Peppe Racco ci parla della sinistra moderna, di cosa è e di cosa dovrebbe essere in un mondo, quello moderno, che pare aver perso ogni valore e identità
Ignazio Silone dichiarò: “sono un cristiano senza chiesa e un socialista senza partito”.
In questa frase può riassumersi tutto il disagio dell’uomo di sinistra nell’epoca contemporanea, dove le speranze, le lotte e i sogni sono diventati i frantumi di un ideale che appare lontano. La democrazia e il socialismo sono l’unica forma realizzabile cui la sinistra italiana, per me il mondo, dovrebbe anelare, ma la pienezza di questo bene per l’umanità è stata concepita in senso unicamente materiale. In Italia il partito democratico, nato dalle spoglie del Pci e della Dc è il risultato di una miope e opportunistica visione. Il partito comunista avrebbe dovuto abbandonare il materialismo storico di matrice marxiana e leninista, e la democrazia cristiana avrebbe dovuto riscoprire i valori del socialismo come fondamento di soccorso ai più poveri e agli sfruttati, come opera di emancipazione, elementi simili all’origine cristiana. Probabilmente vi è stato anche questo intento alla nascita ma gli interessi personali e la dimensione consumistica e fluida della società, facente da padrone, ha rimosso i buoni propositi, regalandoci la nota formula “fusione a freddo”. Ciò ha comportato un freno alla realizzazione di vere e proprie riforme socialdemocratiche e il conseguente rafforzamento delle destre, che stanno facendo il bello e il cattivo tempo. La sinistra, a livello mondiale, si è persa per strada, smarrita, logorata dalle lotte interne, che possono essere anche un esempio di democrazia purché non sconfinino nelle consuete brame di potere. La destra, che per sua identità adora la competizione e l’esclusione, ha avuto vita facile, abituata a parlare alla pancia della gente. Il momento storico che stiamo vivendo, con guerre stabilizzate in alcune parti del mondo, ed i fenomeni migratori, hanno fatto riscoprire alla gente il piacere di ritrovarsi nei classici ed immortali valori di patria e famiglia. In questo contesto la destra sguazza e la sinistra affoga. Qual è il problema di fondo? Non aver saputo leggere, come in passato, i cambiamenti sociali nei vari settori dell’esistenza, l’avere continuato a concepire la vita per slogan, chiudendosi ad ogni dialogo comprensibile con la società e le masse.
Nell’epoca dei consumi, dove la vecchia anima proletaria aspira solo all’utilità del profitto, non è più possibile attaccarsi a vecchi palinsesti, è necessario capire i mutamenti antropologici e saperli interpretare. Un ragazzo ventenne di oggi, nella maggior parte dei casi, trova la sua realizzazione nel vendere e comprare, nell’immediatezza, relegando la cultura e la formazione a vecchie catene che limitano la libertà. Lo sfogo nei social ha sostituito i fenomeni di piazza, e spesso basta per sentirsi ascoltato e auto referenziato. La via d’uscita, per una sinistra moderna, non è inseguire a tutti i costi quei modelli, ma comprenderli nella loro finitezza cercando di trasformarli in fenomeni da cui può ripartire un dialogo con le masse, per ricominciare un percorso di ravvivamento della coscienza critica, senza abbandonare il piacere della modernità. Per fare questo serve il recupero di una dimensione spirituale, per non finire come i “rozzi cibernetici” o come “le stupide galline che si azzuffano per niente” di Battiato. È questo il punto chiave del socialismo democratico, la pazienza di parlare alla gente con un linguaggio più semplice, senza destituire la cultura, il merito e le differenze naturali ma offrendo pari opportunità. La segretaria del Pd, se vuole essere all’altezza della sfida e recuperare i voti popolari, cosa di cui dubito fortemente, dovrà scoprire un linguaggio che sfidi le difficoltà della gente, studiando le problematiche e cercando di affrontarle in modo pratico e concreto, stimolando la riscoperta del piacere e della partecipazione. Ecco, la partecipazione, come diceva Gaber è libertà, perché, in verità ci sentiamo felici e liberi solo se lo sono anche gli altri. La partecipazione come elemento di unione e allontanamento da quest’epoca di paure, senza il timore di rivalutare anche valori che in passato sono stati sviliti ma che ritornano sempre perché rappresentano necessità umane e purché vengano recuperati in senso attuale, nel riconoscimento anche del pensiero diverso. La contestazione non più come mito ma come spazio di crescita per dire ciò che si pensa e ribellarsi, quando serve, in una società oramai dormiente e senza dignità. Il progresso, da concepire non più quale rottura degli stereotipi, al tempo necessaria, come negli anni’70, ma come rivalutazione del particolare, delle tradizioni, quali aspetti diversivi che arricchiscono la comunità mondiale, invece di renderla univoca e piatta.
È una sfida grande e motivante al pensiero unico ma per vincerla bisogna guardare dietro, molto dietro, ed in alto, molto in alto, anche laddove ci rifiutiamo di osservare per non riconoscere i nostri limiti di piccoli uomini. E, in tutto questo, non c’è niente di più spirituale e terreno allo stesso tempo.