneo praticamente perfetto, in cui gli azzurri si erano sbarazzati anche della Germania padrona di casa. In quella serata indimenticabile la Francia e l’Italia entrano in campo, il clima è teso, i giocatori sono concentratissimi, l’Inno di Mameli rimbomba ovunque, un unico coro che unisce un’intera nazione. Al 7′ minuto Malouda cade nell’aria di rigore dell’Italia, calcio di rigore e vantaggio che porta il nome di Zizou Zinedine Zidane, ma non passano neanche dieci minuti e Materazzi ha la meglio sul calcio d’angolo, 1 a 1. I tempi regolamentari si chiudono così, iniziano i supplementari e dopo traverse e gol annullati, il nervosismo sale così tanto che Zidane perde i nervi e dà una testata a Materazzi, con la Francia in 10 e ancora una decina di minuti da giocare, l’Italia sposta il suo baricentro in avanti, ma invano. I supplementari terminano 1 a 1, saranno i rigori a deciderla, dove la nazionale italiana sconfiggerà la Francia per 6-4. La Francia perde la finale della Coppa del Mondo e l’Italia viene incoronata campione. “Ci sono diversi motivi che ci hanno portato alla vittoria nel 2006, ha detto Materazzi, ma c’è un aspetto principale del nostro trionfo che è assolutamente fondamentale: in Germania abbiamo combattuto l’uno per l’altro, eravamo una squadra unita. L’unità del gruppo è il segreto. La squadra deve essere unita. Questo è più importante di ogni singola abilità sportiva. È fondamentale per tutti essere concentrati sull’obiettivo, ovvero vincere la Coppa del Mondo e nel 2006 lo eravamo. Eravamo anche un gruppo di amici, più che un semplice gruppo di calciatori e, questo, ci ha aiutato enormemente. Siamo sempre stati più forti di qualsiasi ostacolo. Per due anni siamo andati avanti insieme, sempre lo stesso gruppo di giocatori. Ci siamo conosciuti così bene, durante gli allenamenti e durante le partite, come giocatori, ma anche a livello umano. Insieme ci siamo sentiti fortissimi. Eravamo fiduciosi di poter realizzare questo grande sogno”.

 Scomparso  oggi:

1813 (208 anni fa): muore a Napoli, a soli 22 anni, Nicola Antonio Manfroce musicista. Nato a Palmi il 20 febbraio 1791, per la sua spiccata vocazione alla musica, la famiglia gli fece frequentare il Conservatorio della Pietà dei Turchini di Napoli. Debuttò con una cantata, “La nascita di Alcide”, in onore di Napoleone per celebrarne il compleanno presso la corte di Napoli, nell’agosto del 1809. Estimatore dello stile francese, massimo esponente musicale della Napoli murattiana, il giovane talento seppe rivelare un vena tragica e un controllo formale, che aveva il suo modello più prestigioso nella Vestale di Spontini. In seguito, proseguì con “Alzira”, rappresentata a Roma nel 1810; “Manfredi” a Milano nel 1816. Il principe degli impresari dell’epoca, il Barbaja, gli commissionò una tragedia in tre atti, “L‘Ecuba”. Il compositore, già minato nella salute, si mise al lavoro con grandissima lena e accanimento, tali che ne provarono fortemente il fisico; l’opera venne rappresentata il 13 dicembre 1812, al teatro San Carlo di Napoli, riscuotendo un successo strepitoso. A questa opera si ispirò per il suo “Mosè” Gioacchino Rossini del quale Monfroce, studioso di Mozart, fu precursore. L’opera, piena di novità, colpì infatti il pubblico partenopeo e Manfroce venne salutato come uno dei maggiori talenti della propria epoca. Lasciò, nei contemporanei, la consapevolezza di una sua posizione speciale nella storia del melodramma.

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