Bruno Gemelli ci parla degli anni dei campi di concentramento nazisti e, nello specifico, di quello Ferramonti in Calabria.
Bruno Gemelli
“Il più grande kibbutz del continente europeo”. Così lo storico ebreo inglese Jonathan Steinberg definì il campo di internamento di Ferramonti.
Nel Giorno della Memoria bisogna rinfrescare le medesima ricordando come si giunse a quell’obbrobrio. La Calabria visse l’esperienza del Campo di Ferramonti che ebbe nel professor Spartaco Capogreco lo storico numero uno. Riavvolgiamo il nastro della storia. Il 10 novembre 1938 il Consiglio dei ministri approvò le leggi razziali fasciste, annunciate per la prima volta da Benito Mussolini il 18 settembre 1938 a Trieste. Si trattava di una serie di provvedimenti legislativi e amministrativi, in vigore in Italia tra il 1938 e il 1945, volti a penalizzare le persone ebree. A monte, la “dichiarazione sulla razza” fu approvata da Gran consiglio del fascismo il 6 ottobre 1938 e pubblicata sul “Foglio d’ordine” del Partito nazionale fascista lo stesso anno.
Le leggi razziali fasciste furono un insieme di provvedimenti capestro applicati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni Quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana, rivolti prevalentemente contro gli ebrei.
A farne le spese furono i poco più di 33mila ebrei italiani che nel settembre 1943 si trovavano nelle regioni del Centro-Nord controllate dalla Rsi, lo Stato fantoccio di Mussolini, oppure nei territori amministrati direttamente dal comando militare tedesco: la Zona di operazione delle Prealpi e la Zona di operazione del Litorale adriatico.
In prima battuta, dal settembre 1943, la persecuzione antiebraica fu affidata ai reparti delle SS e della Gestapo in Italia, coordinati da Theodor Dannecker, uno dei principali collaboratori di Himmler ed Eichmann nella cosiddetta “soluzione finale della questione ebraica”. Si moltiplicarono rastrellamenti, eccidi e il 16 ottobre si arrivò alla deportazione ad Auschwitz di 1.023 ebrei arrestati a Roma. Alla prima selezione che seguiva l’arrivo nel lager, la percentuale di quanti furono avviati subito alle camere a gas fu altissima: l’89% dei deportati, di cui oltre 200 bambini.
In pratica, dal primo dicembre 1943 i questori cominciarono a pianificare le operazioni di arresto degli ebrei da parte di polizia e carabinieri. E i prefetti, a capo delle province nella Repubblica sociale, avviarono l’allestimento di campi d’internamento provinciali dove raccogliere gli ebrei in attesa del loro trasferimento: la destinazione di chi finiva lì erano i campi di concentramento, lavoro forzato e sterminio nel Reich. I campi provinciali nei territori della Repubblica sociale italiana furono ben 29, allestiti in caserme, carceri, ville requisite, case di riposo e addirittura nelle sinagoghe.
Dei tremila ebrei stranieri arrestati molti furono portate nel campo di concentramento di Ferramonti, nel comune di Tarsia, a nord di Cosenza.
Accanto al predominante gruppo di ebrei stranieri, a Ferramonti arrivarono anche dei gruppi di persone di religione non ebraica, ma di nazionalità nemica all’Italia: greci, slavi e cinesi (per lo più ambulanti nelle città del Nord o marinai su navi italiane. Nacquero così i campi di Pisticci (MT), riservato soprattutto a oppositori politici italiani, e il campo di Ferramonti di Tarsia (CS), destinato a ebrei e cittadini stranieri nemici. Il Campo di Ferramonti di Tarsia fu l’unico esempio di un vero campo di concentramento costruito dal governo fascista a seguito delle leggi razziali e rappresenta storicamente il più grande campo di internamento italiano.
Il Campo si estendeva su un’area di 16 ettari ed era composto da 92 baracche di varia dimensione, molte delle quali con la classica forma a “U” e forniti di cucina, latrine e lavabi comuni. Dal 20 giugno 1940 il campo entrò in funzione con l’arrivo dei primi due gruppi di ebrei stranieri: circa 460 uomini arrestati in varie città del Nord e costretti ai lavori forzati per costruire il resto del campo. Nel settembre del 1940 arrivò a Ferramonti un gruppo di ebrei profughi da vari paesi europei che si ritrovò bloccato a Bengasi (Libia), diventata territorio italiano, in attesa di un trasporto verso la Palestina. Si trattava di un gruppo eterogeneo di circa 300 ebrei, fra cui anche diverse donne e bambini. La loro presenza provocò il primo cambiamento sociale nel Campo con la presenza di intere famiglie.
Nel Campo vi fu una rilevante attività culturale e sportiva che aiutò a mitigare le estreme difficoltà di vita dovute alla presenza della malaria e alla scarsità di cibo. Il 1943 fu l’anno più difficile per Ferramonti, ma anche quello che vide la sua liberazione. Tra il settembre e l’ottobre del 1943 passò a pochi metri dal campo l’intera armata tedesca Hermann Göring in ritirata dal Sud. Per evitare pericoli, la direzione dispose l’evacuazione del Campo e tutti gli ebrei che potevano furono fatti scappare nelle campagne circostanti dove vennero ospitati dai contadini del territorio di Tarsia. Per evitare una intrusione nazista e a protezione degli ebrei rimasti nel campo perché troppo anziani o malati, venne issata una bandiera gialla all’ingresso del Campo con la presenza del cappuccino Callisto Lopinot. inviato dal Nunzio Apostolico Borgoncini -Duca dietro richiesta di un gruppo di internati e rimase nel campo di concentramento di Ferramonti dall’11 luglio 1941 al 31 ottobre 1944, per spiegare ai tedeschi la presenza di una epidemia di tifo all’interno.
Grazie a questi stratagemmi, Ferramonti rimase indenne da ogni azione da parte delle truppe tedesche. Le uniche morti violente avvenute nel campo derivarono da un mitragliamento da parte di un aereo alleato impegnato in un duello aereo sopra il cielo del Campo alla fine dell’agosto 1943. Dopo l’armistizio dell’8 settembre l’autorità italiana abbandonò il Campo e la mattina del 14 settembre 1943 entrarono nel Campo i primi camion inglesi. Da quel momento il campo di Ferramonti di Tarsia rimase attivo sotto la conduzione dei prigionieri. Il Campo fu ufficialmente chiuso l’11 dicembre 1945.